Fine?

Serie: The place


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mina torna a casa lasciando una crepa nel suo rapporto con l'amica Vera. Intanto il mondo sembra star cadendo a pezzi...

La sveglia squillò martellando impazientemente le due campanelle. Mina, la testa sotto le coperte, la cercò tastando alla cieca la superficie del comodino. Avvertì al tatto il metallo freddo e vibrante, e trovato l’interruttore lo premette. Il silenzio tornò nella stanza da letto avvolta nella semi oscurità.

Sbucò con il capo dalla coperta e controllò l’ora. Le otto e mezzo; il suo turno era iniziato da mezz’ora. La sveglia doveva aver suonato per più di un ora prima che se ne accorgesse. Mina si massaggiò le tempie pulsanti. Il clangore concitato della sveglia le era rimasto impresso nella mente come un’istantanea sulla pellicola negativa.

Si alzò da letto e ciabattò fino alla cucina, lanciando un’occhiata diffidente al telefono. Chissà se avrebbe squillato; se qualcuno avrebbe chiamato per chiedere informazioni sulla sua assenza. Accese il fuoco sotto la caffettiera (già pronta dal mattino precedente) e si affacciò alla finestra che dal piccolo vano guardava verso la strada.

Il verde dei prati si dipanava all’infinito, interrotto soltanto da qualche roccia qua e là, fino ai piedi delle montagne. I pendii crescevano stagliandosi contro il cielo, come il ramo di una parabola. L’unico suono era il fruscio costante del ruscello, le cui acque si insediavano tra una roccia e l’altra in tanti riccioli scintillanti.

Chiuse gli occhi.

Vide la vela bianca di una nave al largo immersa nel blu dell’oceano. Verso la terraferma il blu virava verso l’azzurro, per poi sfumare col bianco della sabbia. Sulla spiaggia quattro ragazzini giocavano a pallone. Poco più in là, al riparo dal chiasso e dalle urla, un vecchio leggeva un tascabile. Alla sua sinistra, un tavolino da campeggio reggeva una pila di libri. Vuole godersi il mare, ma allo stesso tempo gli piacerebbe essere nel suo salotto pensò Angela guardandolo. A un certo punto, allo stridio dei gabbiani e allo sciabordare delle onde si aggiunse lo sbuffo della caffettiera.

Riaprì gli occhi, trovandosi a contemplare la distesa di cemento ai piedi della collina. Almeno vivo al secondo piano, pensò sospirando.

Tornò al fornello. Davanti a sé quattro fuochi, una caffettiera e qualche cucchiaio e altri attrezzi appesi qua e là. Versò il caffè nella tazza decorata in stile giapponese. Il pavone – femmina, perché era bianca – la guardava dai suoi occhietti neri. Mi piacerebbe essere un pavone pensò. Ma in un giardino senza troppi maschi a sventolare quelle code così inquietanti. Rabbrividì al pensiero di tanti occhi dentro un ventaglio di piume. Bevve un sorso ed ebbe un sussulto scottandosi le labbra.

“Che stupida” disse.

Si recò nel soggiorno e indugiò osservando quel poco di monolocale di cui disponeva, e capì perché passava la maggior parte del tempo a casa vicino alla finestra della cucina. Non offriva molto, ma era sempre meglio che la vista di quelle quattro pareti luride.

Maglione, calze e gonna giacevano silenziosi sul bracciolo del divano. Mina indugiò fissando la sua tenuta da ufficio tutta spiegazzata, e una delle pieghe le sembrò assumere la forma di una bocca. Sei in ritardo diceva. Sbrigati. Spostò lo sguardo sul telefono, silenzioso ma pronto a scattare come una molla alla prima chiamata.

“Mentre aspetto che si raffreddi il caffè” attaccò, fermandosi realizzando che era sola. Lo sto facendo di nuovo, pensò. Parlo da sola

Si diresse al ripostiglio. La piega nella gonna avrebbe potuto dire quel che gli pareva. Oggi al lavoro non vado pensò. Che se la sbrighino da soli. Spruzzò abbondante additivo sulle macchie di muffa e grattò forte con la spazzola.

A mezzogiorno raccolse l’ultimo residuo di schiuma dal muro. Si pose al centro della stanza, e pugni sui gomiti girò su se stessa ammirando i risultati del suo lavoro. L’appartamento non si era trasformato in una reggia, ma la differenza si notava. Si chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Ma certo; la casa si era fatta buia. Tornò in cucina, alla finestra, e vide che una grossa nuvola aveva coperto il sole. Lì, l’odore di candeggina era meno forte quindi riuscì a cogliere l’aroma penetrante del caffè. Si voltò verso il fornello.

“Sarà freddo, a questo punto” mormorò spazientita, e da un cassetto tirò fuori un pentolino. Versò il caffè dalla tazza al tegame e accese il fuoco. Fuori, dal cielo giunse il ronzio di un aeroplano che volava altissimo. Mentre il caffè si scaldava il telefono prese a squillare. Mina sussultò, indugiando sulla soglia della cucina e fissando il ricevitore vibrare sulla forcella a ogni scampanellio.

Deve essere Ullmann pensò deglutendo a fatica. No, è Vera. Chiama per scusarsi. Intanto il telefono continuava a squillare e la luce nella stanza diminuiva man mano che la nuvola copriva sempre di più il sole. Il caffè bolliva producendo un suono metallico nel pentolino. Scattò verso il telefono e rispose.

“Pronto?” disse, imponendosi un tono deciso, quasi intimidatorio.

“Mina, sei tu?”

“Chi parla?”

“Sono Vera.”

Mina sentì il petto alleggerirseli. Rise. “Ti sarai chiesta cosa sia successo alla mia voce” disse, e rise ancora di più.

“Infatti, non sembravi nemmeno tu. Non pensavo di trovarti a casa” disse un po’ sorpresa. Fuori, la nuvola dovette spostarsi velocemente, perché la luce fece d’un tratto irruzione nella stanza più intensa che mai. Una luce estiva e caldissima, quasi bianca. Il ronzio dell’aeroplano stava allontanandosi lontano nel cielo.

“Oggi non mi sento molto bene” disse Mina lasciandosi scappare senza volerlo una punta di risentimento.

“Volevo chieder…”

Le parole di Vera scemarono nella linea disturbata da un ronzio.

“Vera?” chiese Mina in crescente apprensione. Si accorse che la linea era caduta.

Poi arrivò il vento, e le imposte della cucina sbatterono violentemente. La temperatura aumentò, come se il sole si fosse avvicinato alla terra. La luce divenne accecante. Udì un boato, forse proveniente dalla città. La stanza si riempì di vento, la cornetta le scivolò dalle mani cadendo a terra mentre Mina si tappava le orecchie e accovacciava a terra serrando gli occhi.

Il vento soffiò per qualche decina di secondi, poi la luce tornò alla normalità, e la temperatura calò a poco a poco. Silenzio assoluto.

Restava solo l’odore del caffè bruciato.

Serie: The place


Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. “Il vento soffiò per qualche decina di secondi, poi la luce tornò alla normalità, e la temperatura calò a poco a poco. Silenzio assoluto.”
    Dobbiamo prendere fiato ora per prepararci per il prossimo colpo di scena. Bella storia, bravo

  2. più che fine, direi inizio. Ho la sensazione che ora arriva il bello…l’atmosfera da “fine del mondo” ci accompagna anche in questo episodio, e si spiega sul finale. Come se la natura seguisse la trama e ci preparasse a ciò che deve venire.

  3. Rapporti umani che si deteriorano, magari preparando il terreno per rinforzarsi; un mondo precario con sequenze di buio e luce e poi il vento, normalizzatore?, che tutto spazza: dubbi e certezze, amore, odio e forse… forse era meglio essere un’anatra e volare alto, libera da tutte le paranoie con cui l’uomo ha inquinato il paradiso. C’è molto che merita attenzione in ciò che scrivi.