Terra suicida

DISTRETTO 8


Una pioggerella ultrasottile accarezzava il suolo di un mondo nuovo.

Si diceva che le piogge radioattive sarebbero perdurate fino alla fine dei tempi perché secondo alcune delle poche voci rimaste sulla Terra, gli dei avrebbero punito in eterno l’umanità per aver rovinato il mondo con l’atomica.

Jutta aveva una solida fede nel nulla: ella non solo non credeva, ma aveva fatto del suo ateismo una salda convinzione, un’arma, la principale motivazione per continuare ad esistere giacché con l’Ultima Guerra aveva avuto modo di poter svelare involontariamente la sua più grande paura, ossia quella di sapere di stare esistendo mentre si potrebbe smettere di esistere – di smettere dunque, di provare qualsiasi tipo di sensazione e di emozione da un momento all’altro. Ella non aveva mai creduto a nulla in vita sua, ma quando aveva ormai dato per scontato – mesi addietro, quando le sirene antiaeree suonavano in tutto il continente, che sarebbe sparita polverizzata dalla faccia della terra da un momento all’altro, non aveva visto luci bianche, madonne, tunnel, cancelli celesti o altro. Aveva sempre e soltanto provato paura, come in tutta la sua breve esistenza.

Jutta sapeva anche che con tutta probabilità, condivideva questo tipo di paura con molte altre persone – o meglio, con molti dei pochi rimasti ad abitare il pianeta.

Anche gli animali erano spariti: Jutta ricordava che all’inizio di ogni pioggia, qualche uccellino svolazzava qua e là, alla ricerca di un riparo o del suo nido o di ambo le cose. Ricordava che in primavera, sui begli alberi massicci e robusti che poteva osservare dalla finestra della sua camera, all’inizio di una pioggia, poteva vedere anche qualche scoiattolo andare a rifugiarsi nella propria tana, ossia all’interno dei tronchi degli alberi, nelle loro cortecce.

Gli occhi scuri della giovane invece, al momento non riuscivano a scrutare altro che desolazione dalla finestra rotta: doveva sempre stare attenta a dove metteva le mani quando si affacciava perché schegge di legno si sarebbero potute infilare nella propria pelle in qualsiasi momento.

Vedeva desolazione, ma anche inquietudine e depressione ovunque: quest’ultima riusciva quasi a respirarla se si concentrava a sufficienza perché anche se si trovava al quinto piano di un enorme quanto altissimo palazzo riparato alla buona subito dopo l’esplosione delle ultime bombe, ella riusciva a vedere le sagome delle persone che abitavano quel Distretto, camminare a testa bassa, farfugliare invece di parlare, talvolta singhiozzare. La cosa che negli ultimi tempi era saltata di più all’occhio alla ragazza era che ormai nessuno alzava più lo sguardo verso il cielo.

Il sole era perennemente oscurato e l’aria era costantemente fredda.

Alla televisione, i funzionari del Governo Ombra avevano detto che avrebbero dovuto sopportare a lungo l’inverno nucleare, dunque Jutta si ritrovava spesso a chiedersi se nell’arco della sua esistenza, sarebbe mai riuscita a vedere nuovamente il sole.

Ella ne dubitava, ma non smetteva mai di sperarci.

A volte, la ragazza si chiedeva se fosse l’ultima persona sul pianeta Terra a nutrire ancora della genuina speranza.

Jutta guardava con sguardo perso fuori dalla finestra e nonostante il televisore poco distante fosse perennemente acceso, ella riusciva ormai a dissociarsi con facilità da tutti i rumori e le distrazioni provenienti dall’abitazione ed a concentrarsi quindi, sui suoi pensieri, escludendo tutto il resto mentre passava a volte anche ore con la giacca addosso a prendere freddo appoggiata alla colonna portante per osservare fuori dalla finestra: era il suo unico modo di evadere, quello che nessuno avrebbe mai potuto negarle. Ella viveva con la madre ed il fratello, i quali erano abituati a dissociarsi, difatti non non cercavano mai di disturbarsi a vicenda perché era l’unico modo che loro (e forse anche gli altri superstiti) avevano per trovare la voglia di continuare ancora a sopravvivere.

In qualche modo, la mente di Jutta era riuscita a trovare conforto in quella desolazione che era costretta a a vedere ogni giorno: i palazzi soffocanti, altissimi e tutti stretti intorno a a loro, pieni di buchi, finestre rotte, frantumati in piccole o grandi zone, la facevano sentire come al sicuro proprio perché si sentiva rappresentata: il Poeta Ermetico aveva citato poc’anzi, una poesia di Ungaretti alla radio ed anche se come l’ormai antico autore si sentiva col cuore profondamente straziato, almeno sapeva che tutto e tutti attorno a lei stavano attraversando le stesse ed identiche sensazioni, sebbene poi ognuno reagisse al dolore in modi molto diversi tra loro.

Sopra all’asfalto che abbondava di crepe e crateri ovunque, eseguivano spesso delle ronde le forze di polizia, assieme ai loro cani robot e proprio in quel momento, sotto al palazzo dove risiedeva Jutta, si erano fermati due poliziotti a farsi rapporto: alla ragazza non dispiaceva la loro presenza costante in giro, anche se talvolta erano imprevedibili perché anche se trovava egoisticamente consolazione nella disperazione comune, ella era terrorizzata dalla gente che giorno dopo giorno, andava perdendo il lume della ragione.

La ragazza tornò a posare lo sguardo su uno dei palazzi accanto che costeggiavano la strada e mentre si alitava sui polpastrelli per scaldarsi lì dove i guanti a manopola non arrivavano, ella rimase impietrita da una scena che si presentò con brutale realismo davanti ai suoi occhi: un uomo al quarto piano di quel palazzo di fianco, si era appena buttato dalla finestra e Jutta sapeva che quel tonfo che aveva appena sentito, l’avrebbe perseguitata nelle diverse notti a venire.

– Avete visto? – chiese lei, voltandosi verso il fratello e la madre che stavano a guardare la televisione a basso volume con occhi vitrei, come fossero in uno stato catatonico.

Atum – il cane della giovane, si alzò all’improvviso ed emise un lungo ululato, così come gli altri cani nei dintorni.

– Zitto, cagnaccio! – fece la madre di Jutta con voce acuta ed isterica, lanciando al cane una scarpa che lui prontamente, schivò.

– Mamma! Mi hai sentita? – chiese Jutta, ma la donna era tornata già a guardare lo schermo con gli stessi occhi vuoti di prima.

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