Vicolo cieco

Serie: Ettore


Il rumore del bastone era cadenzato. Il suono si avvicinava minaccioso dall’umido corridoio, lo stesso che Ettore aveva percorso qualche minuto prima.

Chi stesse arrivando non era un mistero, lo sapeva benissimo. Non c’era bisogno di presentazioni.

Gli occhietti cerulei del sessantenne lo scrutavano dall’alto in basso. Fece cenno con il capo. Ettore si sedette. Il padrone di casa guardò l’altro uomo, che con un lieve balzo si avvicinò all’altra sedia e la tirò fuori da sotto il tavolo prestando attenzione a non strisciare.

Sedutosi di fronte al giovane, appoggiò il bastone al tavolo, impugnò il coltellino francese che era conficcato sul tagliere, prese con la mano libera un salame, ne tagliò una fetta, la svestì del budello e, adiacente alla lama del coltello, la porse al giovane.

Ettore accettò in silenzio. Portò il salume fatto in casa alla bocca, lo morse e lo assaporò. Fu una gioia per le papille gustative, un’esplosione di gusti che uscì fuori pure dagli occhi. L’uomo se ne accorse e se ne compiacque.

«Ti piace?»

«Il miglior salame che abbia mai mangiato in vita mia, signor De Rosa.»

«Si vede. Piglia, piglia. N’autru muccuneddu?»

«Volentieri.» Fofò De Rosa gli avvicinò la seconda fetta, poi ne masticò una pure lui. Ripulitosi dall’unto con un tovagliolo, l’uomo guardò Ettore con occhi impassibili.

«Lo sai perché sei qui?»

«Lo posso immaginare.»

«E si fanno ‘ste cose?»

«Ci sono molte cose che non dovremmo fare. Purtroppo per un motivo o un altro ci ritroviamo a fari minchiati. Per noi o per gli altri. Per l’onore.»

«Ti riferisci forse a quello che sto pensando?»

«Signor De Rosa…»

«Basta con sto signor e signor, parla chiaro, si nun ti tagliaru li palli in villeggiatura.»

«Sono stato un bel po’ di anni dentro, da innocente, di mio parlo poco, là dentro ancora meno. Convivevo con i miei pensieri, ma quelli degli altri non li so ancora leggere. Nun nu sacciu chi sta pinzannu Vossia.»

«Cinque anni. Non sono pochi, ‘u sacciu, e tu li volevi indietro con una semplice motocicletta?»

«La motocicletta non era per me, non me ne frega niente a mia delle moto. Mi servivano soldi e l’ho fatto.»

«Per i denti, giusto? ‘ddu fitusu era pure amico tuo, te li poteva regalare.»

«Ognuno ha il proprio mestiere ed è giusto pagare per un lavoro.»

«A qualsiasi prezzo?»

«A qualsiasi prezzo. Giuseppe Mezzapelle non ne lascia debiti.»

«E conti in sospeso?»

«Nemmeno.»

«Tu che mestiere fai?»

«’u disoccupatu.»

«Vuoi lavorare per me?»

«Che tipo di lavoro?»

«Discreto.» Alle spalle di Fofò si avvicinò il suo uomo con una busta gialla ben sigillata. Il contenuto fu sparso sul tavolo: una carta d’identità, una tessera sanitaria, un libretto per la detenzione d’armi e l’attestato di un corso come guardia giurata. Tutti i documenti erano intestati a un certo Giacomo D’Alessandro.

«E chi sarebbe ‘sto tizio?»

«Da adesso questo sarà il tuo nome. Ti farai assumere da Mounier nel suo servizio di sicurezza. Sarai i nostri occhi e le nostre orecchie là dentro.»

«E che ci guadagno io?»

«Una nuova vita, doppio stipendio, uno da parte nostra e uno del tuo lavoro fittizio, ti sembra poco? Sempre meglio che finire sottoterra.»

«E se mi rifiutassi?»

«Alzati e mettiti contro quella parete.» Il tono di Cori di cani non ammetteva repliche.

Serie: Ettore


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