Un pacchetto di sigarette

Sonno e stanchezza nemmeno a parlarne.

Guido la mia vecchia automobile scassata e non sono ancora stanco di star seduto sul sedile sfondato. La radio prende male, quelle poche stazioni trasmettono solo parole a vanvera, per me prive di senso. Nel porta oggetti ho solo due musicassette che ho imparato a memoria. Tanto vale farne partire una…così, per compagnia. Canto. Mi accendo una sigaretta. Nel pacchetto me ne sono rimaste un bel po’ e sono sufficienti per proseguire.

Ho trascorso tutto il giorno in giro a zonzo. Solo. Senza una meta precisa vago per i paesi vicini alla città dove sono nato. I campi aridi non hanno senso con il buio e le vigne sono illuminate dalla luce debole della luna nascosta da sporadiche nuvole. Vengo distratto dalla luce verde accecante del casello. Ho deciso di andare in autostrada. Direzione “Mare”.

L’autostrada è deserta, mi accendo un’altra sigaretta solo per compagnia anche se non ho nessuna voglia di fumare. Penso a lei, un amore sbocciato a quindici anni e definitivamente distrutto a quarantacinque. Erano mesi che si stava sgretolando come quando la creta ormai secca si attacca alle mani. Entrambi facevamo finta di niente e cercavamo un amore ormai sparito tra le braccia di altri.

<< È ora di ricominciare da capo >> penso dentro di me. Ho solo voglia di sfogarmi e guidare all’infinito. Non è un periodo facile ma passerà. La vita è fatta di periodi, belli e brutti e sono proprio gli ultimi che rendono quelli belli, ancora più belli, in modo che puoi goderteli fino all’ultimo secondo. Fino alla batosta successiva.

Amici pochi, ma buoni. Su quello so che ci posso fare affidamento, non ci siamo mai voltati le spalle. Capita qualche litigio per il pallone, in gioventù qualche azzuffata per la ragazza ma poi finivamo a bere da Lello e finiva tutto “a tarallucci e vino”.

Ho parcheggiato la macchina lungo la via che costeggia la spiaggia che i cittadini chiamano “la passeggiata”, cammino sotto il grande orologio che mi copre la visuale della luna. Cammino scalzo sulla sabbia tiepida fino alla riva dove l’acqua mi bagna leggermente i piedi e mi regala un senso di sollievo. Mi accendo un’altra sigaretta in compagnia della risacca e soffio il fumo in aria mentre guardo il molo. Un gruppo di ragazzi pesca, vedo delle bottiglie di birra.

Torno indietro, ho voglia di un gelato ma la mia gelateria preferita sta chiudendo, la commessa ormai ha chiuso la porta a vetri e mi fa cenno con la mano che è chiuso. Forse non si fida. Le due notti in bianco mi hanno regalato i capelli tutti sgrendinati, la ricrescita della barba e due profonde occhiaie; non avrei aperto nemmeno io ad un tipo così, penso mentre mi specchio nella vetrina di un negozio di abiti di lusso.

Un rintocco di campanile, riparto con la macchina in direzione della città per godermi ancora l’autostrada deserta, una sensazione che quasi mi emoziona e ho modo di pensare a qualche buona ragione per tornare a lavorare lunedì.

Voglia zero, sonno zero, stanchezza zero. Continuo a guidare. Un’altra sigaretta e penso ai bei momenti passati con Elisabetta.

La prima gita in macchina quando presi la patente, a lei mancava ancora un anno e io guidavo la Ritmo di mio padre verso Viareggio. La sua dolce mano sfiorava la mia, il vento muoveva i suoi capelli neri. Eravamo poco più che ragazzi. Il nostro decimo anniversario in un ristorante di lusso e una nottata trascorsa in giro mano nella mano.

Conosco Elisabetta fin dalle scuole elementari, siamo nati e cresciuti insieme nel solito paese, il solito bar, il solito gruppo di amici.

Mi fermo all’unica stazione di servizio che ho trovato lungo il tragitto, è vecchia e poco illuminata. Il parcheggio è colmo di camion in sosta.

Un ragazzo alto molto magro con gli occhiali al bancone, ordino un corretto a Sambuca, quel profumo forte e dolciastro mi riporta indietro di anni; non so perchè mi ricorda le domeniche, per poco mi solleva il morale poi mi abbandono di nuovo alla solitudine. Mi accendo un’altra sigaretta e ne compro un’altro pacchetto per paura di rimanere senza.

Cammino lento intorno alla mia macchina, vengo distratto da sporadici rumori di auto che sfrecciano in direzione della città. Faccio l’ultimo tiro poi apro la portiera della macchina e mi sono accorto che non l’avevo nemmeno chiusa

<< Tanto chi vuoi che me la ruba questa vecchia carriola? >> penso dentro di me.

Mi siedo, accendo la radio ma la cassetta che ho messo dentro mi ricorda troppi momenti con lei. Impressionante come la musica faccia rivivere il passato. Impressionante come riesco a tornare indietro solo chiudendo gli occhi e lasciarmi andare nel vuoto di quel burrone che le note mi provocano nella mente.

Cerco di mettere in moto ma la macchina sembra fare i capricci.

Sonno nemmeno a parlarne, stanchezza nemmeno, incredibile come il mio dispiacere venga convertito in energia.

Mi accendo un’altra sigaretta, guardo le luci fioche che illuminano la stazione di servizio, ascolto in silenzio i rumori sistematici delle macchine.

Sento qualcosa alla gola, simile a un groppo, tossisco ma si fa sempre più forte. Qualcosa di metallo freddo mi trafigge il collo. Non mi sono accorto di nulla. Lo sportello dietro si apre e qualcuno lo richiude violentemente. Mi trascino fuori dall’auto in cerca di qualcuno o di qualcosa che possa aiutarmi ma non ho nemmeno le forze di urlare. Mi sto rendendo conto che le mie notti d’insonnia termineranno stasera. Per sempre. Mi sto spegnendo in questo parcheggio buio di una stazione di servizio ai piedi del “Quiesa”.

Vedo sfuocata un ombra, un ragazzo giovane che trema, dalla bocca esce saliva, pronuncia frasi crude di cui non capisco il significato ma riesco a vedere che ha una maglietta gialla chiazzata di rosso. Si allontana piano, con il coltello in mano lasciandomi in una pozza di sangue sdraiato nel parcheggio. Mi dispiace non aver avuto modo di salutare i miei affetti, i miei amici, Elisabetta. Non è colpa mia.

* * *

Erano passati pochi giorni quando Elisabetta, nel salotto della casa che avevano acquistato lesse l’articolo in cui i giornali resero pubblica la conferenza stampa con la polizia.

Non lo sentiva da tutto il fine settimana, ormai non si preoccupava più. Ultimamente le notti erano notti diverse, notti solitarie, durante la settimana dormivano separati, sul divano lui, nel letto lei. Il week end ognuno per conto suo, a sua insaputa lui dormiva in macchina e non credette nemmeno che quella domenica sera non sarebbe rientrato. Il giorno dopo avrebbero iniziato le pratiche di separazione. Consensuale. Entrambi erano coscienti di dover ricominciare da capo. Lo volevano, il sentimento ormai era svanito. Erano coscienti che nonostante si volessero bene non avevano più nulla da condividere.

La notizia della sua morte le causò un vuoto incolmabile, nottate trascorse a vedere le fotografie delle estati a Viareggio, in spiaggia, sotto il grande orologio. Erano poco più che ragazzi incoscienti del mondo adulto, delle trappole, delle tentazioni in cui l’essere umano potrebbe cadere.

L’anima di quell’uomo con cui aveva condiviso mezza vita, era in cielo e lei non poteva non piangere pensando ai suoi abbracci.

Nei boschi, si aggirava una persona pericolosa, battezzato dai media “il killer del Quiesa”.

Era iniziata la caccia…

la storia è completamente frutto della fantasia dell’autore

gP

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Discussioni

  1. La conduzione di questo brano è precisa nella apertura e chiusa delle frasi che genera un ritmo, mi appare differente dagli altri che ho letto qui. Curato in tutti i dettagli, interiori e ambiente, un continuo realistico viaggio tra il dentro e il fuori. È una storia che ci consegna un’altra storia, nel finale un’altra ancora. Questi luoghi mi sembrano familiari ma ancora non riesco a mettere a fuoco. Piaciuto.

  2. il punto di forza secondo me, paragonato ad altri e anche a me, è che questo scritto è come la macchina: sa’ dove andare, anche se non conosce precisamente la meta: sentimenti sono racchiusi bene e non c’è dispersione, questo fagocita la voglia di leggere fino all’ultimo rago

  3. Beh, cavolo, il finale mi ha davvero spiazzato. Mi è venuta una spontanea empatia col protagonista, e devo dire che le tue parole riescono bene a trasmettere il suo stato d’animo.
    Ottima idea, a mio avviso, anche quella di utilizzare la narrazione in prima persona nella prima parte del racconto, quella incentrata su di lui, e la terza, più distaccata, per la “quasi-ex-moglie”.