
Teoria della Corruzione delle Memorie Collettive: una ricerca neurosemiotica
Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE
- Episodio 1: INTRODUZIONE
- Episodio 2: Osservazioni preliminari sull’autoconsapevolezza dei sogni residuali
- Episodio 3: Teoria della Corruzione delle Memorie Collettive: una ricerca neurosemiotica
STAGIONE 1
a cura di
Giorgio Traüber
“La memoria non è un deposito: è una nebbia che ci illumina.”
Eliseo Murel, Archivio delle cose mai accadute (2024)
Premessa
Nell’ultimo decennio, numerose comunità digitali hanno cominciato a testimoniare – in modo del tutto spontaneo e spesso inconsapevole – l’esistenza di eventi condivisi mai realmente accaduti. Queste narrazioni emergono sotto forma di ricordi dettagliati, coerenti e profondamente emotivi, ma privi di qualunque riscontro documentale.
Il fenomeno, classificato nei primi studi come Inducted Mnemonic Resonance (I.M.R.)*, ha aperto uno spazio d’indagine nuovo, all’incrocio tra sociologia, semiotica cognitiva e neuroetica.
Questo saggio si prefigge di tracciare brevemente un’ipotetica genesi dei fatti, con particolare attenzione a quei casi in cui la memoria collettiva corrotta non solo si manifesta, ma persiste come sistema culturale autonomo.
Definizione del fenomeno
Con memoria corrotta si intende, in questo contesto, una struttura di ricordi auto-organizzati attorno a eventi mai accaduti, ma percepiti come profondamente reali da una larga collettività.
La coerenza interna, l’assenza di fonti primarie e la resistenza alla demistificazione costituiscono i tre tratti fondamentali di tali fenomeni.
Il caso più noto è il cosiddetto Incendio di Drebenwald (1913)**, una catastrofe che, secondo centinaia di utenti, avrebbe devastato un villaggio tedesco di seimila anime, lasciando solo “poche insegne illeggibili” e “una torre idrica annerita”.
Naturalmente, nessun Drebenwald è mai esistito, in Germania. Tuttavia, la community “Drebenwalder Überlebende” conta ancora oggi più di tremila membri attivi, molti dei quali riportano memorie condivise, fissate in vecchie stampe e dagherrotipi dai dettagli ricorrenti: un orologio campanario bloccato sulle 3:17; una dettagliata struttura urbana, con rigorosa successione di attività commerciali e stili architettonici; un’intera gamma di tratti somatici abbinati a precise identità.
Questa costanza nel descrivere elementi iconici ricorrenti ha attirato l’attenzione dei ricercatori del Centro Studi sulla Memoria Non Storica di Bonn, costringendoli ad aprire una linea d’indagine indipendente***.
Ipotesi neurosemiotica
Secondo i modelli elaborati da Ion Crellin, le I.M.R. potrebbero essere manifestazioni emergenti di contaminazione narrativa subconscia, un fenomeno in cui micro-tracce simboliche agiscono come semi virali in individui predisposti, alimentandosi poi a vicenda, grazie alla connettività digitale.
La mente, incapace ormai di discernere il vissuto dalla fabulazione, in ambienti comunicativi ad alta infodensità e soggetti a costante tensione astrattiva (social network, chat, giochi di ruolo), finisce per naturalizzare informazioni estranee, integrandole nel proprio impianto mnemonico con un processo semiotico noto come mimesi retroattiva.
Questa ipotesi implica che l’origine del ricordo non possa più essere cronologicamente localizzata: esso appare come presente “da sempre”, portando con sé un’intera gamma pregressa di emozioni e intensità affettive, nonostante la sua tardiva introduzione.
Comportamenti comunitari e ricorsività simbolica
Le comunità affette da I.M.R. tendono a sviluppare una struttura rituale: ogni nuova testimonianza viene accolta come conferma latente, nonostante il dato fattuale sia assente o smentito.
Vengono prodotti archivi, mappe, ricostruzioni, a volte persino calendari commemorativi.
Il sito verbrannteerinnerungen.org (chiuso nel 2022) conteneva più di 7.000 file audio in cui i membri registravano “frammenti del giorno prima dell’incendio”, spesso leggendo lettere scritte da fantomatici “parenti perduti”.
Molti di quei messaggi riportavano un medesimo fatto, dal sapore quasi profetico, se letto all’oscuro della loro artificiosità: poche ore prima della tragedia, sembra che una strana forma di follia collettiva si fosse impadronita degli abitanti di Drebenwald, facendoli dubitare della propria esistenza.
Questa ricorsività simbolica – l’utilizzo di formule identiche attraverso canali non coordinati – è stato definito da Lodovico Cavalleri effetto d’eco mnemogenica****: un pattern che si genera senza autore, come se il ricordo si sviluppasse da sé, evolvendosi e ramificandosi attraverso i processi mitopoietici umani.
Ipotesi conclusiva: il ricordo come organismo comunicogeno
Se la memoria collettiva corrotta non è un errore del sistema, ma un adattamento spontaneo all’infodensità della rete, chi ci garantisce che il ricordo individuale non verrà anch’esso intaccato?
Magari, attraverso un graduale scollamento dal senso del vissuto.
Sì, perché è il senso ad agglutinare i mattoni della memoria, a creare quella che si è usi definire storia.
In fondo, la realtà non è altro che una perenne battaglia ermeneutica: una continua serie di complotti, alimentati dall’umana pulsione all’eccesso di senso e veicolati da una comunicazione spasmodica.
In tal caso, in un’epoca di iperconnessione, ogni I.M.R. rappresenterebbe la risultante vincente di una lotta tra organismi narrativi indipendenti: entità che vivono al confine tra fiction e trauma, tra assenza e ricostruzione, amplificate e viralizzate dalla rete.
A questo punto, sarà bene chiarire un ultimo concetto: ogni distorsione mnemonica implica una dimenticanza, e viceversa.
Il vero enigma, dunque, non è se certe comunità – al di là della suggestione – ricordino davvero eventi mai accaduti, ma se, al contrario, possano dimenticare collettivamente intere realtà.
E se l’errore stesse nel nostro non ricordare?
Nessuno, infatti, può garantire al cento per cento che Drebenwald non sia davvero esistita e che, nei loro ultimi, strazianti attimi di vita, i suoi abitanti non abbiano provato sulla loro pelle il futuro senso di oblio che avrebbe avvolto il loro esistere*****.
Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE
- Episodio 1: INTRODUZIONE
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- Episodio 3: Teoria della Corruzione delle Memorie Collettive: una ricerca neurosemiotica
Dimenticavo… l’ immagine mi piace tantissimo 🤩
Grazie ancora!🙏🏻🤗
Stai facendo un lavoro incredibile e affascinante. Mentre leggevo immaginavo i possibili scenari che avrebbero potuto giustificare il fenomeno. La bellezza del tuo lavoro risiede proprio in questo. È fonte d’ispirazione oltre che essere un progetto degno di nota. Complimenti 👏👏👏
Ciao Tiziana! Grazie mille per la lettura e per questo bellissimo commento! Hai colto lo spirito del racconto😄 Gli episodi vanno letti con abbandono, come fossero libri da un’altra dimensione, senza ragionare troppo sul senso complessivo della serie (che comunque si costruirà), tenendo sempre presente che il nostro Traüber, piano piano, si accosterà sempre più pericolosamente alla figura del fanfarone mitomane😂
Argomento affascinante e anche un po’ inquietante. Sono sempre più colpita dal lavoro che stai facendo con questa serie e quanto risulti realistica. Davvero complimenti Nicholas!
Ciao Melania! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Questi piccoli saggi mi servono per delineare indirettamente il personaggio del defunto Traüber. Spero che pian piano inizieranno a trasparire sfumature nascoste e implicite di questo soggetto e del rapporto col fratello🤗
E’ difficile per me commentare il tuo scritto come faccio con gli altri racconti. Sono uno che ha bisogno di pensare, elaborare, rimuginare; ma sappi che mi hai dato un grande materiale per farlo.
Ciao Roberto! Tranquillo😄 Questa serie è, per sua natura, antinarrativa (oltre a essere un esperimento, e gli esperimenti, si sa, non devono temere il fallimento). Ti ringrazio come sempre per la lettura!😊🙏🏻
Leggendo il tuo testo, mi sono ritrovata a riflettere su quanto la memoria sia un territorio fragile, sfuggente, e forse più costruito di quanto immaginiamo. Il tuo è un testo che ti fa dubitare persino dei tuoi stessi ricordi, mettendo in discussione il confine tra realtà e invenzione collettiva. La frase che mi ha colpito di più è: “La memoria non è un deposito: è una nebbia che ci illumina.”
Mi è sembrata potentissima e quasi poetica. Perché davvero, la memoria non è qualcosa che conserviamo in modo oggettivo, come si fa con le cose in una scatola. È più simile a una nebbia che ci avvolge, che a volte ci confonde, ma altre volte ci guida, ci dà un senso, anche quando quello che ricordiamo, forse non è mai accaduto.
Mi sono chiesta quante cose della mia vita, o della nostra storia, esistano solo perché tutti, semplicemente, abbiamo deciso di crederci. E, al contrario, quante cose siano scomparse solo perché nessuno le ha più ricordate.
Complimenti Nicholas 🙂
Ciao Cristiana! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento! La memoria, come avrai già notato, è un argomento a cui tengo moltissimo, assieme all’identità. Ed è evidente il grande cambiamento che hanno subito entrambe, con l’avvento delle nuove tecnologie😊
Incredibile e affascinante. Mi domando se tutto ciò che ricordo sia successo davvero o se forse anche la mia memoria sia stata in qualche modo “manipolata”. Mia nonna diceva sempre: “A menti è un filu di capiddu” (in siciliano: la mente è sottile come un capello, quindi non possiamo fidarci al 100%)
Ciao Arianna! Grazie mille per la lettura🙏🏻 La memoria è un argomento a me caro (sono del Cancro mica per niente🤣) e qui, in particolare, mi ispiro all’Effetto Mandela che, al di là delle speculazioni, è un grande segnale del fatto che i supporti mediatici stanno diventando un prolungamento (e un sostituto) della memoria sociale 🤗
* Crellin, I. (2016). Semantic Contaminations between Neural Networks and Digital Memories. Dublino: SyntagmaLab.
**Cavalleri, L. (2022). Modelli epidemici della memoria. Torino: Volta Inversa.
***Murel, E. (2024). Archivio delle cose mai accadute. Ed. Sparsa.
****Cavalleri, L. (2022). Modelli epidemici della memoria. Torino: Volta Inversa.
*****Note sul caso Traüber-Böhm (archivio privato).
Mio fratello iniziò a interessarsi al fenomeno delle memorie collettive corrotte in seguito a una serie di lettere ricevute da una sconosciuta, tale Clara Böhm, tra la fine del ‘97 e l’inizio del ‘98. Le missive facevano riferimento a una vecchia trasmissione televisiva che, scriveva lei: “da bambini guardavamo insieme, di nascosto, con le ginocchia sul parquet freddo”.
Giorgio era certo di non conoscere nessuna donna con quel nome, e tanto meno di aver mai visto quella trasmissione (Tantagruel, programma inesistente, secondo ogni archivio RAI).
Eppure, in uno dei suoi vecchi appunti, mio fratello annota:
“L’altra notte ho sognato il pupazzo verde con la bocca sempre aperta e, di colpo, ho ricordato la sigla di quella trasmissione. Che l’abbia vista davvero? Stamani ho cercato di entrare in contatto con la signora Böhm: sono andato al suo indirizzo (quello scritto sulle lettere), ma il numero civico non esisteva. Al suo posto, c’era solo un piccolo cippo commemorativo, una lapide e una fotografia, sotto cui spiccava il nome di una certa Marisa Tantagruel.
Dio: quel volto era così familiare.”
Da allora, Giorgio cominciò ad archiviare in segreto “cronache di fatti narrativamente plausibili, ma logicamente corrotti”, lasciando dietro di sé centinaia di schede incomplete, alcune contenenti solo date incerte e frasi spezzate. — G. T.