Un giovedì per caso a casa nostra 

Fabrizio era l’unica persona per cui non avevo mai avuto paura di cucinare, ero una ragazzina che più ci teneva alle persone più arrossiva come le pesche in primavera e più rischiava di fare pasticci per colpa delle proprie emozioni.

Con Fabrizio non era così, era il solo per cui a me sembrava di aver cucinato com’ero in grado di fare, con passione e voglia, e quella maestria di trascinare fuori dal mio cuore gli ingredienti più golosi per poi metterli nel piatto e farli percorrere da un altro cuore, con un boccone contagiare il buon umore e poi delicatamente far germogliare un sorriso di sapore.

Forse era per la sua pipa, che accendeva così raramente ma che spargeva mille note suadenti di tabacco e cioccolato dentro casa mia e scie lunghe di terra secca e profumi minuscoli di funghi umidi, la teneva spesso in mano come fosse un gioiello maschile da mostrare con vezzo, la succhiava tra le labbra ma non la mordeva mai, poi si passava una mano tra i capelli folti e lunghi fino il collo che erano come un miele di castagno e subito dopo li faceva ricadere sulla fronte, quando guardava fuori dalla finestra come fosse pensieroso essi erano di un color caldarrosta profondamente inteso e carico di sfumature, lui portava maglioncini classici e quasi sempre blu adagiati sulle spalle, ogni tanto gli cadevano sulla schiena di camicia azzurra o bianca, così liscia e perfettamente stirata, faceva sembrare quei gesti così incredibilmente eleganti e naturali che si poteva essere completamente ammaliati dalla sua persona così pacifica e serena, placida anche negli accenni di voce solo un poco più alti, aveva quasi quarant’anni e non faceva nulla per nasconderli e questo lo rendeva ancora più affascinante, pareva uscito da uno di quei libri di cui io e lui parlavamo spesso, un bambino giocoso con le sembianze di un uomo maturo che non aveva ancora messo ordine nella sua vita e che però della vita sembrava amare ogni piacere, era l’amico di famiglia più particolare e sincero che mi sembrava di aver mai vissuto in casa mia e mi ero davvero affezionata a lui, quando arrivava a casa era come se già sentissi in lui i profumi di quello che gli avrei cucinato, con le mani a montare la maionese e la frenesia di non farla impazzire, a pulire gambi di sedano e farli fare scenograficamente una cascata di cui lui mi avrebbe lusingato e avremmo riso tutti insieme, io e lui e i miei genitori, insieme davanti al cibo che veniva diluito in tempi di chiacchiere lunghissimi e nonostante questo di esso non avanzava mai nemmeno una briciola.

Persino in cucina era difficile ripulire le padelle con le dita o sporcarci dentro del pane prima di metterle a lavare, non si trovava più nessun cucchiaio da posare sulla lingua e farlo scivolare fuori per lucidarlo di piacere e papille gustative. Avevamo mangiato anche le ombre del sugo.

Era per la sua pipa. E per l’amicizia con mio padre, quando si mettevano a parlare lontano dai noi donne e poi tornavano abbracciati a guardare cosa stavamo preparando, si alzavano i calici e si spezzavano pezzi di focaccia o grissini, si stuzzicavano i denti con olive grosse e verdi e succose, si parlava tra una stanza e l’altra con in mano qualche pezzo di parmigiano, e senza rendercene conto stavamo già cenando d’amicizia.

Fabrizio capitava da noi precisamente ogni giovedì pomeriggio, puntale e mai assente ai nostri aperitivi e alle nostre cene. Tutte le volte diceva che passava di lì per caso e noi facevamo finta di crederci, arrivava fischiettando sulle Porche metallizzate basse o sfoggiando cappelli larghi su Range Rover opachi e alti, ci veniva incontro con la sua pipa spenta e l’impermeabile sul braccio e diventava per noi un libro vivente di storie.

Quella sera stappammo tutti insieme lo champagne, cuscini bordeaux ci sorreggevano raggruppati nello studio più piccolo che dava sul terrazzo ed era come se le bollicine fossero eco piccoli e vibranti dei nostri sorrisi, nel riflesso delle coppe tonde piene di oro spumeggiante si mischiarono insieme i colori dei nostri occhi e quelli del tramonto di un melograno intenso che dalla finestra ci dipingeva addosso l’ingresso del rosso della sera.

Era per questo che io per lui cucinavo così tranquilla, per il suo sorriso abbozzato tra il gambo della sua pipa e riflesso nello champagne, quando appoggiava il suo capello all’ingresso e mi chiedeva se avevo letto il libro che mi aveva detto, poi si sedeva sul divano e aspettava di mangiare e di sentirsi meno solo, in un giovedì per caso a casa nostra. 

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Discussioni

  1. Esprimo un commento dal punto di vista dell’ospite che, in questo caso, ha avuto la fortuna di trovare in casa di amici il calore e l’affetto che a volte mancano in casa propria. Per gli amici di famiglia vale lo stesso principio delle adozioni: i legami affettivi contano quanto (se non di più) quelli di sangue. Fabrizio dev’essere stato molto fortunato a trovare la vostra porta di casa aperta quando, un giovedì a caso, aveva voglia di circondarsi di persone care al punto da evocare il concetto elastico di famiglia. Perchè solo tra familiari si cucina con spensieratezza, senza il timore di sbagliare o di essere giudicati. E se la pasta perde un po’ di cottura chi se ne importa.

      1. Su questo racconto ho poca obbiettività perchè effettivamente rappresenta un mio momento personale, quindi non ho fatto altro che ritrasmettere le emozioni del vivo e pieno ricordo, in questo caso non ho molto merito di fantasia, volevo solo fondere insieme il concetto di famiglia e affetto attraverso la casa come simbolo di luogo e l’amicizia come rappresentanza di uno stato mentale molto potente, al di là dello sfavillio e la particolarità di ognuno, tutti possiamo sentirci soli, nel profondo, e tutti meritiamo e abbiamo bisogno di posti in cui arrivare senza chiedere troppo permesso, perchè in qualche modo già ci aspettano… scrivendo un racconto come questo volevo che ognuno, per una piccola pagina potesse essere Fabrizio, felice dunque che ti possa essere sentito come lui, e se proprio c’è bisogno di un ulteriore prova, vi aspetto tutti a casa mia, dove magari la pasta non la faccio scuocere ma se mi perdo in chiacchiere potrei fare altri danni 😀