Indagine paleolinguistica sulle prime menzogne non verbali

Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Frammenti dall'archivio di Giorgio Traüber.

a cura di

Giorgio Traüber


“Il linguaggio nasce come alibi sonoro del desiderio.”

Niels Grambröt, Preistoria della finzione umana (2010)

Premessa

Nel corso della storia umana, ogni cultura ha cercato di attribuire al linguaggio origini nobili: l’imitazione del canto, la necessità cooperativa, l’urgenza di circoscrivere l’ignoto.

Eppure, ciò che oggi definiamo “narrazione” potrebbe non discendere da alcun bisogno di verità, bensì dalla più arcaica forma di strategia relazionale: la menzogna.

Questa ipotesi, affacciatasi timidamente nella linguistica speculativa degli anni ’80, ha acquisito nuova rilevanza alla luce delle ricerche paleoetologiche sul comportamento comunicativo dell’Homo sapiens in contesti di scarsità competitiva*.

Il presente contributo vuole delineare una mappa delle prime menzogne non verbali, interpretandole come input narrativi involontari, germi inconsapevoli del moderno storytelling.

I tre vettori della bugia originaria

Attraverso un’analisi comparata di graffiti protosimbolici e di primordiali schemi di sopravvivenza, Grambröt isola tre principali categorie di menzogna primitiva:

1. Bugia di deviazione – (“Lì c’è una preda” / ma non c’è): utilizzata per spostare l’attenzione del gruppo e guadagnare un vantaggio territoriale.

2. Bugia di esaltazione – (“Io l’ho ucciso” / ma non è vero): primo nucleo della narrazione epica, fondata sulla trasfigurazione dell’evento.

3. Bugia di protezione – (“Non è successo nulla” / ma qualcosa è successo): il principio della censura familiare, e forse del trauma mitizzante.

Secondo la classificazione di Hélène Orduña (2011), le tre suddette forme mistificatorie sono riscontrabili anche nelle interazioni paraverbali dei cuccioli di primate, mediante posture e versi modulati a puro scopo relazionale**.

La bugia come seme narrativo

Una menzogna efficace richiede struttura: deve anticipare obiezioni, costruire un contesto, prevedere una reazione emotiva. In questo senso, la bugia è una forma embrionale di racconto – e più precisamente, di finzione strategica.

Il salto evolutivo non sta dunque nell’articolazione di suoni, ma nell’immaginazione di un mondo alternativo in cui il parlante ha ragione.

Raccontare una bugia è già abitare un possibile.

L’elemento di tensione narrativa, così ricercato da ogni teorico dello storytelling, è intrinseco alla dinamica della bugia: chi mente deve temere di essere scoperto. Nasce così l’arco narrativo minimo: inganno → rischio → esito.

Secondo i modelli sviluppati da Lars Østergård, la bugia ha anticipato persino la funzione rituale del linguaggio sacro, generando strutture ricorrenti di racconto orale millenni prima della codificazione mitica***.

Archeologia del falso: tracce e indizi

Nei resti di Grotta di Balme-Secca (Val di Susa), durante una ricognizione semiotico-archeologica del 2013, sono state rinvenute sette pittografie parziali sovrascritte, interpretate da alcuni studiosi come tentativi di modifica retroattiva della narrazione visiva del gruppo****.

Una delle figure – una silhouette con doppio arco – è stata letta da Jeanne Marigot come “sovrapposizione intenzionale di versioni divergenti del medesimo atto venatorio.

È la prima “versione alternativa” documentata.

In altre parole: la prima bozza di un racconto non vero, ma funzionale.

Conclusione provvisoria

Lo storytelling, nelle sue forme più arcaiche, non nasce per trasmettere verità, ma per modularla, contenerla, orientarla.

Ogni narrazione è un ecosistema fragile, nato da una bugia utile, che col tempo ha perso di praticità, guadagnando in complessità.

Forse è questo il motivo per cui le storie che resistono sono quelle che mentono meglio: perché, mentendo, ci fanno esistere*****.

Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE


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Discussioni

  1. Interessante il paragone tra lo storytelling e le menzogne, perché tecnicamente è vero, ma è un fatto a cui generalmente non si pensa.
    Gli scrittori spesso alterano la realtà ed esperienze da loro vissute veramente su cui costruiscono una realtà elaborata dalle loro menti per terze persone. In effetti, i libri sono “bugie utili” che ci aiutano ad evadere dalla realtà anche nei momenti più critici, un po’ come se fossero delle “bugie bianche” in cui crogiolarsi.
    Praticamente, siamo dei gran bugiardi, ma mentiamo con stile! 😹

    1. Sì!😂 Questo è il fulcro della scrittura. Una bugia è, per sua natura, costruita per gli altri (oltre che per sé stessi, ma lì le cose si complicano), quindi è anch’essa un prodotto d’intrattenimento. E comunque non bisogna fidarsi di questi trattati: sono solo bugie. Bugie che mettono in dubbio la cosiddetta verità 😊

  2. Durante la lettura, riflettevo su quanto sia profondo il legame tra menzogna e linguaggio. È interessante pensare che raccontare storie possa nascere non dal bisogno di dire la verità, ma proprio da quello di “mentire bene”. Mi ha colpito l’idea che le prime bugie servissero per sopravvivere, per proteggersi o per apparire migliori agli occhi degli altri.
    In fondo, anche oggi molte storie che ci emozionano nascono da qualcosa che non è mai accaduto, ma che “avrebbe potuto” accadere.
    Dal punto di vista del linguaggio, il testo è affascinante perché unisce parole tecniche a espressioni poetiche. Frasi come “abitare un possibile” o “bugia utile” suonano quasi come versi, eppure spiegano concetti complessi in modo chiaro. La struttura è ordinata e si muove come un piccolo saggio, ma non manca di ritmo, come se anche la forma partecipasse all’idea della narrazione come “finzione che funziona”.
    Un testo come il tuo, meriterebbe uno spazio in ‘Aperitivo letterario’. Credo che scatenerebbe sonore discussioni 😀

    Curiosità: la frase d’apertura è una citazione da un autore immaginario, Niels Grambröt. È una trovata geniale: inserire una falsa autorità per introdurre un discorso sulle bugie. In pratica, l’intero testo inizia… mentendo. E proprio per questo funziona così bene.

    1. Ciao Cristiana! Che bellissimo commento il tuo! È proprio ciò che spero di stimolare con questa serie: un continuo interrogarsi sulle connessioni tra linguaggio, comunicazione e realtà. Questo episodio è quello che meglio rappresenta la natura mendace di tutta la serie (i saggi di Traüber sono tutti falsi, bugie utilizzate però per indagare la verità. Anche le fonti sono tutte inesistenti). Lentamente uscirà anche la parte più umana e biografica dei due fratelli, ma sarà sempre da ricercare nelle note a piè di pagina… Almeno finché l’intero Atlante non diventerà un oggetto narrativo fuori controllo😊. Grazie mille per la lettura! 🙏🏻🤗

  3. “Una menzogna efficace richiede struttura: deve anticipare obiezioni, costruire un contesto, prevedere una reazione emotiva. In questo senso, la bugia è una forma embrionale di racconto – e più precisamente, di finzione strategica.”
    Quanto verità c’è in questo passaggio. Io conosco persone che posso creare una saga intera…

  4. Che bugiardi che siamo, noi che scriviamo racconti! 😁 C’è molto su cui riflettere. “Le storie che resistono sono quelle che mentono meglio”: mi chiedo quale sia il modo per mentire “meglio” 🤔 Forse raccontando una bugia che sia il più possibile simile alla realtà?

    1. Ciao Arianna! Grazie mille per la lettura🙏🏻 Bella domanda! La bugia perfetta… La più seducente? La più paradossale? La più accomodante? Forse quella capace di farci innamorare di un’altra realtà. Chissà🤷🏻‍♂️

    1. Ciao Roberto! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Questo episodio (come e più degli altri pseudosaggi) racchiude la dichiarazione d’intenti della serie. Chiaramente tutto va visto nell’ottica dell’autore, filtrata dal curatore, che non sono io😆 Ma ci arriveremo.

  5. *Grambröt, N. (2010). Préhistoire de la fiction humaine: le récit comme stratégie évolutive. Ed. Encryptea.
    **Orduña, H. (2011). Lenguaje y engaño en los mamíferos sociales: del grito al relato. Universidad de la Plata.
    ***Østergård, L. (2011). Narrative Intent and Adaptive Fiction. Aarhus Cognitive Series.
    ****Marigot, J. (2013). Les murmures de la pierre. Paris: Atelier ArchéoTextuel.
    *****Sin da ragazzo, Giorgio era convinto che la Verità consistesse in tutto ciò che il linguaggio non fosse in grado di romanzare.
    Un ente al di là del dicibile.
    Fu forse questo il motivo che lo spinse a compilare un “lessico delle parole mancanti”, un quaderno rosso in cui annotava concetti che non trovavano posto nei comuni dizionari.
    Voleva coniare tutte le parole possibili, così che, alla fine, non sarebbe rimasto altro che il vuoto di quella fantomatica Verità.
    Ecco spiegato il perché della sua passione per le bugie: secondo lui, la comunicazione era un’enorme menzogna.
    Una volta mi chiese: “Esiste un termine per definire chi mente al solo scopo di smascherare una verità?”
    Aveva sedici anni, all’epoca.
    Ora so che stava parlando di sé stesso. — G. T.