
Pensioni bisestili
«Eppure il calcolo è semplice: la somma dell’età e degli anni di contribuzione deve essere maggiore della radice quadrata del prodotto dell’anzianità contributiva e dell’inflazione programmata diviso l’inflazione reale» ripeté Marco, il giovane team leader della multinazionale.
«Scusami ma ai miei tempi la regola era più semplice, non ricordavo la radice quadrata» replicò Guido, ultrasettantenne incallito, operaio generico, ruolo che esibiva con orgoglio dopo cinquant’anni trascorsi come responsabile dell’Ufficio Specialistico e Dettaglio Progetti.
«Per noi donne, invece, sembra ci sia il bonus maternità: se dopo i 67 anni resto incinta, posso chiedere l’anticipo di pensione a 69 anni» si intromise Rosa, la contabile dell’Ufficio Donne in Carriera, proprio lei che, qualche giorno prima, aveva ricevuto il Tamagotchi per “meriti aziendali”, premio che aveva suscitato l’invidia (e i soliti gossip) soprattutto tra i colleghi più anziani, ognuno dei quali convinto di meritare la gratificazione.
Erano quasi le cinque del pomeriggio di un qualsiasi venerdì, in uno dei tanti uffici italiani della multinazionale indiana.
Marco aveva riunito il team alla macchinetta del caffè, l’argomento del giorno era il weekend lavorativo.
«Come siete diventati petulanti» riprese il team leader, ventenne neolaureato con master di Intelligenza Artigianale conseguito con il minimo dei voti presso la facoltà della Transilvania.
«Sempre a parlare di pensioni, soldi, e vacanze. Invece di pensare a lavorare e sudarvi lo stipendio!» sentenziò troncando ogni discussione.
«Piuttosto, chi resta dopo l’orario di lavoro? C’è da completare la burocrazia del nuovo progetto “Ambiente e cambiamento climatico: la bicicletta inquina?” e vi tocca lo straordinario del venerdì» aggiunse con una scintilla di autorità che illuminava l’occhio destro.
«Cosa? Non ho sentito, Marco puoi ripetere?» urlò con voce esagerata Riccardo mentre con la mano destra cercava di silenziare la protesi all’orecchio sinistro che continuava a fischiare.
«A conti fatti, a me mancano otto anni per richiedere l’anticipo di pensione» si intromise Gianni, il sindacalista, l’ottimista del gruppo che amava guardare sempre avanti.
«Se tutto va bene, a 79 anni sono fuori e potrò godermi la vita!» sorrise mentre si toglieva gli occhiali, avvicinava il viso al monitor quasi a sfiorarlo, strizzava gli occhi per leggere l’email appena giunta dove gli comunicavano l’azzeramento delle ferie non godute degli anni precedenti.
«Noi siamo fortunati, un lavoro ce l’abbiamo. Il problema riguarderà soprattutto i nostri nipoti, se troveranno un’occupazione e con quali diritti poi …» la frase rimase sospesa perché in quell’istante entrò il responsabile dell’HR, il terrore dei dipendenti ultraottantenni, colui che, ad ogni visita, spostava in avanti l’età pensionistica di sei mesi.
Alla macchinetta del caffè, calò il silenzio.
Con quelle voce metallica tanto odiosa, il responsabile HR parlò, come suo solito, senza preamboli:
«A decorrere del primo gennaio 2064 – cioè fra due settimane esatte a partire da domani – questa sede sarà chiusa e tutti voi licenziati».
Nemmeno i dipendenti ultrasettantenni – i più agili e reattivi – colpiti dall’inatteso annuncio, riuscirono a formulare una domanda.
La sentenza-choc scatenò una miriade di pensieri che vagarono, sospesi e privi di risposta, nell’ufficio oramai gelato: “come pago le rate del mutuo? E, a ottant’anni, dove lo trovo un altro lavoro?”
Un istante dopo, il responsabile HR ruotando su se stesso, in modo repentino cambiò direzione e con le quattro ruote motrici in azione, uscì silenzioso dall’ufficio.
Gli anziani, pietrificati, poterono solo guardare quell’ammasso di ferraglia e led lampeggianti andar via.
«Che voleva quello scatolone metallico? E, comunque, vi ricordo che il 2064 è un anno bisestile e ci porterà fortuna, andremo finalmente in pensione!» concluse Riccardo, sempre intento a zittire la protesi fischiettante dell’orecchio sinistro.
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Hai trattato un tema davvero scomodo in maniera quasi fantozziana, con quella giusta dose di ironia che serve a sdrammatizzare qualcosa che è già di per sé drammatico.
grazie Cristiana, la materia “pensione” scotta ed è difficile da affrontare senza cadere nelle solite polemiche e lamentele. Volevo condividere una riflessione senza risultare scontato e drammatico 🙂
Mi è piaciuto questo modo surreale di affrontare la realtà. Sarà tutto quello che ci resta?
Racconto piacevole. Molto bene.
ironica e pungente, ma con un retrogusto spaventosamente reale. bravissimo.
grazie Dea, l’ironia è l’arma potente per affrontare problematiche drammatiche senza sprofondare nel pessimismo 🙂
Una storia divertente che fa riflettere. Bravo 👏
grazie Tiziana, riflessioni amare ma necessarie.
Speriamo bene 🙂
Bravo Mario, un racconto che riesce nel suo intento. Fa sorridere, ma lascia anche l’amaro in bocca e fa riflettere.
grazie Melania 🙂
Il testo è divertente e amaro allo stesso tempo: con intelligenza e ironia mette in scena l’assurdità del mondo moderno, dove si lavora fino a ottant’anni e il premio aziendale è un Tamagotchi. Una satira sottile e ben costruita, che fa sorridere ma anche riflettere. Piacevole da leggere.
grazie Salvatore del commento, desidero scrivere racconti brevi e divertenti che provocano una riflessione e un sorriso (non troppo amaro)
In quanto dipendente di una multinazionale ed ex dipendente di un’altra multinazionale, non ho potuto che leggere questo divertente racconto con un sorriso amaro. Una satira feroce dell’evoluzione dell’ambiente del lavoro.
bene Sergio, abbiamo vissuto lo stesso iter aziendale: sai bene di cosa parlo allora 🙁
Già, e aspetto che tra 20 anni un robot dotato di AI mi comunichi che non ho ancora i crediti per andar in pensione!
beh, ti consiglio di parlarne prima col tuo diretto responsabile laureato in Intelligenza Artigianale, ovviamente rispetta sempre la gerarchia e non balzare al livello successivo.
Male che vada, ci sarà un Tamagotchi a Natale anche per te 🙂