2. Adelphos

Serie: L'imperfetto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: .

Le strade di Atene odoravano di vino rancido e pietra bagnata. Lucian e Neriah camminavano da ore, avvolti da un silenzio che pareva antico quanto la città stessa. Ogni tanto scambiavano parole senza peso, destinate a svanire nell’aria come fumo disperso. Dalle finestre socchiuse, luci tremolanti disegnavano ombre fugaci sui muri. Qualcosa, o qualcuno, si muoveva dietro quei vetri, troppo in fretta perché lo sguardo potesse coglierne davvero l’essenza.

Giunsero a una taverna dimenticata. L’insegna, corrosa dal tempo, oscillava al ritmo del vento.

Lucian si fermò. Dal fondo della taverna lo chiamava qualcosa: non una voce, ma un battito sommesso, familiare. Come il suono di una spada che colpisce il marmo.

Si voltò verso Neriah. Â«Voglio entrare da solo.»

Lei lo fissò, senza il solito sorriso. Â«Non è una buona idea.»

Lucian sostenne il suo sguardo. Â«Lo so.»

Per un momento, sul volto di lei passò un’espressione difficile da decifrare, qualcosa tra la rassegnazione e la consapevolezza. Â«Come vuoi.» Nulla più. Si allontanò, dissolvendosi nelle ombre, solo il fruscio della sua veste rimase nell’aria, un ultimo avvertimento.

Lucian restò immobile davanti all’ingresso, da dentro arrivavano risate, odore di carne bruciata, vino, spezie e fumo.

Lasciò che quel caos lo attraversasse. Era tutto lì: il disordine, la fuga. L’illusione di libertà che gli uomini chiamano vita.

Entrò.

Gli occhi impiegarono un istante a distinguere i volti, i gesti, le mani che giocavano d’azzardo o si stringevano in pugni. Camminò tra i tavoli come in sogno. Poi, lo vide. Il guerriero dorato era lì. Seduto, il volto rischiarato dal bagliore rossastro delle torce.

Lucian lo guardò con attenzione. Il volto gli parve familiare, ma non avrebbe saputo dire perché. Forse per quella calma, o per il modo in cui la luce si rifletteva sulla pelle, come oro consumato dal tempo. Qualcosa, in lui, faceva pensare alla guerra. O a un ricordo troppo vicino per essere vero. 

L’uomo alzò lo sguardo. Â«Adelphos!» La parola risuonò nel locale come un richiamo millenario.

Per un istante, Lucian credette che fosse rivolta a qualcun altro. Poi vide il calice dell’uomo sollevato in un gesto lento, quasi rituale, e capì che stava parlando con lui.

«Vieni, siediti con me.»

Si mise a sedere, il rumore della taverna sembrava dissolversi a poco a poco. Osservò il volto dell’uomo: scolpito come una statua antica, duro e sereno insieme. I capelli, chiari e spettinati, gli cadevano sulle spalle. Una cicatrice sottile gli attraversava la tempia come un segno di memoria. Gli occhi, profondi, avevano il peso di chi ha vissuto troppe battaglie.

«Hai mai notato» disse il guerriero, ruotando il vino nel calice «che dopo una battaglia il vino sembra più rosso?»

Lucian lo fissò. Â«Forse perché la guerra lascia in bocca un sapore che solo il vino può lavare via.»

Un accenno di sorriso increspò le labbra dell’uomo. Â«Tu non combatti per vincere.» sorrise. «Lo si vede dagli occhi.» Il vino nel calice tremolava come sangue sotto la luce.

«Forse è così. Non so neanche cosa mi abbia spinto a sfidare quella bestia.»

Il guerriero annuì. Â«Eppure lo hai fatto, mi hai salvato.»

Il ricordo del colosso colpì Lucian come un’eco: il marmo macchiato di nero, il peso della spada, gli occhi di Neriah. Â«Non devi ringraziarmi, non penso di avere tutto il merito.»

Il guerriero lo ascoltò in silenzio, poi parlò piano Â«Ogni scontro è una porta. Una volta oltrepassata, non si torna indietro.»

Lucian lo guardò con attenzione nuova. Â«E dove conduce quella porta?»

Un lampo attraversò lo sguardo dell’uomo. Â«C’è un momento in cui il guerriero deve scegliere: non tra la vita e la morte, ma tra ciò che è e ciò che vuole diventare.»

Lucian sentì il sangue farsi più lento. Â«E se non fossi pronto?»

«Allora verrai schiacciato dal peso della tua stessa spada.» Fece una pausa. Â«Ricorda non tutti coloro che ti offriranno la loro mano vorranno davvero salvarti. Lei si è già mostrata… quando sarà il momento, tieni gli occhi aperti. Un altro verrà.»

Lucian aggrottò la fronte. Â«Chi? Di cosa stai parlando?»

Un brivido gli corse lungo la schiena.

Il guerriero si voltò di lato, lo sguardo perso oltre le sue spalle. La sua espressione cambiò. Lentamente, il colore abbandonò il suo volto. 
Lucian seguì il suo sguardo, ma dietro di sé non c’era che la taverna. O forse no. Per un istante, una figura indistinta prese forma nell’oscurità: un mantello nero, un profilo appena accennato, scolpito nella notte stessa.  

Un gelo sovrannaturale attraversò la stanza, e poi svanì, così com’era comparso.

«È già iniziato…» gli occhi del guerriero erano lucidi. Si alzò, lasciando cadere alcune monete sul tavolo. Â«Lo riconoscerai.»

I suoi occhi incontrarono quelli di Lucian un’ultima volta prima di scomparire tra la folla.

Lucian rimase a lungo seduto, il rumore della taverna era tornato, ma pareva lontano, irreale. Davanti a lui, il vino nel calice era immobile, scuro. Lo guardò, e gli parve che nel riflesso si muovesse qualcosa, un’ombra che lo osservava dal fondo del bicchiere. Inspirò lentamente, ma l’aria di Atene era più pesante, più cupa.

Si alzò. Lasciò il calice intatto, e con esso il presagio che lo aveva raggiunto.

Uscì nella notte, e l’eco dei passi di Neriah, lontano, gli sembrò non abbandonarlo più.

Continua...

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