
Voce del verbo “sentimentare”
Serie: Genio sovraumano
- Episodio 1: Strane combinazioni
- Episodio 2: Le strade della solitudine
- Episodio 3: Il seme della paura
- Episodio 4: Il linguaggio dell’amicizia
- Episodio 5: Voce del verbo “sentimentare”
- Episodio 6: Il valzer dei talenti
- Episodio 7: Il lato oscuro e il lato giusto di Dio
- Episodio 8: Daimonion
- Episodio 9: La rosa dei venti
- Episodio 10: Panta Rei
- Episodio 1: Al cader della giornata
- Episodio 2: Yin e Yang
STAGIONE 1
STAGIONE 2
– Li hanno ammazzati, li hanno ammazzati tutti
– Quei bastardi giù in città !!!
– Ero lì, li ho visti, ho visto tutto
Dejan annegava nel pagliericcio ormai pregno degli umori del suo esile corpicino, dopo una nottata trascorsa fra spasmi e deliri. Il ricordo aleggiava nella sua mente in fotogrammi a 70 millimetri che gli ribalzavano in ripetute cicliche di una nitidezza imbarazzante. Si era accomodato lì, proprio in prima fila, davanti al palco che aveva inscenato l’eccidio dei suoi genitori, spettatore privilegiato di un’atrocità che non aveva potuto impedire.
– Non posso credere che sia successo a me, non è giusto, perché a me? perché proprio a me?
In tre anni di una sanguinosa guerra fratricida era stato testimone di situazioni che non dovrebbero comporre il bagaglio di esperienze di una giovane vita; contingenze infami attraverso le quali era passato con quella sana incoscienza, dietro cui solo l’animo innocente di un bambino può pararsi: resti di corpi incastrati nelle macerie degli edifici fracassati dalle granate, neonati in fasce strappati dalle braccia di giovani madri disperate, sirene martellanti nella notte ad interrompere i sonni affannati, l’acre miasma della detonazione degli esplosivi e poi le corse disperate nei bunker. Tuttavia era sopravvissuto e con lui fino a quel punto era sopravvissuta la sua famiglia che mestamente cercava di tornare a quella quotidianità, di cui solo chi ha superato indenne le asperità di un conflitto a tal punto violento, pervasivo ed insidioso, può gustarne i ritorni scanditi nel ritmo flemmatico della sua monotonia.
Era stata quella specie di guerra subdola che si insinua nella routine della gente comune e la insozza; una guerra “porta a porta”, che come un retrovirus nel ciclo di replicazione, converte il proprio genoma nel DNA dell’ospite e lo infetta, trascinandolo nella spirale senza fondo delle sue dinamiche perverse.
Dejan non poteva credere che fosse successo proprio a lui. Non poteva credere che alla fine, proprio alla fine, la tragedia avesse toccato pure la sua famiglia. Se l’erano cavata, sempre fluttuando sul labile confine che separa una salvezza rabberciata dal baratro, ma se l’erano cavata; grazie all’influsso di una buona stella certamente, ma soprattutto grazie ai mille magheggi di Sinisa che sempre, per quanto potesse, era stato pronto a tirar fuori l’ultimo disperato coniglio dal cilindro. Quella volta no, quella volta era toccato proprio a loro e Dejan non se ne capacitava, per tutte quelle volte che invece era successo agli “altri”: al vicino di casa magari, al cugino dell’amico o all’amico stesso.
Era sempre andato avanti, forte nella convinzione di essere si parte di quello scempio, ma come una comparsa invisibile, per qualche strana ragione invulnerabile, come se quello che ogni giorno si palesava ai suoi occhi ci fosse, ma non potesse in nessuna maniera toccarlo.
Sono cose che succedono agli “altri” non certamente a me – sosteneva – nulla di male può accadermi per il solo fatto che esserci adesso, può avere un senso solo se ci sarò anche domani. Non aveva mai pensato evidentemente che, se quel domani tanto agognato potesse essere lì ad aspettare lui, alla categoria degli “altri” appartenevano di certo anche i suoi familiari, per i quali un domani non ci sarebbe stato.
Una lacrima di dolore attraversava il viso di Nicaor, svelando un’emozione che fino a quel momento aveva saputo nascondere pur di tranquillizzare il ragazzo affidato alle sue cure.
Aveva perso un amico e non è mai la stessa cosa quando ad andarsene sono quelli che ti sono amici. La sua amicizia con Sinisa apparteneva a quelle di un tipo raro: le amicizie “a prescindere”, quelle purissime, non dettate da nessuna ragione di convenienza. Si erano visti e si erano riconosciuti amici, sin dal primo momento.
Ricordava Sinisa risalire periodicamente la china del passo che portava al monastero trasportando provviste di ogni tipo; lo aveva sempre fatto benché in realtà lui non gliel’avesse mai chiesto e aveva continuato a farlo durante quegli anni di guerra, anni in cui proprio l’essenziale scarseggiava sempre. Sinisa lo faceva per amicizia appunto e in cambio chiedeva solo di bearsi nei racconti delle avventure da cittadino del mondo di Nicaor. Era sempre stato a Bar e poi si era trasferito a Split; il suo orizzonte di viaggio si era fermato lì.
Non poteva credere ad esempio che in Thailandia mangiassero scorpioni fritti, scarafaggi e cavallette arrostite, come non poteva credere che nel villaggio della tribù Karen di Chiang Rai, al confine con la Birmania esistessero le donne giraffa. Era un uomo dai modi semplici Sinisa, ma quei racconti lo facevano sognare ed ogni volta quell’impervia salita verso il monastero, rappresentava per lui una dolce evasione esotica.
Più di tutto rimaneva impressionato dai racconti su Medellin, la perla di Antioquia che sovrasta la cordigliera andina: regno della Cumbia che risale dal barrio, regno della mujer latina caliente, quella che sa far bene all’amore, ma soprattutto patria di Pablo Escobar “el Patron del Mal”, di cui tante volte in quegl’anni nefasti aveva sentito parlare nei telegiornali e che Nicaor aveva suo malgrado conosciuto da molto vicino.
Era un uomo buono Sinisa, non avrebbe torto l’ala di una mosca, ma i racconti sulle nefandezze di quell’uomo, in un certo qual modo lo appassionavano. Rimaneva attratto in particolare dalle dinamiche su cui si inerpica la costruzione di un sistema di potere. Era irrimediabilmente affascinato da chi sa costruirlo e dopo averlo costruito sa esercitarlo e dunque mantenerlo; per questo era istintivamente incuriosito dalla parabola di Escobar.
La notizia della morte di Sinisa trascinò Nicaor in uno sconforto profondo, malcelato agli occhi del giovane. Non era solo per il fatto che fosse morto, era anche perché morendo aveva trascinato con se quell’unico brandello di affettuosa amicizia che lo legava al resto del mondo e su cui Nicaor aveva costruito gran parte del suo processo di riconciliazione con se stesso.
– Ama gli altri e amerai te stesso – soleva ripetersi.
Aveva amato quell’uomo così diverso da lui, perché in lui riconosceva l’universalità dei sentimenti: di come si possa amare qualcuno per il semplice fatto di essere un uomo, benché di diversa estrazione e provenienza, ma un uomo affine a livello dell’anima e questa simbiosi che in poco tempo, insieme, erano riusciti a costruire lo aveva sempre riempito di meraviglia e gratitudine. Aveva conosciuto un sentimento “a prescindere”, un sentimento incontaminato a 13000 km da casa sua e su questo cardine era riuscito a ricomporre i suoi passi lungo gli ostici sentieri della riscoperta della sua coscienza, persa nei meandri di una prima vita fatta di futilità insensate. Aveva amato Sinisa ed in questo modo aveva incominciato ad amare se stesso.
Aveva amato Sinisa così come una volta, aveva amato Ysenia ed anche quello era stato amore. Nelle asperità di quella vita riparata, aveva inteso un concetto basilare, tanto scontato nella sua semplicità quanto inaccessibile alla moltitudine mondana. Aveva compreso che non esiste una differenza nei sentimenti e che è inutile nominarli in vario modo; esiste invece un’unica matrice appartenente al bene ed è quella dei buoni sentimenti, che si traduce in azioni buone ed una appartenente al male ed è quella dei cattivi sentimenti che si produce in opere malvagie. Così aveva compreso che si può “sentimentare” chiunque: che sia un uomo o una donna, un familiare, un amico, un vecchio o un bambino e le differenze nel sentire non appartengono ad una diversa specie di affetto, bensì ad una differente gradualità dello stesso; perché la diversità non sta tanto nel modo di esternare un sentimento o nel suo destinatario, ma nella sua misura.
Serie: Genio sovraumano
- Episodio 1: Al cader della giornata
- Episodio 2: Yin e Yang
Il titolo, da solo, per la sua originalità e per il concetto espresso, vale l’intero LibriCK. Non male come sempre lo stile, anche se alcuni passaggi possono sembrare un po’ troppo ”raccontati” – un po’ di azione e di dialoghi aiuterebbero a tenere alta la tensione della storia. Vado all’episodio successivo. E comunque scorgo in queste righe la tua passione per i viaggi.