Panino papale

Serie: Un pessimo desiderio


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Quando non ti aspetti niente da nessuno, non corri mai il rischio di provare quella cocente delusione per un tradimento o per una cattiveria inattesa. In pratica ti costruisci una corazza forgiata con gli insulti e con l'odio: un impermeabile di indifferezza molto utile quanto anacoretico.

La velocità unita al peso di Dalila spinsero la povera Martina a battere violentemente la schiena contro la parete. I polmoni vennero svuotati di colpo e dalla bocca le uscì un verso simile al suono delle lingue di Menelik, ma in quel preciso momento aveva poco da sorridere.

– Minchia sorella, sai a chi somigli con l’occhio rosso? A quel cazzo di Boros. Il nemico di Saitama. Vero Patty? – si rivolse all’amica con un gran sorriso divertito.

La trequartista placcatrice, profumava di vaniglia. Vaniglia e alcol. Nella mente di Martina riapparvero degli occhi dorati sorridenti. Il ricordo di un liquore dall’inaspettato sapore avvolgente e gradevole le esplose come un fuoco d’artificio.

– Io direi più a Padre. L’antagonista dei fratelli Elric. – obiettò occhio tumefatto guardando in un modo inusuale Patrizia.

– Full Metal Alchemist… lo conoscete no? “Dà agli umani giusta disperazione perché non diventino troppo vanitosi!” Non diceva così? –

– Cazzo! Capelli rugginosi conosce gli anime. Lo sai che ti sto rivalutando? – Dalila cinse il collo della sua vittima con fare fintamente amichevole.

– Ma rimani pur sempre una grossa merda. – Disse spingendola via con decisione.
Martina indietreggiò barcollando, ma riuscì a mantenere l’equilibrio, Patrizia e Dalila, di comune accordo, si girarono e proseguirono.

Alcune spettatrici, attirate dal probabile show, si erano fermate a guardare.

La ragazza dall’occhio pesto seguì le due bulle con lo sguardo, avvertendo uno strano calore sulle spalle, come se avessero sfondato il soffitto di un paio di piani facendo passare uno spot di luce solare che le colpiva proprio la schiena.

Aprì l’armadietto che avvisava l’intero istituto della cleptomania falloide della proprietaria, con quella bella grafia power metal e posò lo zainetto portando con se solo i libri e il quaderno necessari.

In classe erano in ventuno: sei ragazzi e quindici ragazze. A stento riusciva ad abbinare qualche cognome ai volti anonimi ed inespressivi che la circondavano, in fin dei conti era entrata in quella scuola da un paio di mesi scarsi e nessuno si era mai fatto avanti per una formale presentazione o per una parvenza di educata accoglienza: si sentiva un corpo estraneo, una scheggia di legno che pungeva solo quando la si sfiorava per sbaglio.

Si sedette al suo banco monoposto nella terza fila, poggiato alla parete.
Posò i libri sul sottopiano di lamiera nera e indugiò sul grosso pene disegnato malamente sul ripiano inclinato di finto legno ricoperto da una rilassante plastica verdechiaro con un grosso pennarello nero, era stato cancellato dalla collaboratrice scolastica con l’alcol denaturato, ma ne era rimasto un evidente alone che tendeva al rosa.

– Ciao Martina. Come va il tuo occhio? –

La voce di una ragazza la distrasse dal seguire la forma del grosso testicolo rappresentato come il sole disegnato da un bambino.

– Ciao… Laura? È Laura il tuo nome vero? – chiese guardando la ragazza occhialuta dai capelli ricci e neri, anche lei era una delle vittime delle aguzzine di quell’istituto.

– S-sì! – il tono era sorpreso. – Longo, Laura Longo. Che ci hai messo? Sull’occhio, intendo. –

– Ghiaccio istantaneo sul momento, poi a casa ho usato un litro di collirio alla camomilla sperando che guarisse per magia, ma non ha funzionato. – Martina toccò automaticamente la zona dolorante sotto la palpebra.

– Una bistecca. Mia madre mi ci avrebbe fatto mettere una bella fetta di carne cruda. Dice che guarisce in un attimo. – Laura strinse i pugni come a rafforzare la sua teoria.

– È una credenza popolare. È semplicemente il freddo della carne presa dal frigo che aiuta a limitare l’ematoma, ma non è proprio salutare usare una fetta di muscolo morto su una parte delicata come l’occhio… tranne che tu abbia voglia di sfoggiare anche una congiuntivite. – Martina distolse lo sguardo sentendosi in colpa per aver criticato un semplice e raro pensiero gentile che qualcuno le aveva rivolto gratuitamente.

– Sei forte. – le disse sinceramente Laura e per di più con un sorriso convincente. – Ti va di mangiare assieme? –

Era la prima persona che aveva tentato un approccio amichevole da… sempre.
Martina lo appuntò mentalmente con una penna che profumava di lavanda sul suo taccuino interiore.

– Fammi controllare la lista di persone in fila che vorrebbero la mia compagnia… Uhm sì, ecco. Mi sa che oggi posso inserirti, il papa mi ha appena messaggiato per disdire il panino con le patatine fritte ed il wurstel del bar del Duomo. – disse Martina con una espressione da imprenditrice indaffarata. Laura rise educatamente.

Suonò la campanella di inizio delle lezioni.

– Ci vediamo dopo allora. – La ragazza riccia si sedette al suo posto in prima fila centrale.

Questa volta, occhio nero, avvertì quel raggio di sole scaldarle un punto indefinito sulla gabbia toracica ed era sorpresa per la sensazione tanto aliena all’interno del suo inferno scolastico.

Spinse le lancette dell’orologio con tutte le forze mentali, ma il tempo non accettava imposizioni o forzature, andava dritto per la sua strada, scorrendo come l’acqua di un torrente indifferente.

Il professore scolpito nel tufo parlava di come l’amore di Catullo per la sua Clodia fosse qualcosa di comparabile ad una infatuazione adolescenziale.

Lei, libera ed emancipata, colta e indipendente, lo considerava un semplice amante, mentre lui inseguiva l’utopia di un amore vero e fedele e unico.

Martina aveva segnato alcune parole chiave sul quaderno: Lesbia in onore a Saffo, moglie proconsole Quinto Metello Celere, rara felicità, disperazione a manate, tradimenti e gelosia, depressione e sconforto.

Le crisi esistenziali sono sempre fonte di ispirazione artistica si disse, soddisfatta della sua conclusione.

La campanella che segnava i venti minuti da dedicare alla pausa suonò facendo scattare la testa di Martina in direzione della ragazza con cui doveva fare colazione.

Laura, non si girò subito, sistemò le sue cose sotto al banco lentamente e mettendosi in piedi si stirò le pieghe dei suoi pantaloni, si aggiustò gli occhiali con la montatura arancione e finalmente le rivolse uno sguardo sorridente, forse un po’ incerto.

Martina alzandosi, ripose il quaderno nel sottopiano del banco e ricambiò il sorriso. Per un attimo temette di non esserne più capace, ma poi il muscolo risorio obbedì senza esitazioni.

Serie: Un pessimo desiderio


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Discussioni

  1. Un racconto leggero e ironico che riflette un dramma reale. Non privo di situazioni positive, come il dialogo tra Martina e Laura, che possono scherzare, capirsi, sostenersi e diventare amiche. Molto bello i finale.

  2. “Fammi controllare la lista di persone in fila che vorrebbero la mia compagnia… Uhm sì, ecco. Mi sa che oggi posso inserirti, il papa mi ha appena messaggiato per disdire il panino con le patatine fritte ed il wurstel del bar del Duomo. ”
    Una delle tante frasi che mi hanno fatto sorridere.

    1. Ciao Emme! Beh dai, Martina è una simpaticona in fondo. Purtroppo non è molto abituata ad una conversazione amichevole e ha sempre il timore di superare un qualche limite che avverte solo lei.
      Fra un po’ le cose inizieranno ad assumere una dimensione alla Silent Hill (un vecchio gioco per la PS1 che ho adorato ai tempi), spero di continuare a farti piacere una storia con quel tipo di atmosfera. ;D

  3. Una chiusura di stagione interessante… spero tanto che Martina abbia trovato un’amica. La scena in cui è aggredita dal gruppo di bulle è forte e impressionante. Scritta molto bene con dialoghi credibili. Bravo 👏

    1. Ciao Tiziana! Ti direi una bugia dicendoti che le cose per Martina stanno migliorando o, quanto meno, sviluppandosi in una direzione un po’ più colorata. Ma ho paura che ci siano forze che stanno tessendo una ragnatela per chissà quale motivo. Comunque i capitoli che scrivo solitamente variano dalle cinquemila alle settemila parole e non mi rendo mai conto se poi coincideranno con la fine di una stagione di EO, per questo non sembrano mai dei veri e propri finali…
      Grazie mille Tiziana! ♥

  4. “Spinse le lancette dell’orologio con tutte le forze mentali, ma il tempo non accettava imposizioni o forzature, andava dritto per la sua strada, scorrendo come l’acqua di un torrente indifferente.”
    Bellissima👏