Picca e gorgiera

I calzari picchiavano sul terreno sollevando polvere.

Michele camminava cantando e teneva in mano la picca. Cantavano un inno su Maria Vergine.

La loro non era però una guerra santa, era semmai una guerra per il quattrino.

Ovunque Michele si guardasse intorno c’erano mercenari e compagnie di ventura, uomini che se non fossero stati pagati dai signori si sarebbero dati al brigantaggio e avrebbero rischiato di diventare pendagli da forca.

Avanzavano e Michele pensò alla sua vita.

Era nato in un villaggio di montagna anni prima – non sapeva con precisione quando – e avrebbe dovuto fare il pastore, ma poi era stato rapito da dei mercenari della Carinzia. Aveva fatto il tamburino e aveva osservato da vicino i corpi dilaniati delle vittime delle battaglie, poi aveva suonato alle esecuzioni pubbliche degli uxoricidi e dopo ancora ai roghi delle streghe.

Forse Michele non era neppure il suo vero nome originale, perché in effetti gli era stato dato dal suo capitano che era molto devoto a san Michele Arcangelo – il suo l’aveva dimenticato.

Ora, Michele aveva una picca e marciava verso la guerra in mezzo a quelle campagne annerite dal fuoco e rese desolate da epidemie e carestie. Aveva sentito di contadini che avevano mangiato i loro stessi figli, poi erano stati messi a morte dai parroci.

Michele non era poi tanto un tipo acculturato, ma sapeva che quello era il XVII secolo, che era seguito al XVI. In teoria gli oscurantismi e le violenze dell’epoca passata dovevano essere stati superati, ma il futuro dimostrava sempre la stessa cosa: la pulsione principale dell’uomo era la morte, la distruzione che fosse della vita, del corpo o dell’anima degli altri.

La truppa di fanteria continuò a marciare verso la guerra e Michele, che indossava una sciarpa bianca, rossa e nera, vide davanti a sé fanti con sciarpe blu e oro. Erano i nemici.

Accanto a Michele c’erano i moschettieri, e poi altri picchieri.

Si sarebbe combattuto e qualcuno sarebbe morto. Michele si augurava che lui sopravvivesse.

Il vecchio capitano urlò: «Ferma!».

Michele e gli altri picchieri spianarono le picche, i moschettieri infilarono le forcelle nel terreno e caricarono i moschetti.

Osservò con invidia la gorgiera del vecchio capitano, desiderò indossarla, ma lui era solo un picchiere, uno straccione, mica un gran signore. Si sarebbe dovuto accontentare.

I fanti con le sciarpe blu e oro si prepararono alla battaglia e tutti stettero lì, a osservarsi in cagnesco.

Michele tossì per la polvere, soffiò via il fastidio e poi stette pronto.

Era l’ennesima battaglia di quella guerra senza nome.

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Discussioni

  1. Uno dei temi ricorrenti dei tuoi racconti è la crudezza e l’inutilità della guerra: tutte sono uguali, nessuna santa se non per chi regge una bandiera destinata a cambiare volto nel giro di pochi anni