Papà?
Serie: Crazy Train #1
- Episodio 1: Papà?
- Episodio 2: La mamma e la Madre
- Episodio 3: Una scelta dovuta – di Ivan Collura
- Episodio 4: Una tranquilla mattina
- Episodio 5: Stanza 42
- Episodio 6: Le luci
- Episodio 7: Il Figlio
STAGIONE 1
Jerry stringeva forte la veste da notte di sua madre, Adeline. I pugni stropicciavano decisi due precisi punti all’altezza della spalla.
– Non piangere piccolo mio. Andrà tutto bene.
– No, mamma. Ti sbagli. La fine è appena iniziata.
– Ma cosa stai dicendo, Jerry? Su ometto, rimettiti a letto e non pensarci più.
Adeline rimboccò le coperte al piccolo figlio sdentato, gli sistemò il ciuffo rosso dietro l’orecchio e umettò la sua fronte con il più materno dei baci. Gli passò un indice sul naso e con le nocche di indice e medio fece una carezza tanto impercettibile quanto piena di amore per il loro unico figlio, suo e di Howard.
Jerry fissava il soffitto, aveva paura. Controllò la sveglia sul comodino, era da poco passata la mezzanotte. Non faceva altro che pensare a quell’incubo, così surreale, così strano, talmente pauroso da mettergli i brividi. Sotto il cotone, che lo avvolgeva, provò a strofinare le mani sulle braccia, in cerca di calore. L’effetto fu contrario. Più sfregava e più sentiva freddo. Fece un sospiro: una nuvoletta di vapore acqueo si materializzò nella stanza. Jerry scattò seduto sul letto, scoprì il busto, iniziò ad ansimare. Gli occhi ruotavano veloci, su e giù, a destra e sinistra. Provò a chiamare sua madre, le parole rimasero intrappolate in gola, come soldati in trincea sotto assedio. Brividi, freddo, terrore. Non c’era posto nemmeno per le lacrime, gli occhi si arrossarono ma non si bagnarono.
Il ragazzino provò a scendere dal letto, ma le gambe non rispondevano ai comandi, non c’era modo di spostarle, tolse con le piccole mani la coperta, colpì le gambe inermi con i pugni. A ogni colpo le gambe cambiavano colore e consistenza. Jerry non riusciva a fermarsi. Gli arti inferiori divennero viola, viscosi, vibravano creando delle piccole onde.
La sua attenzione fu attirata dalla finestra: un’ombra oscurò la luce della luna. Un artiglio, come quello del sogno, grattava il vetro: – Porca puttana! – esclamò il ragazzo, e subito gli venne in mente il tono ammonitorio della madre mentre rimbrottava il marito quelle poche volte che si lasciava scappare qualche parolaccia davanti al figlio.
L’artiglio scavava tra le fibre vitree della finestra, iniziò a scalfirle, mancava poco e avrebbe fatto un buco.
– Scusa, mamma, ma porca di quella troia!
Jerry si distese sul letto, chiuse gli occhi e si diede un deciso slancio in avanti, tornò indietro nella posizione iniziale, con un rimbalzo si alzò nuovamente, lo fece diverse volte finché acquistò la giusta velocità di oscillazione e si buttò di lato. Dolore lancinante. Quel che era rimasto delle gambe restò ben saldo al materasso, mentre il resto del corpo cadde con un tonfo sul parquet della stanza. Jerry non riuscì a urlare nuovamente. Strisciò come un verme, lasciando una specie di bava verde dietro di sé. Mancava poco alla porta, ma era ben chiusa, non riusciva a raggiungere la maniglia, provò in tutti i modi ad arrampicarsi, ma non trovò appigli.
Il vetro andò in frantumi. Jerry si girò, vide un’ombra attraversare l’infisso della finestra: – Porca di una troia puttana! – le uniche parole che gli uscissero dalla bocca erano imprecazioni, nient’altro. Iniziò a colpire la porta più forte che poteva. Nessuna risposta della madre.
Qualcosa di umido, raccapricciante, molliccio, si collegò con la sua parte mancante inferiore; come una frittata in padella, Jerry, fu fatto ruotare in aria. Il ragazzo vide il suo assalitore e spalancò la bocca.
***
H.P. Morgenstein, o quel che era diventato, ricoprì di bava il cadavere ancora caldo del suo collaboratore, Dalton. Non una parola di ossequio, non un ringraziamento, nessun rimorso, solo un ghigno tagliava a metà il volto dell’agente, o forse del Figlio.
Il nuovo Morgenstein lasciò la stanza 42 e fece il percorso inverso, per sua fortuna l’algoritmo non aveva funzionato e la troppa sicurezza aveva fatto abbassare la guardia a quelli che, in teoria, dovevano essere tra i migliori agenti in circolazione, unici detentori del segreto protetto, fino a qualche secondo prima, in quella secret-room.
Il Figlio non faticò ad abituarsi alla sua nuova forma, l’andatura, inizialmente zoppicante, acquistò armonia, ritmo. La mimica facciale era complicata da gestire, non riusciva a capire come cancellare dal volto il suo ghigno, dimostrazione lampante delle sue più spietate e nefaste intenzioni. Preso da un attacco d’ira, imbruttitosi ancor di più, il Figlio H.P. Morgenstein colpì il vetro dell’ascensore mandandolo in frantumi. Sentì un leggero dolore, vide le dita sanguinare, ma le ferite furono sostituite dalla bava che sanò i tagli in un battito di ciglia.
Le porte della scatola metallica si aprirono, un agente salutò Morgenstein, che rispose con un breve ritardo, agitando velocemente la mano e schizzando bava sulla divisa dell’altro.
– Ma che cazz… – l’agente non ebbe tempo di completare la frase che quel poco di bava iniziò ad assorbirlo. Le grida gli rimasero intrappolate in trachea così come il suo corpo nell’ascensore.
Il Figlio Morgenstein doveva lasciare il prima possibile Quantico, prima che qualcuno potesse notare qualcosa di strano e fare domande strane. Chiuse gli occhi e si collegò ai ricordi di H.P. Morgenstein, l’originale, l’umano, e trovò la via d’uscita. Respirò profondo la fresca aria notturna, guardò il cielo stellato. Giocherellò con indice e pollice creando filamenti gelatinosi, chiuse gli occhi e attraversò lo spazio tramite la sua personalissima dimensione. Riaperti gli occhi si trovò davanti casa di Howard, Adeline e Jerry.
Il Figlio Morgenstein si frugò nelle tasche, non riuscì a trovare le chiavi di casa. Vide una lucina spegnersi da una finestra, decise di arrampicarsi, sarebbe entrato da lì. La scalata non fu delle più facili. Camminò veloce sul ballatoio cercando di passare inosservato. Buttò uno sguardo dentro, vide una grande ombra intenta a macchinare su qualcosa, abbassò lo sguardo e vide Jerry.
– No! Fermo! – gridarono in contemporanea due voci, ricreando un effetto terrificante, da far accapponare la pelle. Una voce era quella di Howard, l’altra era del mostro Figlio.
L’ombra si voltò, era un altro Figlio. H.P. Morgenstein doveva averla combinata grossa con il suo algoritmo sbagliato e se ne stava rendendo conto soltanto adesso.
Il Figlio Morgenstein si fiondò sull’aggressore del suo contatto, iniziando a scagliare una raffica di pugni. La scena era un groviglio di melma tempestosa. Dall’altra parte della porta Adeline, preoccupata dai rumori provenienti dalla stanza, provava disperata ad aprire la porta senza alcun risultato: – Apri la porta, Jerry! Cosa sta succedendo?
Il ragazzino non riusciva a capire più se stesse sognando o meno. Portò i palmi delle mani davanti agli occhi e li chiuse. Il trambusto continuò ancora per qualche minuto, finché non si udì un rumore di legno spaccato. I due Morgenstein, H.P. e il Figlio, erano riusciti a mettere in fuga l’altro mostro, che si catapultò fuori dalla finestra distruggendola.
Una mano portò il ciuffo rosso di Jerry dietro l’orecchio. Il ragazzino riconobbe quel gesto, aprì gli occhi e incredulo chiese: – Papà?
Serie: Crazy Train #1
- Episodio 1: Papà?
- Episodio 2: La mamma e la Madre
- Episodio 3: Una scelta dovuta – di Ivan Collura
- Episodio 4: Una tranquilla mattina
- Episodio 5: Stanza 42
- Episodio 6: Le luci
- Episodio 7: Il Figlio
O mio Dio, quale dei mostri sarà il cattivo? Quello entrato dalla finestra o quello che si è impossessato di Howard?
Episodio molto inquietante, che mette un altro vagono in questo treno allucinante, che conferma essere un esperimento molto interessante e divertente
Al prossimo
Mi piace come sta procedendo la storia, sono davvero curiosa di comprendere quale via intraprenderanno i prossimi episodi 😀 Chi sarà a vincere sull’altro, il Figlio o l’anima di Morgenstein?
Beh, che dire, questa serie stra prendendo una piega sempre più malata.. ci sono ancora un sacco di porte aprte e solo due episodi per mettere insieme i pezzi. Anche se IV e V hanno iniziato far luce su quanto visto in I, II e III.
Mettiamoci al lavoro, dunque!