7. Arion
Serie: L'imperfetto
- Episodio 1: 1. Principio
- Episodio 2: 2. Soglia
- Episodio 3: 3. Green Lion
- Episodio 4: 4. Cassian
- Episodio 5: 5. Colpa
- Episodio 6: 6. Lascito
- Episodio 7: 7. Arion
STAGIONE 1
Il silenzio era assoluto.
Lucian si trovava ancora lì, davanti allo scrigno.
La chiave spezzata giaceva sul tavolo, pallida alla luce della notte. Tutto sembrava immobile, eppure qualcosa, nel buio, respirava ancora.
Il rumore secco gli rimbombava ancora nelle orecchie. Un’eco che non riusciva a scacciare.
«E adesso?» mormorò. La voce si perse nella stanza. «No… non può finire così…»
Colpì il tavolo con il pugno. I fogli volarono via, i libri caddero a terra.
Niente cambiò.
Solo il suo respiro, più corto, più rapido.
Poi, una vibrazione. Appena percettibile.
Sollevò lo sguardo.
La serratura dello scrigno tremava. Un suono secco, metallico, si insinuò nell’aria.
Dalle fessure iniziò a colare una nebbia sottile, verdastra.
Non era un fumo, non del tutto.
Si muoveva con lentezza innaturale, strisciando lungo il legno come una creatura senza peso.
Non saliva, non scendeva, semplicemente si espandeva, cercando forma, contorno, direzione.
Fece un passo indietro.
L’odore lo colpì all’improvviso: sangue e muschio, terra bagnata e metallo.
Ogni respiro lo trascinava più dentro, e per un istante gli sembrò di non inspirare più aria, ma quella sostanza stessa, densa, fredda.
La nebbia avvolse il tavolo, si arrampicò lungo le gambe della sedia, toccò i suoi polsi.
Il contatto era gelido, ma vivo.
Un brivido gli attraversò la pelle e restò lì, sospeso.
Ogni suono scomparve.
Il battito del cuore diventò l’unica cosa reale.
La stanza si fece più piccola, la luce più remota. Tutto ciò che conosceva stava arretrando, dissolvendosi ai margini del visibile.
Poi la nebbia lo circondò del tutto.
E la sua camera, lentamente, smise di appartenere al mondo.
Cadde, o almeno così gli sembrò. Non capì bene se fosse lui a cadere, o il mondo a risalire
Quando la nebbia si diradò, non era più nella sua casa.
Davanti a lui si estendeva un giardino che non poteva appartenere a questo mondo. I fiori brillavano di colori impossibili, le foglie riflettevano la luce come metallo lucidato. Il cielo era un miscuglio d’oro e viola, immobile.
Ogni cosa vibrava di un’armonia perfetta, e per questo profondamente sbagliata.
Camminò lungo un sentiero di ghiaia bianca. Ogni angolo vibrava di una vita eccessiva. Ogni respiro gli riempiva i polmoni di un’energia sottile, palpabile.
Non sapeva come fosse giunto lì. Né se avrebbe voluto sapere cosa l’attendeva.
Il vento si levò.
Non era un suono, ma un linguaggio che la mente non riusciva a comprendere.
Tra i sussurri, un nome emerse limpido.
«Lucian?»
Si voltò di scatto. Tra gli alberi, una figura. Capelli lunghi, un profilo fugace, un riflesso – Sophia?
Il sentiero si piegò, si dissolse. Rimase solo, al centro di una radura.
Davanti a lui, una figura immobile.
Una statua vivente.
Arion.
O qualcosa che lo ricordava vagamente.
Ogni piega si muoveva come una sostanza liquida, lenta, viva.
Sotto, affioravano frammenti di un’armatura antica: lamine scure, opache, che riflettevano il mondo con la debolezza di una memoria lontana.
Brillavano come cicatrici.
Il viso era di una bellezza ferma, inaccessibile.
Non la bellezza umana, fragile e cangiante, ma quella spoglia, impassibile, delle statue dimenticate nei templi. Lineamenti affilati come la lama di un pugnale, scolpiti nella calma assoluta di chi ha oltrepassato il dolore.
La pelle, di un pallore profondo, portava l’eco di un tempo trascorso altrove — come se avesse dimenticato per sempre il calore del sole.
Poi gli occhi.
Grigi.
Profondi fino a farsi specchio.
Lucian vi si perse per un istante. In quell’abisso credette di intravedere la traccia di mille vite, innumerevoli cadute e ritorni.
Nessuna ira, nessuna pietà . Solo la freddezza di chi non ha più nulla da temere.
Lucian indietreggiò, il cuore in gola.
«Tu… di nuovo?»
Un sorriso sottile.
«Ti aspettavi forse qualcun altro?»
La voce era la stessa, ma più piena, stratificata, come se parlasse da più luoghi insieme.
«La tua paura arriva prima di te. La sento.»
«Dove siamo?»
La domanda gli uscì come un grido trattenuto.
«Perché continui a cercarmi?»
Arion lo osservò.
«Non sono io a cercarti, Lucian. Sei tu che ritorni. Sempre alla soglia. Sempre esitante.»
Lucian fece un passo avanti.
«Chi sei?»
Arion inclinò appena il capo.
«Io veglio sul passaggio. Sono colui che apre e chiude. Nulla di più.»
Un silenzio si allungò tra loro, denso come nebbia.
Poi, Arion sollevò una mano.
L’aria davanti a lui tremolò, come acqua colpita da una pietra.
Da quella vibrazione emerse uno specchio.
Sottile, sospeso a mezz’aria.
«Guarda.» disse.
«Vedi ciò che è stato, ciò che sei, e ciò che potresti diventare. Ogni ombra ha un nome. Ogni nome, una conseguenza.»
Lucian fissò il vetro.
All’inizio vide solo sé stesso. Poi, dietro la propria immagine, altre sagome.
Si muovevano lentamente, riflessi che cercavano di emergere.
Il suo volto si deformava. Il passato e il presente si fondevano in un’unica figura.
E al centro, un bambino.
Occhi enormi, pieni di una tristezza impossibile.
Lucian lo riconobbe, non seppe dire come.
«Chi… è?» sussurrò.
Arion non rispose.
Il sorriso era sparito.
Un gesto.
Lo specchio si incrinò, poi esplose in silenzio.
I frammenti si sollevarono nell’aria, come vetri senza peso. Si posarono a terra, rivelando una botola di legno scuro.
Lucian si chinò.
Le venature sembravano pulsare, come radici vive.
Un soffio caldo proveniva da sotto.
«È il momento di scendere.»
La voce di Arion non sembrava più umana — un sussurro che si espandeva in ogni direzione.
«Lui non ama attendere.»
Serie: L'imperfetto
- Episodio 1: 1. Principio
- Episodio 2: 2. Soglia
- Episodio 3: 3. Green Lion
- Episodio 4: 4. Cassian
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- Episodio 6: 6. Lascito
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“Il vento si levò. Non era un suono, ma un linguaggio che la mente non riusciva a comprendere.” Anche a me il vento ha sempre dato l’impressione di parlare una lingua sconosciuta e di dire cose inquietanti. Il protagonista, poi, pare debba scendere agli inferi (quelli pagani) per incontrare qualcuno. Bello questo racconto, Mariano.