Silenzio

Serie: La prima alba


La sospensione temporale è andata a buon fine. Almeno per me... Il resto del mondo sembra essere messo piuttosto male

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Silenzio
  • Episodio 2: Carlos

Da dove cominciare?

La prima cosa che ricordo fu lo sblocco della mia capsula ed il coperchio fotoisolante che si apriva lentamente, quasi con solennità. Mi girava la testa e ci misi un po’ a rimettere in ordine i pensieri, a ricordare dove fossi. Ma immagino sia il minimo quando i tuoi atomi vengono centrifugati e sospesi per cinquant’anni, no? Sul visore della mia tuta d’isolamento comparve il logo di riavvio della “Long Life Inc.”, il colosso tecnologico che m’aveva promesso una seconda possibilità ma che, in realtà, mi ha fatto finire qui. Ed io stupido che sognavo in un nuovo inizio, cazzo… Scusa, non volevo anticipare le cose. Posso darti del tu, vero? Spero di sì, difficile che tu risponda.

Comunque, appena mi sono mosso per uscire dalla capsula, è partito un messaggio pre-registrato di una voce femminile, da pubblicità, che disse una cosa tipo: “Buongiorno Volontario-nonricordochenumero, e benvenuto nel futuro! La Long Life Inc è lieta di accogliarla nell’anno 2130. L’agenzia la ringrazia per la sua partecipazione volontaria al progetto di Testimonianza Temporale. Il suo contributo è prezioso.”

E poi silenzio.

Nel vuoto della stanza, la tuta di contenimento faceva ribombare il mio respiro. Se non ne hai mai vista una, è come uno scafandro da palombaro con una grossa cupola nera ad altissima tecnologia e serve a fare in modo che i tuoi atomi non vadano in giro durante la sospensione (non dev’essere divertente ricomporsi con qualche parte in meno o in più). E’ abbastanza leggera ma molto ingombrante, mi sono quasi ribaltato cercando di uscire dalla cella. Giusto il tempo di rimettermi in piedi ed ecco il messaggio ripetersi come una sveglia insistente e petulante. “Sì sì, ho capito, sono sveglio” gli ho detto, aspettando che venissero ad aprirmi. La stanza era completamente spoglia se non per la cella cronostatica e la porta isolante di Classe-3 che dovrebbe servire a tenere sottovuoto l’ambiente ed evitare contaminazioni nella capsula. La tuta era scomoda, ma era il solo motivo per cui non venivo rivoltato come un calzino dalla pressione. Ma a parte il fastidioso messaggio registrato non c’era niente, non una voce, non un’accoglienza. Gli ho urlato “C’è nessuno? Io… Beh, io sono sveglio!”

Ancora silenzio.

Quando il messaggio si ripetè per la terza volta cominciai a spazientirmi e battei il pugno sulla porta pressurizzata. Sarebbe servito un esogranchio per infrangere una serratura come quella, ma appena la colpii si mosse leggermente in avanti, sbloccata. Guardai la porta perplesso, e rimasi pietrificato. So che può sembrarti una cosa da poco, ma pensa cosa vuol dire essere sospesi, vulnerabili per cinquant’anni, in una situazione in cui l’infiltrazione di un solo atomo di polvere può distruggerti completamente la ricostruzione del DNA. Mi avevano fatto riempire una pila infinita di moduli, liberatorie e sgravi di responsabilità prima che accettassi l’offerta; ho letto infinite informative sui pericoli e rischi che avrei corso al minimo errore, ma averli appena sfiorati dava un sapore tutto nuovo al camminare ancora su due gambe. Tremavo come una foglia e per un attimo ho cominciato a dubitare di stare davvero bene, magari domani avrei cominciato a vomitare sangue o ad avere crolli psicotici. Avevo ancora quattro arti? Il mio volto! Chissà se era successo qualcosa alla mia testa! Non c’era una superficie riflettente su cui controllare, e se anche ci fosse stata non avrei visto nulla sotto alla tuta. Stavo sudando febbrilmente ma cercai di scacciare la paura con la rabbia, pensai che avrei avrei denunciato l’addetto alla sicurezza o chiunque fosse stato responsabile di… di… non lo so, di tutto quello che sarebbe potuto accadermi! Ma quando aprii la porta, capii che non ce ne sarebbe stato bisogno. Era lì fuori ad aspettarmi, seduto alla sua postazione, in uniforme, poggiato alla scrivania.

Morto.

Molto morto a dire il vero, quel tipo di morte che ti lascia solo delle ossa pulite da qualsiasi forma di pelle, muscolo o residuo molle. Ho urlato e corso per il corridoio a cercare aiuto, inciampando più volte a causa dell’ingombro della tuta, troppo sconvolto per riflettere che lui era ben oltre qualsiasi aiuto gli si potesse fornire. Urlai, inciampai, spinsi da parte sedie e tavoli, e solo dopo alcuni minuti di grida senza risposta me ne accorsi.

Ancora silenzio.

Ero fuori dalla mia cella, ma regnava comunque il più assoluto silenzio: nessuno parlava o camminava per i corridoi, le altre stanze di sospensione accanto alla mia erano ancora sigillate e dal mio casco riuscivo a vedere un grosso strato di polvere coprire tutto. Le olofinestre simulavano fuori una bellissima giornata di sole primaverile, ma il bel paesaggio non alleggeriva la mia paura, creava anzi un’inquietante atmosfera di desolazione. Da quanto era abbandonato quel posto?

Da quanto ero solo?

Nonostante le bombole d’ossigeno fossero piene, mi mancava l’aria dentro alla tuta. Pensai se togliermi lo scafandro, ma decisi di aspettare: di colpo quell’ingombrante guscio mi dava quel senso di protezione che dà un lenzuolo sopra la testa dopo che hai avuto un brutto sogno. E io mi trovavo di certo in un incubo.

Controllai quasi tutto il piano: completamente vuoto se non per gli oggetti abbandonati, polvere ed i resti del mio amico della sicurezza. Le porte del piano erano chiuse, ero bloccato lì dentro. Ora mi sembra tutto lontano e leggero, come un sogno o un racconto sentito da altri, ma in quel momento avevo una paura fottuta. Il cuore mi batteva all’impazzata: ero solo, confuso e spaventato. Urlai con tutta la voce che avevo, fino a farmi male alla gola, mi fermai solo quando cominciai a tossire dolorosamente.

Davvero non era rimasto nessuno? Mi avevano abbandonato e dimenticato?

Vuoi sapere la cosa divertente? Gliel’ho chiesto cazzo. Sì, al mio amico morto! Ho cominciato a parlare con lui, come se potesse rispondermi. Lo so, non ero lucido in quel momento, ma cerca di capirmi: in un futuro sconosciuto, in condizioni di salute sconosciute e solo nel termine più assoluto del termine: solo dentro la struttura senza un’anima che mi potesse aiutare, solo anche fuori senza più nessuno al mondo che mi aspettasse o che mi conoscesse. Semplicemente ed assolutamente solo. Ed è quello che gli ho detto, o per lo più urlato. Tra un singhiozzo e l’altro gli ho chiesto cosa stava succedendo, di dirmi chi era e perchè c’era solo lui! E in un certo senso lo ha fatto. Mentre davo i numeri, mentre lo scuotevo cercando di interrogare lo scheletro più silenzioso della storia, ho visto che teneva furtivo tra le dita un biglietto ingiallito. Fu solo allora che ripresi un minimo di lucidità, lo aveva scritto a mano con una calligrafia tremate e a tratti illeggibile. Ce l’ho ancora, aspetta che te lo leggo:

“Ciao amico, non so se leggerai questo messaggio ma se non lo leggi tu ho il sospetto che non lo leggerà nessun altro. Non so come scriverti questa cosa, ma il mondo sta finendo mentre stai dormendo e non c’è molto che possiamo fare. Ti risparmio le stronzate degli opinionisti negli ultimi anni, ti basti sapere che nell’aria è finito qualcosa che fa marcire chiunque lo respiri, nell’ultimo anno si è diffuso a livello globale ed ora è arrivato sin qua da noi. Stanno morendo letteralmente tutti e stiamo abbandonando la Nave. Ai piani alti hanno detto ai responsabili di bloccare la sospensione delle capsule e disperdere gli atomi delle persone in stasi. Eutanasia la chiamano, un atto di pietà.

Non ho mai ucciso nessuno prima.

I miei colleghi lo hanno fatto, a malincuore, ma io non ci riesco. Non so se sia più crudele ucciderti o lasciarti vivere…. Forse andrei all’inferno in entrambi i casi.

Ti auguro buona fortuna, sono rimasto l’ultimo in ufficio e non so se avrò le forze di uscire. Vorrei rivedere il sole per un’ultima volta, quello vero. Non ti conosco, ma ti auguro ogni fortuna e di riuscire in qualche modo a cavartela.

Carlos”

Povero bastardo. In alcuni punti la calligrafia è tutta tremante e ci sono delle macchie di sangue che… io…

Scusa, ho bisogno di una pausa. Come si spegne questo cos-

Serie: La prima alba


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Fortissimo, davvero, ci sono delle piccole perle volutamente appena sussurrate che secondo me denotano una grande capacità di scrittura. “Come si spegne questo cos-” è un regalo goloso

  2. Interessante e ben scritto. Unico dubbio: l’ incertezza sul futuro dell’ umanita` che spesso gia` ci opprime, possa aumentare, immaginando una realta` cosi` atroce e non del tutto improbabile. Spero vorrai darci qualche appiglio di speranza nei prossimi episodi.

    1. Capisco cosa intendi, ma una storia cupa può anche essere uno specchio di riflessione dal quale risalire. Per questa serie ho alcune idee e punti verso cui mandarla, ma penso che si svilupperà pian piano e si vedrà dove la storia vorrà andare, sarà una sorpresa anche per me!