
Incrostazioni
Serie: Un pessimo desiderio
- Episodio 1: Colpevolezza
- Episodio 2: Aspirine
- Episodio 3: Pareti levigate
- Episodio 4: Lavaggio Speciale Sport – 52 minuti
- Episodio 5: Incrostazioni
STAGIONE 1
La madre di Martina, Sara Marini, si era arresa ad una malattia fulminante chiamata leucemia acuta promielocitica quasi sei anni prima.
Questa fu la diagnosi fatta dal medico necroscopo, ma nessuno aveva mai sospettato niente, era riuscita a mascherare i sintomi a tutti e sopportato in silenzio, fino a quando una emorragia cerebrale le aveva inondato il pannello di controllo principale mandando in corto l’intera baracca.
Edoardo Marini, il papà di Martina, aveva iniziato improvvisamente una strana collezione di manufatti bizzarri e reperti stravaganti, grazie al suo lavoro di archeologo, era diventato una specie di tombarolo contrabbandiere. Quella fissazione, unita ad un carattere duro e autoritario, acuito dalla morte dell’amata moglie, lo avevano consumato e trasformato in un faraglione di quarzo ialino tagliente e acuminato: più la figlia tentava l’arrampicata, più si tagliava e feriva aumentandone la frustrazione e il desiderio di urlare tutta la rabbia accumulata.
Martina si vestì con i suoi abiti preferiti: larghissimi, comodi e scoloriti, capaci di nascondere le ferite dell’anima e del corpo. Prese il libro più amato, ormai consumato e logoro, lo aveva già letto decine di volte, ma adorava la rabbia, il cinismo e le reazioni del protagonista: lei avrebbe voluto vivere come Thomas Covenant, avrebbe voluto una manciata di sanargilla da mettere sull’occhio, avrebbe amato Salcuore Seguischiu…
Il telefono squillò interrompendo il fantasticare di un mondo inesistente, ma tanto desiderato.
Chiuse gli occhi e sospirò, conosceva chi stava chiamando.
– Pronto? – chiese senza troppa curiosità, dall’altro capo del telefono la voce conosciuta della segretaria del padre, Marinella, ordinava ed informava senza particolari inflessioni.
– Ciao Mari… No è andata già via, sono sola in casa… Tranquilla, mi preparerò una cosa con quello che c’è in frigo… Ok… Va bene… Lunedì? Sì, ci vediamo settimana prossima… Sì, va ben— – La segretaria personale del padre aveva già riagganciato senza neanche salutare.
– Ciao cogliona… salutami quel cazzone di papà! – disse con voce tetra. Posò il cordless digrignando i denti e respirando rumorosamente attraverso di essi.
A grandi passi e a piedi nudi uscì dalla sua cameretta, attraversò il corridoio stringendo i pugni e si fermò davanti alla porta chiusa che temeva più di qualunque altra cosa in quella casa e in tutte le case in cui aveva vissuto nel corso degli anni: il sacro studio inviolabile dove il padre si masturbava con tutte le sue reliquie, i suoi manufatti preziosissimi, le sue cazzo di convinzioni esoteriche idiote. Batté i pugni su quella porta con ferocia una volta sola, avvertendo un nodo alla gola che la avvisava che le lacrime volevano far capolino da quegli occhi asciutti. Ringhiò ricacciandole indietro, un ringhio soffocato, rabbioso e purulento.
Corse in camera da letto del genitore, sapeva dove guardare, lo aveva immaginato mille volte, ma non aveva mai avuto il coraggio o l’incoscienza di mettere in atto quel piano istintivo dettato dalla furia: trovò quello che cercava nascosto con del nastro isolante nero sul bordo del tavolo poggiato alla parete. Staccò con cura il pezzetto adesivo e ne estrasse la chiave, tornò davanti a quell’uscio maledetto. Fece scattare la serratura, ma non la aprì: sapeva che il padre non si fidava di nessuno e che aveva sicuramente messo qualcosa che gli avrebbe fatto capire di un eventuale intrusione non autorizzata. Controllò tutta la lunghezza tra il pannello ed il telaio, in basso all’altezza delle ginocchia una striscia di carta rettangolare faceva capolino, pronta a cadere in caso di apertura. Memorizzò il punto esatto del frammento bianco e aprì con il cuore che correva sgraziatamente facendole sentire ogni passo poco sopra le clavicole.
Il sacro presbiterio, il rifugio proibito, il sancta sanctorum era stato appena violato. La stanzetta era immersa in una oscurità reverenziale, interrotta solo dai puntini di luce provenienti dalle fessure delle lamelle della tapparella in PVC. A tentoni cercò l’interruttore alla sua destra, lo premette quasi col timore che il padre si potesse materializzare davanti a lei con quell’espressione delusa e accigliata per il poco rispetto e l’ineducazione dimostrata da una figlia ingrata.
Un vecchio bulbo ad incandescenza con il suo filamento di tungsteno attraversato dalla corrente, inondò la stanza di una calda, ma fioca luce color giallo-arancio.
Una sedia al centro della stanza, quattro armadi dotati di ante con vetrina e una libreria ricolma di libri dall’aspetto antico, molti altri erano impilati ordinatamente a terra davanti ad essa formando una specie di metropoli con i suoi grattacieli letterari.
Martina quasi dimenticò che lo scopo della sua intrusione era quella di distruggere, ferire in qualche modo quel padre assente e cinico, insensibile e freddo come il ghiaccio secco delle torte gelato che le comprava la madre quando era piccola. Dall’occhio ferito scese una lacrima, piccola e quasi polverosa, che riaccese il pensiero rabbioso dello sbattere a terra qualche preziosa statuetta di porcellana o quello che era.
L’armadio vicino a lei era pieno di oggetti stravaganti: un gioiello egizio a forma di scarabeo alato, anfore di pregiata fattura probabilmente provenienti da qualche scavo greco o romano.
C’era anche una collana d’oro massiccio con un ciondolo enorme scolpito finemente da ornamenti geometrici commoventi. In basso diverse bottiglie, ordinate in base ai colori del vetro o della porcellana parevano celare preziosi e inebrianti nettari alcolici che fecero balenare a Martina il desiderio di vendicarsi ubriacandosi con qualcosa di talmente inestimabile che lo sfregio sarebbe stato appagante e oltretutto difficilmente rintracciabile.
Apri l’anta della vetrina, accovacciandosi e iniziando una sorta di selezione mentale della bottiglia sacrificale. Erano impolverate e alcune sembravano incrostate da un qualche tipo di mollusco marino, come se fossero state recuperate da un vetusto relitto. Sollevò la prima bottiglia, era di un marroncino smorto con una specie di sigillo impresso direttamente sul vetro che forse ne indicava la provenienza o il suo contenuto, ma era vuota e senza tappo. La seconda bottiglia era trasparente, ma opaca a causa della polvere accumulata da decenni, conteneva però un poco invitante liquido scuro fangoso.
La terza bottiglia era nera, con sopra incrostazioni bianche da profondità marine, l’etichetta era illeggibile, completamente rovinata.
Agitò la bottiglia cercando di percepirne il contenuto, sembrava mezza piena.
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