Dal dentista

Serie: Ettore


Borgobello, via dei Platani.

   Lo studio dentistico del dottor Giulio Venere si trovava a metà della via, in una zona residenziale costituita esclusivamente da villette, quasi tutte identiche. La via era ordinata, pulita e profumata.

   Un dito pigiò il tasto del campanello. Le luci led bianche intorno alla videocamera s’illuminarono, poi un rumore metallico e prolungato indicò l’apertura del cancelletto. Il giovane uomo spinse e s’incammino lungo il selciato racchiuso da aiuole verdi.

   L’ingresso era già aperto, il paziente entrò titubante guardandosi su entrambi i lati: la saletta era vuota.

   Da una porta uscì una donna in camice, indossava anche degli occhiali protettivi. In mano aveva un’agenda rossa.

   «Lei è il signor?»

   «Mezzapelle. Giuseppe Mezzapelle.»

   «Ah, già. Ricordo, ha chiamato stamane, se non sbaglio.»

   «Non sbaglia.»

   «Piacere di conoscerla, io sono Guendalina, l’assistente di poltrona. Può accomodarsi, tra un attimo la farò entrare dal dottore. L’aspettava. Dice che siete grandi amici.»

   «Un tempo lo eravamo di certo. Adesso abbiamo perso un po’, come dire, i contatti.»

   Passarono circa dieci minuti. Giuseppe misurò in lungo e largo a grandi passi la sala durante l’attesa. Si sfregava la guancia. Quel dente gli faceva un male cane da due giorni, da quando era tornato a Borgobello. Dopo cinque anni, erano cambiate molte cose, tra cui anche Giulio, diventato dentista, ne aveva fatto di strada quel vecchio secchione. D’altronde era bravo negli studi, e grazie a lui Giuseppe riuscì a diplomarsi, almeno aveva un pezzo di carta.

   «Ettore! Vecchio mio! Quanto tempo?»

   Il dottor Giulio Venere uscì dalla stessa porta della sua assistente con un sorriso smagliante e le braccia aperte.

   Giuseppe, detto Ettore perché da piccolo, essendo un amante dei cavalli, cadendo durante una cavalcata, il piede gli rimase bloccato in una staffa e fu trascinato per diversi metri dal cavallo, un po’ come l’Ettore dell’Iliade, da allora in tutto il paese fu conosciuto come Giuseppe “Ettore” Mezzapelle.

   «Ciao secchione! Come te la passi? Si fa per dire ovviamente, lo vedo da me che te la passi molto bene.»

   «Non mi posso lamentare. Su vieni, entra pure.»

   L’ambiente era molto asettico, ben organizzato, ordinato, e si sentiva l’odore della sterilizzazione. Ettore si sedette sulla poltroncina reclinabile. Giulio manovrò con il joystick fino a farlo distendere.

   «Apri la bocca. Grande. Bravo così.»

   Ettore guardava l’assistente alla poltrona che gli sorrideva con gli occhi.

   «Ma che ti davano a mangiare là dentro, cumpà

   «Becché?» riuscì a chiedere malamente Ettore.

   «Hai la bocca persa. Non vi curavano?»

   «Già ea assai e ci fahevano mangiae.»

   «Aspetta un attimo», il dottore gli liberò la bocca, «ecco ora puoi parlare. Dicevi.»

   «Dico già li dovevamo ringraziare se ci facevano mangiare. La situazione è molto grave?»

   «Insomma. Hai un dente che va rimosso…»

   «Sarà quello che mi fa perdere il sonno, sicuro.»

   «Poi ci sono un po’ di carie. Dovremmo comunque fare delle radiografie e vedere un po’ la situazione per poi decidere un piano e procedere.»

   «E quanto mi verrebbe a costare?»

   «Allora, Ettore, la visita di oggi te la regalo io, visto che sei uscito da poco e ci stiamo rivedendo dopo tanti anni, per il resto, ripeto, dobbiamo valutare e fare un preventivo.»

   «Ok ma parliamo di centinaia di euro?»

   «Ci avviciniamo al migliaio, onestamente.»

   «Potrei pagare a rate, il tempo di trovare un lavoro e poi darteli poco alla volta?»

   «Guendalina puoi lasciarci da soli per favore?» rimasti da soli, Giulio continuò «Non faccio credito a nessuno. Ho fatto uscire l’assistente per due motivi. Il primo per non “umiliarti”, il secondo per dirti che volendo una scappatoia ci sarebbe.»

   «E cioè?»

   «Dovresti recuperare qualcosa di mio, che mi è stato rubato da qualche mese.»

   «Cosa sarebbe?»

   «Una moto da cross.»

   «E chi ce l’ha?»

   «Il nipote di Don Fofò.»

   «Quindi se ti faccio riavere la motocicletta mi fai tutto a gratis?»

   «Sì.»

   «Ci tengo a precisare una cosa però. Prima mi sistemi i denti e poi ti restituisco la moto.»

   «E come faccio a sapere che riuscirai a riprenderla, se poi non va bene ci perdo i soldi e la motocross.»

   «Io la moto te la recupero, al massimo, stanotte stessa, ma prima di consegnartela mi devi sistemare tutti i denti, che ne pensi?»

   «Si può fare.» Giulio porse la mano a Ettore.

   «Mi stai stringendo la mano. Te lo ricordi che vuol dire, vero?»

   Ettore, lasciato lo studio dentistico, si recò al baretto della tangenziale dove perdeva le sue giornate prima di finire dentro. Strinse un paio di mani, baciò qualche guancia, bevve alcune birre, scambiò alcune battute, poi si fece accompagnare da un conoscente, tale Pippo ‘u tratturi che aveva un casolare in campagna nei pressi della masseria di Don Fofò, fino a una centinaia di metri più in là dell’ingresso principale.

   La masseria sembrava vuota. Ettore fece un giro intorno alle vecchie mura in pietra e gesso. L’unico modo per entrare era scavalcare le mura. Il giovane uomo cercava un appiglio quando la sua attenzione fu attratta da un’oca: era scomparsa nel nulla. Ettore si recò in quella direzione e cercando tra le frasche trovò un ingresso molto precario: una rete d’acciaio sottile tenuta in piedi da un listello e chiusa con un improbabile chiavistello in legno senza lucchetto. Ettore si guardò intorno, scostò la rete e s’intrufolò nella proprietà.

   I cani da caccia iniziarono ad abbaiare come forsennati. Per sua fortuna erano chiusi nelle loro recinzioni, tuttavia non poteva sapere se ci fosse qualcuno all’interno. Quatto quatto cercò di camminare sotto i balconi o tra le fenditure, alla ricerca della motocicletta.

   La masseria era enorme. Ettore aveva un ottimo senso dell’orientamento, che gli tornò utile quando finalmente trovò la moto da cross. Afferrato il manubrio, con passo svelto e deciso, guardingo, raggiunse il punto da cui era entrato. Spinse a mano il veicolo in discesa, quando la velocità fu sufficiente, saltò in sella, diede un colpo secco e mise in moto.

   Ettore non poteva essere sicuro della quantità di carburante, quindi raggiunse il casolare di Pippo ‘u tratturi, chiedendogli di tenerla per qualche tempo.

   Il giorno successivo, Ettore mostrò le foto della moto da cross verde e bianca al dentista.

   «Minchia! Non ci credo! Ma sei un pazzo!»

   «Io ho solo una parola. Me li sistemi adesso ‘sti denti?»

   Il dolore era diminuito notevolmente, tuttavia Ettore si sentiva ancora le gengive infastidite, bruciavano, non vedeva l’ora di tornare a casa e sciacquarle. Massaggiandosi la mandibola, Ettore, arrivò vicino casa, notò un’auto parcheggiata: era una Uno turbo nera. Il ragazzo conosceva quell’auto, sapeva a chi apparteneva. Decise dunque di fare dietrofront. L’auto si accese, con un testa coda si mise in direzione di Ettore. Il giovane, guardandosi indietro, iniziò a camminare veloce poi a correre. Il veicolo accelerò fino ad affiancare il ragazzo, si abbassò il cristallo del lato guida.

«Amunì, acchiana. C’è unu ca ti voli parlari.»

«Io nun sacciu nenti. Non ho niente da dire.»

«Fermati e sali, ti dissi, altrimenti quant’è vero che mi chiamano Cori di cani, ti gonfio qua stesso.»

Ettore salì in auto. Poi i due partirono ad alta velocità.  

Serie: Ettore


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Discussioni

  1. Molto ben gestito Lab con serie! Hai inserito alla perfezione il personaggio (e che bel cognome Mezzapelle, di sicuro non si scorda!) La storia è intrigante e con un buon ritmo, vediamo che succede! Al prossimo episodio

  2. “Giuseppe, detto Ettore perché da piccolo, essendo un amante dei cavalli, cadendo durante una cavalcata, il piede gli rimase bloccato in una staffa e fu trascinato per diversi metri dal cavallo, un po’ come l’Ettore dell’Iliade”
    Originale la storia del soprannome!

  3. Ciao Eliseo, sei riuscito a incastonare il video del lab magnificamente. Ti confesso che il dentista mi spaventa più del tizio con la Uno nera: è il mio tallone d’Achille (giusto per rimanere in tema). Mi sei piaciuto anche in questa veste realistica

  4. Caro Eliseo, mi associo alle parole di elogio spese da chi mi ha preceduto. Hai incastrato molto bene le immagini del Lab in questa storia, dimostrando come al solito di avere una prosa molto scorrevole. Non so se te l’avevo già detto, ma credo che il tuo punto di forza siano i dialoghi, soprattutto quelli che rispecchiano il linguaggio reale; anche quando la realtà è quella di un paese in cui si parla in dialetto.

  5. Minchia Eliseo è avvincente sto lab!
    Per un attimo ho temuto che Ettore fosse una comparsata e avessi deciso di farlo fuori a fine episodio con una bella sgommata della Uno Turbo nera. Però evidentemente deve essere passato da Chimeria e aver superato l’esame da Protagonista (cit Alessandro Ricci).
    Bravo, gran bel lab e racconto trascinante.