Spranga e kefiah

«C’è guerra e guerra, così come c’è guerriglia e guerriglia». Valentino accarezzò la spranga come se fosse Brie Larson. Brie Larson, non una diva del cinema sovietico perché lui non ne conosceva. «La guerra in Ucraina, la guerra a Gaza, e poi ci siamo noi».

I guerriglieri della strada lo ascoltavano, annuirono, pure loro lustrarono le spranghe, poi si coprirono il volto con le kefiah.

«Il nostro pantheon sono gli zengakuren, il Maggio francese con Dany il Rosso, poi Rudi Dutschke in Germania, ma la sapete una cosa?» continuò Valentino. Una domanda retorica. «L’unica cosa che mi interessa è che ora, noi, viviamo il presente come un 2024 sconfinato, non ci interessa altro. La storia? Roba noiosa da imparare su banchi di scuola e università. Noi siamo qui per fare una cosa sola». Volse lo sguardo verso la falange di uomini in blu. Se loro indossavano le kefiah ed erano i guerriglieri della strada, gli opliti… o meglio, gli eredi dei legionari romani – in tutti i sensi – stavano avanzando verso di loro battendo i tonfa contro gli scudi in plexiglas rinforzato su cui c’era scritto POLIZIA – proprio così, a caratteri maiuscoli – e si muovevano coperti dal lancio dei lacrimogeni sparati dai lanciagranate che ricordavano quelli dei videogiochi. Sparatutto: Call of duty, Battlefield Bad Company…

Valentino sorrise, sotto la kefiah di Al-Fatah. Al-Fatah era di sinistra, non era come Hamas. «Attacco» disse a voce bassa, ma tutti lo udirono lo stesso:

«Attacco» ripeterono gli altri.

«Attacco! Attacco! Attacco!». Sembrava un film di Michael Bay – anche se Valentino era comunista, o almeno populista di sinistra, ancorato alle ideologie di Mosca e Pechino seppur adesso si trovavano a Caracas, l’Havana e Pyongyang, lui non conosceva il cinema sovietico. Luci del comunismo, e poi? Al cinema davano solo film americani. Non era fascista, né capitalista, lui si diceva l’erede di Che Guevara.

Attacco.

I guerriglieri della strada si lanciarono verso gli odiati pulotti. Valentino ricordò che Pasolini criticò i reduci della battaglia di Valle Giulia dicendo che i figli dei contadini del Sud si arruolavano nella Pubblica Sicurezza – quando la Polizia di Stato si chiamava così – per farsi rompere le ossa dai figli dei ricchi borghesi del nord.

Valentino non era ricco, né borghese, né un ragazzo annoiato. Con la spranga sfondò uno scudo e picchiò degli affondi contro il fegato dell’ispettore Raciti di turno, intanto i compagni piegavano i lampioni come se fossero a Reggio – Reggio Calabria fu un monopolio di Boia chi molla, però – e altri davano fuoco alle macchine se non che scagliavano i cassonetti dell’immondizia come arieti contro le falangi color mare – e quella mossa era stata rubata ai no global del G8 di Genova.

Valentino gridò dopo aver versato sangue, il suo e quello dei poliziotti. Lui vedeva rosso, voleva il rosso, ma non quello del comunismo, ma delle vittime da sacrificare al suo unico dio, non Marx, non Lenin, non Stalin, neanche quello dei cristiani – figurarsi, lui era ateo e bestemmiava non appena si svegliava la mattina – ma quello della violenza.

La violenza.

Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Forse un personaggio così può esistere nella realtà dei nostri tempi. La rabbia è tanta ma non ha un scopo determinato. Sembra più che altro un ultras di qualche squadra di calcio.

  2. Il tuo personaggio ha fatto un mischione di ideologie, contro-ideologie, religione e anarchismo e ce lo ha consegnato come suprema giustificazione ad una suprema manifestazione di stolta violenza fine a sé stessa. Il monologo interiore di Valentino è realistico. Tristemente, troppo, realistico.
    Bravo.