Incrostazioni

Serie: Un pessimo desiderio


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Martina viveva imprigionata in una cella priva di sbarre e senza pareti. Aveva degli agenti di custodia spietati che la tormentavano quasi giornalmente, il direttore di questo carcere immaginario era proprio lui: il suo odiato papà.

La madre di Martina, Sara Marini, si era arresa ad una malattia fulminante chiamata leucemia acuta promielocitica quasi sei anni prima.

Questa fu la diagnosi fatta dal medico necroscopo, ma nessuno aveva mai sospettato niente, era riuscita a mascherare i sintomi a tutti e sopportato in silenzio, fino a quando una emorragia cerebrale le aveva inondato il pannello di controllo principale mandando in corto l’intera baracca.

Edoardo Marini, il papà di Martina, aveva iniziato improvvisamente una strana collezione di manufatti bizzarri e reperti stravaganti, grazie al suo lavoro di archeologo, era diventato una specie di tombarolo contrabbandiere. Quella fissazione, unita ad un carattere duro e autoritario, acuito dalla morte dell’amata moglie, lo avevano consumato e trasformato in un faraglione di quarzo ialino tagliente e acuminato: più la figlia tentava l’arrampicata, più si tagliava e feriva aumentandone la frustrazione e il desiderio di urlare tutta la rabbia accumulata.

Martina si vestì con i suoi abiti preferiti: larghissimi, comodi e scoloriti, capaci di nascondere le ferite dell’anima e del corpo. Prese il libro più amato, ormai consumato e logoro, lo aveva già letto decine di volte, ma adorava la rabbia, il cinismo e le reazioni del protagonista: lei avrebbe voluto vivere come Thomas Covenant, avrebbe voluto una manciata di sanargilla da mettere sull’occhio, avrebbe amato Salcuore Seguischiu…

Il telefono squillò interrompendo il fantasticare di un mondo inesistente, ma tanto desiderato.

Chiuse gli occhi e sospirò, conosceva chi stava chiamando.

– Pronto? – chiese senza troppa curiosità, dall’altro capo del telefono la voce conosciuta della segretaria del padre, Marinella, ordinava ed informava senza particolari inflessioni.

– Ciao Mari… No è andata già via, sono sola in casa… Tranquilla, mi preparerò una cosa con quello che c’è in frigo… Ok… Va bene… Lunedì? Sì, ci vediamo settimana prossima… Sì, va ben— – La segretaria personale del padre aveva già riagganciato senza neanche salutare.

– Ciao cogliona… salutami quel cazzone di papà! – disse con voce tetra. Posò il cordless digrignando i denti e respirando rumorosamente attraverso di essi.

A grandi passi e a piedi nudi uscì dalla sua cameretta, attraversò il corridoio stringendo i pugni e si fermò davanti alla porta chiusa che temeva più di qualunque altra cosa in quella casa e in tutte le case in cui aveva vissuto nel corso degli anni: il sacro studio inviolabile dove il padre si masturbava con tutte le sue reliquie, i suoi manufatti preziosissimi, le sue cazzo di convinzioni esoteriche idiote. Batté i pugni su quella porta con ferocia una volta sola, avvertendo un nodo alla gola che la avvisava che le lacrime volevano far capolino da quegli occhi asciutti. Ringhiò ricacciandole indietro, un ringhio soffocato, rabbioso e purulento.

Corse in camera da letto del genitore, sapeva dove guardare, lo aveva immaginato mille volte, ma non aveva mai avuto il coraggio o l’incoscienza di mettere in atto quel piano istintivo dettato dalla furia: trovò quello che cercava nascosto con del nastro isolante nero sul bordo del tavolo poggiato alla parete. Staccò con cura il pezzetto adesivo e ne estrasse la chiave, tornò davanti a quell’uscio maledetto. Fece scattare la serratura, ma non la aprì: sapeva che il padre non si fidava di nessuno e che aveva sicuramente messo qualcosa che gli avrebbe fatto capire di un eventuale intrusione non autorizzata. Controllò tutta la lunghezza tra il pannello ed il telaio, in basso all’altezza delle ginocchia una striscia di carta rettangolare faceva capolino, pronta a cadere in caso di apertura. Memorizzò il punto esatto del frammento bianco e aprì con il cuore che correva sgraziatamente facendole sentire ogni passo poco sopra le clavicole.

Il sacro presbiterio, il rifugio proibito, il sancta sanctorum era stato appena violato. La stanzetta era immersa in una oscurità reverenziale, interrotta solo dai puntini di luce provenienti dalle fessure delle lamelle della tapparella in PVC. A tentoni cercò l’interruttore alla sua destra, lo premette quasi col timore che il padre si potesse materializzare davanti a lei con quell’espressione delusa e accigliata per il poco rispetto e l’ineducazione dimostrata da una figlia ingrata.

Un vecchio bulbo ad incandescenza con il suo filamento di tungsteno attraversato dalla corrente, inondò la stanza di una calda, ma fioca luce color giallo-arancio.

Una sedia al centro della stanza, quattro armadi dotati di ante con vetrina e una libreria ricolma di libri dall’aspetto antico, molti altri erano impilati ordinatamente a terra davanti ad essa formando una specie di metropoli con i suoi grattacieli letterari.

Martina quasi dimenticò che lo scopo della sua intrusione era quella di distruggere, ferire in qualche modo quel padre assente e cinico, insensibile e freddo come il ghiaccio secco delle torte gelato che le comprava la madre quando era piccola. Dall’occhio ferito scese una lacrima, piccola e quasi polverosa, che riaccese il pensiero rabbioso dello sbattere a terra qualche preziosa statuetta di porcellana o quello che era.

L’armadio vicino a lei era pieno di oggetti stravaganti: un gioiello egizio a forma di scarabeo alato, anfore di pregiata fattura probabilmente provenienti da qualche scavo greco o romano.

C’era anche una collana d’oro massiccio con un ciondolo enorme scolpito finemente da ornamenti geometrici commoventi. In basso diverse bottiglie, ordinate in base ai colori del vetro o della porcellana parevano celare preziosi e inebrianti nettari alcolici che fecero balenare a Martina il desiderio di vendicarsi ubriacandosi con qualcosa di talmente inestimabile che lo sfregio sarebbe stato appagante e oltretutto difficilmente rintracciabile.

Apri l’anta della vetrina, accovacciandosi e iniziando una sorta di selezione mentale della bottiglia sacrificale. Erano impolverate e alcune sembravano incrostate da un qualche tipo di mollusco marino, come se fossero state recuperate da un vetusto relitto. Sollevò la prima bottiglia, era di un marroncino smorto con una specie di sigillo impresso direttamente sul vetro che forse ne indicava la provenienza o il suo contenuto, ma era vuota e senza tappo. La seconda bottiglia era trasparente, ma opaca a causa della polvere accumulata da decenni, conteneva però un poco invitante liquido scuro fangoso.

La terza bottiglia era nera, con sopra incrostazioni bianche da profondità marine, l’etichetta era illeggibile, completamente rovinata.

Agitò la bottiglia cercando di percepirne il contenuto, sembrava mezza piena.

Serie: Un pessimo desiderio


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Discussioni

  1. Ora capisco l’enorme solitudine di Valentina. Più vai avanti con la narrazione più questa ragazza mi piace. Sperò che oltre a bere qualche vino stagionato, distrugga qualche statuina. Non è educativo ma fa bene all’umore!

    1. Povera Val… no! Martina! Ora anche a me viene voglia di chiamarla Valentina! 😀
      Beh, direi che la sua è una reazione quasi naturale. Il padre è sempre fuori, non le parla quasi mai, anzi è la segretaria che ha un rapporto quasi più profondo rispetto al genitore.
      Anche a me verrebbe voglia di fare un po’ di danno magari solo per attirare la sua attenzione!
      Come al solito ti meriti un cuoricino per il tuo commento! ♥ Anzi due! ♥♥

  2. “Martina si vestì con i suoi abiti preferiti: larghissimi, comodi e scoloriti, capaci di nascondere le ferite dell’anima e del corpo.”
    Questa frase caratterizza in maniera impressionante la personalità di Valentina

    1. Sei a casa, non devi dar conto a nessuno, non devi apparire, non devi far finta che tutto vada bene e che niente ti ferisca. Vuoi solo sentirti a tuo agio… La mia felpa è anche tutta bucherellata dalle unghie dei miei gatti e adesso che si avvicina l’estate avrò anche la schiena piena di graffi! Ma vabbè! 😀
      A Valen… Argh! Martina! Martina! 😀 A Martina piace crearsi un suo mondo dove rinchiudersi pacificamente.

      1. ❤️Perdonami tu che mi diverto a fartelo notare! Però a me piace immaginare il commento come se fosse una vera conversazione faccia a faccia e io farei lo scemo tutto il tempo facendo finta di chiamare Martina con mille nomi diversi tranne che il suo! Sappi che sono un idiota, quindi non starci a pensare troppo!

  3. Che personaggio meraviglioso ci stai regalando! Martina ha in se luci e ombre dell’adolescenza, trattiene l’intero specchio dei colori e li rilascia, portandoci nel suo mondo, facendoci assaggiare ogni volta un pezzetto di sé. Pesca una bottiglia…qualcosa a che veder con il rum di Angi? o farnetico? vado a leggermi il seguito! ♥♥♥♥♥

    1. Martina è una di quelle ragazze che passano il loro tempo a crearsi interi mondi al loro interno, soprattutto quando non sai mai in quale città sarai costretta a vivere l’indomani… E senza punti di riferimento, lei è costretta a crearseli.
      Effettivamente, come mi capita spesso, i personaggi di cui scrivo riescono a stupirmi per le loro reazioni inaspettate! 😀
      Grazie mille Dea! Oramai ogni tuo commento è una coccola agognata per me! ♥

  4. Ecco Martina da chi ha preso il dono di nascondere il proprio dolore e la cocciutaggine: trovo questo parallelismo con la madre e il padre molto profondo che dice tanto della protagonista in soli tre paragrafi.
    Percepisco la sua rabbia, la sua frustrazione e la sete di vendetta, non mi sento di biasimarla quando decide di distruggere lo studio del padre. Martina è davvero ben caratterizzata!
    La descrizione della stanza mi è piaciuta tantissimo, si abbina perfettamente con il crescendo di tensione che porta alla fatidica bottiglia.
    Veramente complimentoni Emiliano!😻

    1. Mannaggia Mary! Così mi metti in difficoltà. Mi emoziona leggere il tuo commento perché percepisco che hai preso a cuore le vicissitudini di una ragazzina costretta suo malgrado ad una sorta di pazienza forzata imposta dal suo carattere e dall’educazione ricevuta. Il fatto che lei stia continuando a pressare la polvere da sparo al suo interno e che, se mai dovesse premere il grilletto, il rischio che l’arma deflagri rovinosamente diventi davvero il pericolo più probabile per una ragazza non adatta ad una tale potenza di fuoco…
      Ho detto fuoco? 😀 Sì, forse mi sono scoperto troppo!
      Grazie mille Mary, ormai penso che tu abbia capito che razza di individuo io sia! 😀