Il portiere 

La gente pensa che uno come il delitto lo sento dentro, appena avviene, e questo è mica vero.

-Così vuoi mollare tutto?

Franco me lo dice mentre ha in mano uno di quei caffè acquosi e bollenti delle macchinette stile industriale e noi infatti siamo proprio nel parcheggio di quella scatola di cemento che fa entrare e uscire persone o che hanno appena vinto o che hanno appena perso.

Con questo virus nell’aria e le mascherine su ognuno di noi, sembriamo tutti dei medici o degli allenatori e in fondo me l’ha detto pure la mia analista, ognuno di noi tratta con l’anima ogni giorno, siamo venditori o compratori di quel pacchetto completo che è il nostro Io, ma qui fuori dallo stadio siamo costretti a pensare soprattutto alla pelle e il sangue, alle ossa che si rompono, agli organi che vengono a mancare, ai gol che devi segnare per vincere, e senza quelli mica vivi.

Franco si toglie la mascherina, beve il suo caffè lungo in un sorso solo e poi aspetta che rispondo.

-Forse. Voglio dire cosa mi rimane qui?

Mi apro una bottiglietta di acqua, noto degli uccelli che volano sulle sponde degli spalti lisci, penso a come ci siano sempre là sopra, chissà perché, forse tra una migrazione e l’altra è come se trovassero degli spettacoli a poco prezzo e con vista totale sulla città.

È una giornata placida di una Firenze né troppo azzurra e né troppa grigia, è una coordinazione monotona di colori sbiaditi eppure rassicuranti.

Una di quelle visioni lontane dai flash dei turisti e dai capellini con i colori fluo dei giapponesi, non ci sono le farmacie antiche piene di profumi e nemmeno un paninaro che ci faccia un panino con il lampredotto.

-Allora vieni giù da me in Calabria, ti trovo una casetta caruccia e ti ci trasferisci. Anche se passati i quarant’anni non so cosa speri di poter fare, ormai.

Accanto a noi ci sono tappetti di mascherine gettate a terra e salviettine usa e getta, come se per davvero potessero igienizzarci le mani ma non ci importasse nulla dello sporco sulle strade, la mia mascherina mi prude sul naso e non sento niente dentro, so che sta per succedere qualcosa ma non lo sento come un’urgenza, e questo fa la differenza, perché se come qualsiasi portiere sapessi parare tutti i colpi, intercettare tutte le richieste di aiuto per tempo, Linda Balti, trentaquattro anni occhi azzurri e capelli corvini, non ci aspetterebbe nello spogliatoio di uno stadio con ustioni sul viso da sigarette, le costole rotte dai pugni, la maglietta da calcio strappata in due.

Strattono Franco via di lì, le gambe bruciano lungo i muscoli troppo fermi sui piedi e non ho più pazienza, dobbiamo capire come trovare il fidanzato di Linda e farlo in fretta e se lei è sveglia cinque minuti in più o in meno non fanno la differenza.

Sono brusco, me lo hanno detto sempre tutti ma a mio avviso meglio un brusco che porta a qualcosa di buono, piuttosto che un buono che porta a qualcosa di brusco, e forse anche per questo non ho moglie, le donne hanno voglia di credere subito nel romanticismo, di cascare nell’idea di una certezza, piuttosto che attendere che sia vera. Ed io in questo meccanismo ero dannatamente incapace di vivere. Per uno come me l’amore lo si gioca sempre ai rigori.

Le altre calciatrici si passano una mano sul viso truccato in modo che possa sembrare naturale mentre un odore simile all’erba bagnata nel fango mi si appiccia addosso.

-Dottore.

-L’ambulanza è appena arrivata, le parlerete quando arriva in ospedale.

-Senta, è sveglia per cui io entro, metto dentro chi le ammazza le persone non è che le ammazzo io stesso. Mi creda che non le farò del male con le mie domande. Ma devo parlare con lei. Ora.

Il dottore Francesco Langui, ancora nessun capello bianco sulla pelle, mi guarda come se volesse fare il cattivo e poi si toglie dalla porta bianca dello spogliatoio e mi lascia passare.

-Buon pomeriggio, Linda.

-Chi… chi siete?

-Ispettore Franco Tauri e Vicecommissario Adolfo Guerni, ci siamo visti prima. Dobbiamo parlarle.

-Non ho molto altro da dirvi.

Chi mi parla è un corpo come fosse uguale ad un solo fiammifero dentro una scatola di cerini, sottile e bianco e poi in modo improvviso chiazzato di rosso.

-La capisco, ma dobbiamo trovare il suo fidanzato. Ci aiuti.

-Ludovico era, voglio dire è, non lo so. Mi è sempre sembrato normale e non so dove sia scappato, il suo mondo ero io, la sua famiglia e le partite di tennis, nulla di più. Io calcio e lui tennis, tutto per lo sport e poi era tutto per me.

-Era?

-Dopo quello che mi ha fatto non voglio più vederlo.

-Certo, mi sembra il minimo.

Il cellulare nella tasca dei jeans vibra insistente. Adesso dovrei sentirla quella emergenza prudere da qualche parte del corpo, avere voglia di accendere una sigaretta e invece niente, nessun tic nervoso da personaggio dei libri.

-Sono Guerni.

-Ludovico Vinci, lo abbiamo trovato.

-Portatelo in commissariato, arrivo nel giro di un quarto d’ora a sentirlo.

-Impossibile. È morto.

Ho un sussulto che mi pare invisibile eppure Linda mi guarda e tutto quello che devo sentire, il prurito, la voglia del fumo, l’istinto di emergenza, un leggero tic alla testa, lo sento tutto insieme, violento e inatteso.

-Come?

-Pare suicidio.

-Pare?

-Beh vede, ha tutta l’aria di una simulazione fatta male. Pare impossibile si sia impiccato da solo.

-La scientifica?

-Sta già arrivando, l’ha chiamata il commissario poco fa.

Chiudo la telefonata, nessun saluto, solo l’impulso di uscire da quella stanza il più in fretta possibile.

Chiamo Franco a me e mi guarda grave perché sa che quando faccio così la situazione è pessima.

-Linda, ci scusi un attimo. Saremo di nuovo da lei tra qualche minuto e poi l’ambulanza la porterà per fare accertamenti sulla sua salute.

Scendiamo nuovamente alle macchinette del caffè, c’è una signora anziana che continua a ripetere a voce bassa, lo hanno licenziato lo hanno licenziato lo hanno licenziato, penso si tratti del marito perché una donna più giovane dai capelli rosso fuoco l’abbraccia piano come per farle forza, forse è la figlia, poi un bambino le salta in braccio gridando mamma e lei ricaccia indietro la prima lacrima che le stava scendendo sul viso.

-Ludovico Vinci è morto.

-Come morto?

-Morto suicida, pare. Ma da come lo hanno trovato non si direbbe.

-E ora che facciamo?

-Torniamo da Linda e continuiamo a parlare, ma questa volta la interroghiamo.

-Non penserai che…?

-Non penso niente, faccio solo il mio lavoro. Andiamo, muoviti.

Lui si ferma un attimo a guardarmi, ha ancora il caffè in mano.

-Deve salire sull’ambulanza, mica scappa quella, dammi un attimo che finisco questo.

Si scola quel piccolo bicchiere di plastica e ci scambiamo di posto mentre gli faccio spazio davanti al cestino per buttarlo via.

È un attimo, uno soltanto, e avrei dovuto sentirlo, avvertirlo dentro di me, sono poliziotto per questo, ma ciò che impari dal mestiere è che una pallottola è veloce più dell’azione e del pensiero di usarla.

Franco quella pallottola adesso se la prende al posto mio, dritta, in piena testa, senza possibilità di salvezza.

Io mi metto a terra, tiro fuori la pistola e mentre dico a tutti di stare giù e allontanarsi da noi due, guardo a destra lungo la traiettoria dello spazio libero da automobili, verso l’unica traiettoria possibile in cui qualcuno poteva colpirci, in cui qualcuno ci ha appena colpiti.

Quel riflesso intenso di capelli lo vedo giusto in tempo, prima che fugga via, verso una visuale più libera o una traiettoria che possa trovarmi nuovamente impreparato e corro anche io adesso, annaspando, con il fiato che brucia, le scarpe che scivolano e gli occhi della gente impaurita da me.

Non sono un calciatore e non ho gli indumenti adatti, siamo uno a zero e sono in svantaggio.

Corro lungo le scale, vedo che apre un’altra porta e un nuovo spalto ci aspetta.

Il cielo aperto sopra di noi fa male agli occhi, siamo soli, faccia a faccia.

Ormai la mascherina l’ho persa e il fiato cerca di tornare regolare.

-Lo hai ucciso tu.

-Sì.

-Legittima difesa?

-No.

-Allora perché?

-L’ho fatto e basta.

-E l’arma?

-L’avevo già nascosta qui qualche giorno prima.

-Quindi lo hai progettato.

-Sì.

-E adesso?

-Uno dei due salta giù.

-Chi?

-Tu.

Però mentre Linda mi condanna a morte un piccione dei tanti lì sopra le arriva addosso, scuote la pistola che ha in mano e parte un colpo assordante, io non sento niente, la mia pelle sembra la stessa di sempre.

Linda sorride mentre con le mani si tiene la testa per il rumore, un orecchio le sanguina veloce, sembra fare un giravolta e poi la vedo inciampare all’indietro, le corro incontro, l’attimo dopo che le mie gambe si sono mosse, lei è già un punto nero e rosso nel punto in cui appena qualche minuto prima si era fatta trovare malconcia e dolorante.

Lei è morta, Franco anche, lo so, l’ho visto morire davanti a me, come ho visto lei ora.

La morte ha appena segnato i suoi gol sulla vita, ed io lì in mezzo sono un portiere senza rete, dietro di me c’è il vuoto e devo stare attento a non caderci dentro.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Marta, autrice eclettica che salta dai bollori dei sentimenti a quelli delle canne di pistole fumanti. Sinceramente a questa tua scrittura frenetica preferisco quella intimista (e un po’ erotica) ma da questi LibriCK saltano fuori le moltitudini che ti caratterizzano, fanno parte di te e allora ce le prendiamo. Bello il colpo di scena finale, crei trame sempre ben studiate.

    1. @tiziano-pitisci il lato romantico erotico sembra che prevalga in me e di conseguenza pare anche che sia quello che poi di me piaccia più ai lettori, ma ogni tanto mi sale questa lato crime, forse per cambiare, magari alla fine faro un cross over con tutte e due questi lati 😀

    2. @tiziano-pitisci ammetta che lei voleva exploit tra Beatrice e Fabrizio…. sono mesi che mi tormento la storia che riguarda una sensuale figo da paura modello, devo solo creargli un giusto contorno 😉

  2. Davvero un bel noir, non mi aspettavo il colpo di scena finale. Pensavo anche io ad un racconto che avesse come tema la violenza sulle donne, ma tu qui hai voluto spiazzare il lettore, e ci sei riuscita.
    Ho anche apprezzato molto il tuo stile descrittivo, mi piace “immergermi” nelle scene in cui si svolge il racconto.
    Mi resta un dubbio – se lo vorrai svelare: quindi le ustioni sul volto di Linda, le costole rotte….era tutta una messa in scena? si era ferita da sola per sviare le indagini? o c’è qualcosa che non ho colto?

    1. @sergiosimioni prima di tutto grazie per averi letta così attenuatamente e altrettanto modo avermi commentato 😀 il colpo di scena vedo che ha funzionato, volevo spiazzasse.
      Riguardo alla tua domanda, hai colto il significato, aveva fatto tutto lei da sola, pur di far rientrare l’atto nel veritiero. Questo è quello che ho scritto e che avevo in mente, ma indubbiamente anche questa carnefice può essere stata anche vittima prima… alla fine chi fa violenza è il primo che l’ha subita, in qualche modo.

  3. “ma a mio avviso meglio un brusco che porta a qualcosa di buono, piuttosto che un buono che porta a qualcosa di brusco”
    Bellissima frase: sintetica ed efficace. Arriva diretta, come un rigore calciato nel sette.

  4. “È una giornata placida di una Firenze né troppo azzurra e né troppa grigia, è una coordinazione monotona di colori sbiaditi eppure rassicuranti.”
    che bella questa frase, sembra una fotografia scattata con la tastiera anzichè con una macchina fotografica 🙂

  5. Un bel racconto con trama e dialoghi di effetto, cadenzata con giusto respiro e tempistica.
    Anche suggestioni (cerino dentro alla scatola, piccione, il caffè) che elevano, anteponendosi come banalità di un pour parler, tutto il racconto. Oltre a un bel racconto questo è un bel lavoro di tecnica.

    1. @bassotti ti ringrazio davvero molto per lo splendido commento sul lavoro di tecnica perchè, trama a parte, è su questo che dobbiamo basarci quando scriviamo. La violenza purtroppo abbonda e ho voluto dare i ritmi d una tensione prima suggerita e poi via via sempre più sentita, grazie per avermi letta.

  6. Ciao Marta. Che dire, oltre ad essere romance la tua anima è decisamente thriller. Hai imbastito una storia piena di colpi di scena. Inizialmente ho diretto il mio pensiero alle molte donne vittime di violenza domestica, aumentate in dismisura nei periodi di quarantena. Tutto filava: la donna ferita, le mascherine a terra. E invece no, hai voluto ribaltare la situazione facendo della vittima la carnefice (mi è piaciuto quell’ “era” che le è scappato dalle labbra).

    1. @micol-fusca la tematica della violenza che porta altra violenza è purtroppo una realtà, volevo giocare su questo aspetto anche per creare il colpo di scena. Sono contenta che questo risvolto ti sia arrivato, e quell’era è proprio messo lì apposta, come segnale, come immagine di una donna che è già andata oltre pur essendo rimasta ferma nel dolore.

  7. “Una di quelle visioni lontane dai flash dei turisti e dai capellini con i colori fluo dei giapponesi, non ci sono le farmacie antiche piene di profumi e nemmeno un paninaro che ci faccia un panino con il lampredotto.”
    Ben descritta in poche parole la fantastica Firenze!

    1. @emmerre ti ringrazio, anche se abitando in Toscana gioco facile 😀 vado a prendere il profumo proprio in una di quelle antiche farmacie del centro storico e lì il turismo è sempre attivo, salvo pandemie a parte ovviamente.