Quando il vento cambia

Serie: Di ombre e luce


Anahí spalancò gli occhi, il cuore le batteva nel petto, impazzito. Aveva sognato ancora quella città senza nome, sempre la stessa. Ma stavolta il libro che stringeva le sfuggiva dalle mani: le pagine appena sfogliate si dissolvevano, le parole si liquefacevano, e lei cercava inutilmente di afferrarle. Una voce, lontana e senza volto, la chiamava per nome.

Si sedette e restò immobile per un momento, cercando di fissare nella mente quelle immagini prima che svanissero, poi si alzò e uscì. Il villaggio dormiva, sospeso in quel breve istante di respiro tra la notte e il giorno. La foresta sembrava trattenere il fiato.

Negli ultimi mesi, quell’equilibrio fragile che aveva sempre sorretto la comunità si era incrinato e l’armonia iniziava lentamente a sgretolarsi sotto il peso di una realtà nuova e violenta.

Dall’Europa erano arrivati uomini con stivali lucidi e voce dura, avidi di ricchezza, affamati di terra e di potere. Vennero con mappe già disegnate e contratti scritti in lingue sconosciute. Le loro aciendas si espansero senza sosta nella regione e le terre delle comunità vennero parzialmente espropriate con la forza e l’uso delle armi. Intere porzioni di foresta furono abbattute per fare spazio a piantagioni di yerba mate, canna da zucchero e altre colture destinate ai porti, a Buenos Aires e all’Europa.

Una sera il padre di Anahí tornò dalla foresta con il volto cupo.

«Sai cosa hanno fatto a San Ignacio?» chiese alla moglie.

«Cosa?» domandò in risposta lei, preoccupata.

«Hanno recintato l’intero promontorio. Dicono che è terra della Compagnia. Hanno portato fucili e uomini a cavallo. A San Ignacio, la comunità ha provato a resistere, ma li hanno cacciati via come cani.»

«E le autorità?»

«Niente. Sono rimasti tutti a guardare.»

Gli abitanti della regione videro limitati i propri territori e intere popolazioni si ritrovarono a vivere ai margini, costrette a chiedere il permesso per raccogliere manioca dove un tempo si celebravano i riti degli antenati.

Senza terra e senza quelle foreste sacre che custodivano la memoria, il senso di appartenenza andò perduto. La povertà crebbe e con essa la necessità di muoversi alla ricerca di nuove opportunità. Così, le famiglie si sfilacciarono e i legami si spezzarono come funi troppo tese.

Molti uomini furono costretti a lasciare i villaggi per unirsi alle squadre di lavoratori stagionali che si spostavano da una regione all’altra in cerca di opportunità.

Anche il padre di Anahí, che era sempre stato una presenza solida e rassicurante per la famiglia e un punto di riferimento per  il villaggio, fu costretto a partire. Lo fece con dolore, ma senza esitazione.

«Moglie mia, figlie» disse la sera prima della partenza, accovacciato accanto al fuoco. «Non vi sto abbandonando. Vado per voi. Perché possiate restare.»

Anahí sentì una fitta al petto, come se le venisse strappato via.

«Un anno. Non di più. Prometto che tornerò con denaro sufficiente per ricomprare almeno una parte dei nostri campi.»

«E se non torni?» chiese sua moglie.

L’uomo abbassò lo sguardo:

«Allora toccherà a voi reggere questa casa. A voi, che siete le mie donne forti.»

Partì all’alba, a piedi con cinque uomini del villaggio, diretti alla stazione ferroviaria per salire sul treno che li avrebbe condotti nella lontana regione di Córdoba. Le donne li seguirono in silenzio lungo un sentiero di foglie bagnate. Alcune piangevano, altre pregavano e stringevano forte la mano del proprio uomo. Avevano lo sguardo triste di chi vede i sogni infrangersi.

Quando non fu più possibile seguirli, Anahí rimase in piedi accanto alla madre e alle sorelle, il volto duro come la corteccia del lapacho. Suo padre si voltò un’ultima volta per salutarla e lei contraccambiò con un lieve cenno del capo, ma non disse nulla. Le bastò vedere il modo in cui le mani si aggrappavano alla cinghia del sacco, come a trattenere il peso di una vita intera.

Dopo che l’uomo ebbe lasciato il villaggio, la capanna sembrò più vuota. La madre si piegava in avanti sul telaio con forza e la sera, mentre cullava la neonata con movimenti lenti, guardava il fuoco, cercando in esso una risposta in un linguaggio dimenticato.

Anahí la vedeva lottare, e quel dolore silenzioso la turbava, facendole sentire l’urgenza di crescere e di capire quale fosse il suo posto nella aldea.

«Mamá, stai bene?» le chiese una sera, sedendosi accanto a lei. Le tolse delicatamente la neonata dalle braccia e cominciò lei stessa a cullarla.

La donna la guardò appena, poi le accarezzò la guancia.

«Sto vivendo. E tu? Ti senti pronta a diventare la seconda donna della casa?»

Anahí annuì. Non aveva alternative.

Fu la nonna a colmare quel vuoto. Lei che tutto vedeva, senza parlare, la prese con sé e divenne per la ragazza una guida e una roccia su cui fare affidamento nei momenti di incertezza.

Ogni mattina, all’alba, le due si addentravano nella foresta. Anahí camminava scalza tra le foglie, dietro ai passi decisi della nonna che procedeva sicura e senza esitazione.

«Vedi questa radice? Caraguatá. Guarisce i tagli, ma se la confondi con quella lì, allora addio pelle.»

«Come la riconosco?»

«L’odore. Annusa sempre prima di toccare. È la foresta che ti parla.»

Anahí ascoltava, memorizzava, annotava tutto nel suo cuore. Apprendeva i segreti della guarigione e l’anatomia umana e invocava gli spiriti della foresta perché proteggessero il villaggio dalle avversità.

Ma il suo sguardo era sempre rivolto verso l’orizzonte, alla ricerca di qualcosa al di là di quei confini.

Il sogno tornava, ogni tanto. Sempre lo stesso: la città, il libro, la voce.

La nonna, una mattina, si fermò in una radura. Posò a terra alcune cortecce, poi si sedette.

«Anahí, il vento cambia direzione quando meno te lo aspetti. Quando lo farà, saprai se seguirlo o restare. Ma non scordare mai chi sei.»

La ragazza le si inginocchiò accanto.

«Ho paura. Non di partire, ma di dimenticare.» Poi, prese un lungo respiro. «Nonna, io amo la nostra terra, ma sento un tamburo che mi batte dentro, come una voce che non smette di chiamarmi.»

La nonna sorrise, stanca ma fiera.

«Chi parte, cambia. Anche chi resta, a modo suo. Quando sarà il momento, saprai da che parte andare. Ma c’è un modo per non perdersi: non scordare mai il nome degli alberi.»

Serie: Di ombre e luce


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Discussioni

  1. Leggendo avevo in mente due mondi, li ho percepiti e visti andarsi incontro come le maree di due oceani che a un certo punto si trovano e si mescolano. Inizio a sovrapporre le due storie, quando leggo di Pietro mi chiedo dove sia Anahí, e viceversa. Mi sono apparsi complementari: entrambi stanno andando incontro al destino, dovranno crescere, cambiare. Pietro fugge da una guerra, lascia la terra e la famiglia, la giovane donna invece nella propria terra ha le radici, ma ha una strada da percorrere che forse la portera via da li..magari proprio nella citta che sogna la notte. Mi piace quello che sento: quando di leggo Pietro sono colori, sapori, immagini forti e nitide. Quando leggo di Anahí invece mi sento cullata da una musica che somiglia al vento, e la voglia di lasciarsi portare. Brava brava brava Cristiana!

    1. Grazie Irene perché il tuo è un commento bellissimo, soprattutto dove dici che quando leggi dell’uno, pensi all’altro. Questo denota molta sensibilità, ma con te non ci sono dubbi in merito 🙂
      Tenere separate le due storie è abbastanza difficile, anche sostenere registri diversi. A volte ho la sensazione io stessa che siano due storie differenti. Lo sforzo è però quello di fare in modo che nella testa di chi legge, i due protagonisti siano già uniti anche se fisicamente non lo sono. Stiamo preparando un incontro col ‘botto’, ma bisognerà aspettare ancora un po’. Un abbraccio grande.

  2. Te l’ho già detto tante volte, ma lo ripeto: adoro il personaggio di Anahí. In questo episodio, memoria e resistenza si intrecciano con una dolcezza che arriva dritta al cuore. Hai dato voce a una storia collettiva attraverso l’intimità familiare, con grazia, rispetto e una forza narrativa che lascia il segno.
    Il tuo stile è elegante, intenso, mai retorico: ogni parola sembra scelta con cura, e le immagini che evochi restano impresse come frammenti di sogno e di verità. Complimenti sinceri, davvero.

    1. Mi fa piacere capire che i lettori si stanno, in un certo senso, dividendo fra chi preferisce Anahi e chi invece preferisce Pietro. Fra chi ama la storia della foresta e quelli che si divertono a perdersi fra le strade di Buenos Aires. Ammetto che a volte anche a me sembra di scrivere due storie diverse e devo sempre ricordare a me stessa come un mantra che si tratta invece di un’unica storia e che prima o poi i due cammini dovranno incontrarsi. Io però ho deciso di non avere fretta e assecondare il ritmo della storia. Grazie di cuore Tiziana.

  3. “Anahí la vedeva lottare, e quel dolore silenzioso la turbava, facendole sentire l’urgenza di crescere e di capire quale fosse il suo posto nella aldea.”
    Questa frase è toccante. Racchiude l’amore di Anahi per la madre e la sua maturità👏

  4. Il racconto è scritto con una prosa evocativa e una narrazione coinvolgente. La foresta, descritta come un’entità viva e sacra, diventa un simbolo di identità e resistenza. Mi piace.

    1. Grazie Rocco, mi fa davvero piacere che la serie ti piaccia e interessante sarà per me avere il tuo riscontro oggettivo, strada facendo. La scelta della prosa evocativa mi pareva calzante per questo genere di narrazione. Sono convinta che, oltre a un proprio stile che ciascuno di noi ha e dal quale è difficile prescindere, sia importante anche scegliere l’abito giusto in base al genere trattato o al messaggio che si vuole trasmettere. Come quando alla mattina apriamo l’armadio per scegliere cosa indossare e siamo sempre noi, a compiere quel gesto, ma comunque diversi.

    1. Volendo, si potrebbe fare una storia basata solamente su questa tematica. Nel mio caso, però, essa diventa motivo e spinta dell’abbandono da parte di molti del villaggio in cui sono cresciuti. Grazie Furio per la tua lettura 🙂

  5. Leggendo questo episodio ho sentito il fascino di una favola, l’importanza della Storia, di quella grande, vera e indimenticabile di un popolo in cui si inserisce questa narrazione. E ho sentito la forza femminile delle tre donne protagoniste che conoscono o cercano di apprendere il valore prezioso racchiuso all’ interno della foresta, con i suoi alberi, le sue erbe e le radici da non scordare, anche andando lontano, come ha in mente Anahí, per realizzare il suo sogno.
    E noi che leggiamo questa serie possiamo sentirci trasportati in questo bel viaggio ricco di spunti su cui riflettere.

    1. Prima della partenza di Anahì, ho voluto che si sentisse forte il suo legame alla comunità e alla famiglia. La sua è stata prevalentemente femminile e dalle donne che l’hanno preceduta ha appreso molto. Il viaggio sarà esperienza e incontro, tuttavia riuscirà a non dimenticare da dove viene. Favola e Storia, così come narrazione e fantasia sono destinate a fondersi. Grazie Maria Luisa.