Ti ricordi di me?

Serie: The place


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mina sembra non aver colto la gravità della situazione. Il mondo è precipitato nel caos e lei si è cacciata in poco tempo in un guaio. Corre nei vicoli per sfuggire al pericolo...

Corse allontanandosi dalla strada principale, come se strisciare nel labirinto dei vicoli potesse tenerla più al sicuro. Corse voltandosi in continuazione, inseguita da qualcuno che forse era solo nella sua testa. Tormentata dai suoi fantasmi.

Quanto sono imprudente, si disse. Stupida!

Il mondo non è più lo stesso, Mina bisbigliò una vocina nella sua testa Che ti salta in mente?

Non ho avuto preavviso pensò. Non mi è stato dato il tempo per prepararmi. Ed ecco che ragionava ancora come se il mondo non fosse saltato per aria all’improvviso. Basta con i preavvisi di dieci giorni via posta. I tempi dell’illusione che una porta chiusa a chiave potesse isolarla dal mondo erano finiti. Ora il mondo entrava nella sua cerchia con prepotenza.

Mentre frenava bruscamente impuntandosi sull’’asfalto impolverato, sporgendo il capo per controllare oltre l’angolo del vicolo, si chiese cosa avesse significato, nel vecchio mondo, essere una donna. Tentò di immaginare cosa avrebbe significato esserlo d’ora in avanti. Chissà, forse il genere femminile si sarebbe unito creando un esercito, e insieme avrebbero marciato per le strade della città.

Ma a che scopo? Cosa sapeva fare lei, oltre a stampare fogli e pinzarli creando fascicoli dal valore di pochi dollari?

E cosa sapevano fare tutte le altre donne, oltre a ignorare le colleghe, guardarle male quando sbagliavano, proteggendosi dietro gli sguardi esasperati dei direttori. Oltre a nascondersi nei locali di periferia per trovare un po’ di passione, e tradire la fiducia delle amiche?

Via libera. Mina sgattaiolò per il vicolo fino a un cassonetto dell’immondizia. Vi si nascose dietro e controllò tutte le direzioni; se qualcuno la stava davvero seguendo, lo aveva seminato. Ascoltò il vocio scomposto che giungeva dalla strada principale, chiedendosi cos’avrebbe dovuto fare ora. Non aveva idea di dove sarebbe andata, o dove avrebbe passato la notte. Stava per voltarsi quando udì alle sue spalle lo schiocco di un vetro spezzato. Prima di riuscire a voltarsi avvertì la pressione di una mano sulla spalla.

Si voltò di scatto liberandosi dalla presa, trovandosi davanti un individuo alto tanto da sovrastarla, dal viso lurido ricoperto dalla barba incolta. Dal giaccone sgualcito emanava un odore nauseabondo di vomito e urina.

“Scusami, dolcezza, se ti ho spaventata” disse protraendo la mano, come a volerle accarezzare il volto. Sorrise con i pochi denti rimasti, e Mina riuscì a cogliere in quell’orribile bocca la giuntura delle otturazioni ormai degradate. Indietreggiò di un passo. L’uomo si fece avanti riportando la distanza alla pari.

“Ho visto che giravi da sola” proseguì l’uomo. “Probabilmente non hai dove andare.”

“Ho una casa, invece” disse Mina con fermezza, indietreggiando di un altro passo. A quell’informazione il volto dell’uomo si illuminò. Fece un altro passo avanti.

“Conosco altre ragazze. Abbiamo fatto un gruppo…”

“Non mi interessa.”

“Senti” disse l’uomo gesticolando con le mani. Un altro passo avanti. “Tu hai una casa. A noi serve una casa. Noi… o meglio, io ho del cibo. E scommetto che hai fame. Non è vero, dolcezza?”

Ed era vero, le sue riserve l’avrebbero sfamata non oltre quella sera. Si sentì una stupida per non aver riempito lo zaino di viveri al negozio di alimentari. Mi sono messa a giocare alla commessa pensò. Stupida!

“Non mi interessa” ribatté Mina.

I modi artificiosamente garbati dell’uomo iniziarono a sgretolarsi, mostrando la superficie di qualcosa di nauseabondo. Un qualcosa che aveva cercato di nascondere per pura formalità, anzi in maniera piuttosto professionale, notò Mina.

“Sei una bella donna, saresti perfetta” ringhiò forzando il sorriso e avvicinandosi. Mina cercò di mantenere le distanze, trovandosi con la spalle al muro. “Sai quanti uomini, là fuori-”

“Allontanati!” tuonò una voce dal fondo del vicolo.

Si voltarono, gli occhi sgranati puntati nell’ombra della viuzza.

“Non costringermi a farti del male” disse la voce. Sul volto del balordo comparve un ghigno malefico. Afferrò Mina alla gola e le fece segno di tacere.

“Vediamo se ci riesci” gridò. “Io… non sono da solo!”

Si udirono dei passi. Dall’angolo del vicolo comparve una gamba, poi un braccio; infine la lama di un grosso coltello. Ancor prima che il nuovo arrivato si palesasse, Mina sentì sparire la stretta al collo, e in un istante si ritrovò libera dall’adescatore messo alla fuga.

Poi avvertì il terrore crescere in lei. Un brivido le serpeggiò lungo la spina dorsale mentre l’altro uomo si avvicinava sfoderando la lama affilata. Forse avrebbe fatto meglio ad unirsi all’altro. Almeno non l’avrebbe uccisa.

L’uomo proseguiva con passo deciso, l’ombra dei palazzi sul volto a celarne l’identità. Non che un eventuale raggio di sole avesse fatto la differenza; perché Mina non lo guardava in faccia. Il suo sguardo era fisso sul bagliore della lama, che come un amuleto (di morte) catturava tutta la luce, rabbuiando il resto. L’uomo si avvicinava. Ora Mina avrebbe potuto osservarne i lineamenti consumati, la lunga barba incolta e le vesti logore che ricoprivano il suo corpo. Ma i suoi occhi erano rapiti dall’acciaio brillante del coltello, un’oggetto orribile eppure così affascinante. Attraente, perché in fondo Mina stava contemplando il proprio destino.

Il mio futuro racchiuso in quel pezzo di ferro, pensò tra il panico e la placida rassegnazione. Addio mondo.

Poi l’uomo parlò, e la sua voce spezzò quell’incantesimo riportandola alla realtà.

“Mina” disse. “Mi dispiace di averti spaventata.”

Mina fissò il coltello per qualche altro istante. L’uomo si era fermato a pochi metri da lei, e per un po’ calò il silenzio, interrotto solo da rumori di sottofondo della strada. Poi alzò lo sguardo, rimanendo come pietrificata, mentre tutte le sue paure scivolavano via dal suo corpo, lavate da una pioggia invisibile.

Il volto dell’uomo si illuminò, e Mina non ebbe più alcun dubbio. Come si chiama? pensò provando una punta di imbarazzo. Ma il nome non aveva importanza. Ricordò lo sguardo paterno, il sacco lurido dal quale spuntava un lembo di coperta. Lo stagno, le anatre, il parco, prima che tutto cadesse a pezzi. L’uomo che le stava davanti era un vecchio.

“Sono Oswald” disse. “Ti ricordi di me?”

“Non mi aveva detto il suo nome, credo” mormorò Mina. “Però sì, mi ricordo di lei” aggiunse, gettandosi fra le sue braccia.

Serie: The place


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Discussioni

  1. molto belle le riflessioni sull’universo femminile. Mi è piaciuto molto come hai inserito il barbone della panchina, dandogli spazio nella storia. Mi ha fatto riflettere su come a volte i personaggi riescano a guidarci nella storia, a prendere inaspettatamente il proprio posto, anche quando magari avevamo pensato ad altro.

    1. Ciao! Mi fa piacere che le considerazioni sulla “Mina donna” e sull’universo femminile ti siano piaciute. Spero solo di non essere caduto nella banalità. Come ho già scritto in altri commenti, mi piaceva troppo il personaggio di Oswald per relegarlo a una sola comparsa. Credo che assieme a Mina sarà la locomotiva di questa storia.

  2. La storia sta diventando sempre più avvincente. Il punto di forza di questo episodio, sono i dialoghi: realistici e incalzanti. La trama avanza rapida grazie allo scambio di battute.

    1. Sapevo che avrebbe fatto colpo 😉
      A dire la verità il personaggio si Oswald l’ho messo “per caso”. Nel senso che non era previsto inizialmente, ma quando ho scritto il capitolo 4 (appunto quello della panchina), mi è piaciuto troppo per non inserirlo nella trama!

  3. Mina ha finalmente, e suo malgrado, acquisito una lucidità che prima non aveva e che è l’unica sua arma per cercare di sopravvivere. Come se si fosse risvegliata da un sogno lungo una vita. Sei molto bravo a delineare i personaggi, che sia attraverso una caratteristica fisica, oppure un gesto. La storia continua a essere molto intrigante.

  4. “si chiese cosa avesse significato, nel vecchio mondo, essere una donna. Tentò di immaginare cosa avrebbe significato esserlo d’ora in avanti”
    Davvero molto lucida questa tua considerazione sull’universo femminile che, genericamente, corrisponde proprio a questo. Sarebbe proprio il momento di dimostrare il contrario.