20 maggio 2012

Serie: Come un corvo bianco


Venti maggio 2012, ore 4:04: la prima scossa di magnitudo 5.9.

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: 20 maggio 2012

Venti maggio 2012, ore 4:04: la prima scossa di magnitudo 5.9 mi svegliò con il suo movimento sussultorio; presi paura, nonostante ciò la mia vita proseguì, tutto sommato, come sempre.

Fino al 29 maggio, ore 9:00, magnitudo 5.8, movimento ondulatorio. Del terremoto arriva prima il boato della scossa e giuro che quella mattina udii la rabbia della Terra. Percorsi il corridoio vacillando sul pavimento che pareva di gelatina e vedendo gli oggetti cadere e spaccarsi a terra. Scesi due rampe di scale con mia madre davanti e il gatto dietro. Appena fuori dalla porta la casa fatiscente dall’altra parte della strada crollò: ricordo il rumore dei mattoni e di essermi coperta la faccia per evitare che il polverone mi entrasse negli occhi.

Mio padre era al lavoro, né io né mia mamma avevamo i cellulari. Imboccai la porta di casa, salii e cercai i telefoni. In quel momento accadde un fatto che tutt’oggi non riesco a spiegarmi: non provai paura, la mia mente rimase lucida per tutto il tempo; camminai a piedi scalzi tra i cocci poggiandomi esattamente dove avrei dovuto poggiarmi per non ferirmi.

Scesi e risalii una seconda volta (non ricordo per cosa), ma ricordo bene uno dei pompieri che mi aveva presa in braccio e portata nel cortile – praticamente il sogno segreto di molte, ma nel momento meno opportuno.

L’estate 2012 fu la più bella della mia adolescenza.

La mattina mi alzavo senza la sveglia, non ne avevo bisogno. Salivo sulla bicicletta e percorrevo la ciclabile che dalla periferia di San Possidonio porta alla piazza. Tutt’oggi nelle prime ore di luce di fine Aprile, di Maggio e Giugno, la mia mente associa il sole primaverile e il freddo sulle braccia scoperte delle magliette a quei momenti.

Passavo il centro, parcheggiavo la bici nella rastrelliera e davo il via alla giornata preparando le colazioni del centro Avis. Ricordo l’afflusso di persone nonostante il momento difficile, tanto da perdere il conto dei toast che mettevo a cuocere.

Quando la sala dei prelievi si svuotava mi spostavo pochi metri più in là, girando l’angolo e cambiando lato della strada. La protezione civile aveva adibito il cortile di alcune fabbriche in disuso alla distribuzione del cibo.

Correvo dietro al bancone e, lista alla mano, entravo nel tendone plasticoso bianco tra i bins verdi. La disposizione a partire dall’entrata era questa: pasta, chili e chili impilati anche su più contenitori; scatolame di vario tipo come pomodoro in conserva, tonno, legumi, tutti ben divisi; bagnoschiuma, saponette, shampoo, assorbenti, pannolini, creme e cremine per bambini. Insomma, tralasciando i prodotti da frigo, un piccolo discount.

Si creavano delle lunghe file di persone con in mano sportoni di plastica colorati, c’era un continuo via e vai. Mi arrampicavo sui bins della pasta, mettevo nei bustoni ciò che c’era scritto sulla lista, come una piovra raccattavo scatolette e saponette, aventi e indietro lungo il tendone.

Spesso mi fermavo a parlare con le persone: raccontavano le loro preoccupazioni in merito alla casa, qualche volta inagibile, qualche volta crollata, dei fondi che sarebbero dovuti arrivare da governo e di quanto avessero paura. Nessuno di loro, me compresa, avrebbe mai immaginato di fare esperienza del terremoto.

Un giorno scesero gli alpini e noi volontari pranzammo con loro (bucatini al ragù di cinghiale). Persino Luciano Ligabue venne a farci visita: mi strinse la mano e mi diede due baci sulla guancia, ma io, scema come sono, non capii chi fosse e continuai a riempire le sporte come se nulla fosse. Elaborai il fatto qualche ora dopo, quando me lo fecero notare.

La sera ero spesso impegnata in attività in piazza, diventata un luogo di ritrovo per tutte le età.

Ricordo la gentilezza delle persone, la volontà incondizionata di voler aiutare, le parole di conforto talvolta dagli sconosciuti.

Ricordo i campi con le tende, i volontari da tutta Italia.

Ricordo i volti dei miei colleghi con cui avevo creato un bel legame e molti di coloro che ho servito.

Ricordo che per la prima volta mi ero sentita parte di una comunità, mi sentivo importante.

L’estate 2012 per me non fu solo “l’anno del terremoto”, ma molto di più. E del resto, lo racconterò il 29 maggio.

Serie: Come un corvo bianco


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Discussioni

  1. Ciao Mary! Mi piace molto il tono che hai scelto per illustrare uno dei momenti più bui della nostra regione. Il tuo è uno sguardo realista, eppure incantato. Ti muovi scalza tra le macerie, senza perdere la via e la speranza (un po’ come i personaggi delle tue storie), raccontando attimi di solidarietà e di umanità.👏🏻

  2. Il titolo di questa serie è tatuato sulla tua mano, come i ricordi indelebili. I tatuaggi si fanno con gli aghi, un dolore necessario, che sopportiamo volentieri per poi poterli raccontare a chi ci chiede: che significa?
    Altri dolori invece li avremmo evitati volentieri, ma ci sono toccati in sorte, nel bene e nel male hanno contribuito a renderci quello che siamo.
    Ti ho immaginata scrivere con il sorriso di chi ha già pianto abbastanza ed ora è abbastanza forte da poterlo raccontare. So che prima di scrivere a PC tu scrivi a penna. L’inchiostro di questo racconto segue il percorso dei tatuaggi, quando una volta guariti ci ricordano che ogni cosa ha senso, e una storia da raccontare. Anima bella e sopravvissuta, è un onore per me averti come amica. Bravissima. ❤️

  3. “Persino Luciano Ligabue venne a farci visita: mi strinse la mano e mi diede due baci sulla guancia, ma io, scema come sono, non capii chi fosse e continuai a riempire le sporte come se nulla fosse.”
    Sei una meraviglia 🤣❤️

  4. Questa storia di vita vera e, sembrerebbe, vissuta in prima persona, mi piace per diversi motivi. La naturalezza con cui ne parli arriva in modo diretto e coinvolgente. Ci sono molti aspetti positivi nel vivere il dramma del terremoto che hai messo in evidenza, ricordando l’atteggiamento spensierato di un’adolescente. Mi hai ricordato, per alcuni aspetti, l’alluvione che colpì la mia zona (Assemini, Capoterra, Decimo…), in provincia di Cagliari, il 14 novembre del 1999. Anche da noi, non ho più visto tanta gentilezza, tanta generosità e solidarietà tra le persone, come in quella tragica situazione.

    1. Sai, Luisa, che hai fatto emergere un punto molto interessante? Quella solidarietà che svanisce al chiudersi di un evento catastrofico.
      Da ragazzina, ingenuamente, ero convinta che quel senso di unione e appartenenza sarebbe rimasto per sempre e una parte di me non voleva accettare che prima o poi tutto sarebbe finito.
      In effetti, quando il “capitolo terremoto” si è concluso non ho mai più rivisto quell’affiatamento tra le persone, anche dinnanzi alle disgrazie altrui (mi viene in mente chi, ad esempio, ha perso la casa). Più che i ricordi delle situazioni in sé, credo che siano proprio questi sentimenti che percepiamo così lontani a provocare nostalgia.

  5. Un’esperienza che vale la pena di essere raccontata. Ciò che mi colpisce, in certe situazioni drammatiche, è ciò che tu stessa hai notato: la gentilezza delle persone e una grande empatia. Continuo a seguire con interesse, brava Mary ❤️

  6. Sono cose che rimangono scolpite nel cuore. I terremoti li conosco, dalle mie parti l’Etna erutta una settimana sì e l’altra no e spesso ho la sensazione che qualcuno mi cammini sul letto.
    Però non mi è mai capitato di vivere una situazione tanto tragica, quanto coinvolgente. La preparazione delle colazioni, dei pranzi e quella bella coperta calda e avvolgente che è fatta di persone che vogliono solo aiutare ed essere di supporto, senza chiedere niente… Sono cose che ti fanno tornare un minimo di speranza, che tutto possa essere decente, sincero e di mani poggiate sulle spalle. Mi piace immaginarti lì mentre stringi la mano a Ligabue chiedendoti che cazpita sia ‘sto tizio che mi abbraccia… Avrei fatto la stessa identica cosa, visto che ascolto tutt’altro tipo di musica e non ho neanche idea di che faccia abbia il Liga… 😀

    1. Pensa, Emiliano, che ci sono stati addirittura dei momenti che la speranza ha tramutato quella situazione drammatica in una prospettiva positiva per il futuro, soprattutto per quanto riguarda i rapporti interpersonali. Non nego che di questi sentimenti ne sento ancora la malinconia.

      Ma infatti dopo che è andato via per un attimo mi era venuto il dubbio che non fosse “solo” qualcuno della protezione civile, poi sono tornata a riempire gli sportoni come se nulla fosse con la gente che continuava a guardarlo e a stringergli la mano! 😹

  7. Mi sento quasi di dirti grazie per il racconto che farai di quel momento di storia italiana che conosciamo abbastanza bene, ma non da ‘dentro’. Così è un po’ come calarsi nella realtà e provare le stesse emozioni provate da chi c’era.
    Inoltre, ammetto, i racconti autobiografici sono fra i miei preferiti.
    Bravissima Mary, la nostra improvvisata cronista con cuore.

    1. E io ti ringrazio altrettanto per aver letto e colto quelle emozioni tra le righe, belle e brutte, che nemmeno con un romanzo di mille pagine si potrebbero esprimere a pieno.
      Ebbene sì, quasi alla soglia dei trent’anni ho sentito una spinta nel voler raccontare qualcosa di me, nel bene e nel male, una raccolta di eventi e situazioni che sono rimasti solo nel mio cuore per troppo tempo.
      Grazie per seguirmi in questo viaggio. ❤️

  8. “Ricordo la gentilezza delle persone, la volontà incondizionata di voler aiutare,”
    Credo che voi siate proprio così. Persone gentili di natura, a prescindere dai momenti di difficoltà. Avete quella gioia dentro che si apre in sorrisi spontanei anche quando non abbiamo bisogno di altro che di una tazzina di caffè. L’Italia è un paese meraviglioso grazie alla sua gente. Dove ti sposti trovi caratteri diversi e ben identificati, caratteristiche peculiari di quella gente lì. In voi, una gentilezza innata.

    1. Cara Cristiana, hai proprio ragione: regione/paese che vai, caratteristiche caratteriali che trovi! 😸
      Eppure in quel contesto si era creata una vera e propria unione anche tra persone lontane, volontari da tutta Italia e terremotati della zona.
      Forse, è esattamente questo che tiene i ricordi così vividi e commoventi, quella sensazione di unione, di gentilezza innata nonostante le difficoltà, che qualche volta si è addirittura tramutata in gioia inaspettata. ❤️

  9. Serie autobiografica? Molto interessante, sia che ricalchi fedelmente i fatti, sia (come faccio io) quando i ricordi si mescolano alla fantasia. Ma dalla foto (apprezzo molto le foto reali) direi che la tua storia sarà molto attinente alla realtà…

    1. Alla soglia dei trent’anni ho sentito l’esigenza di ripercorrere alcuni fatti della mia vita (sì, fa molto scrittore decadente ma giuro di non essere ancora arrivata a quei livelli! 😹).
      Come ho scritto nel commento di Roberto, sono ricordi analizzati a “mente lucida” dopo svariati anni dall’accaduto. Credo che se avessi scritto gli stessi passaggi a pochi anni dal terremoto sarebbe uscito uno scritto completamente diverso, in cui le emozioni avrebbero sovrastato la razionalità dei ricordi.
      Se da un lato ho voluto riportare i fatti in modo “asciutto”, d’altro canto non ho potuto esimermi dal trasmettere la nostalgia che provo per quei momenti.
      Grazie Tiziano. ❤️

    1. Giurin Giurello! 😸
      In realtà ci sono state anche altre celebrità che sono venute a vedere le zone terremotate, ma quella di Ligabue rimarrà per sempre nei miei ricordi come una situazione tragicomica. 😹

  10. Ricordi raccontati per immagini e sensazioni, difficili da far sentire a chi non ha vissuto una simile esperienza. Ma da questo primo episodio pare che tu riesca decisamente bene a trasmettere quel che serve…

    1. Sai, Roberto, che è proprio così? Dopo anni i ricordi assumono una “forma” diversa: razionali, meno “di pancia”, ma accompagnati da una nostalgia che non manca di far emozionare.
      Grazie! 🪻