
L’eleganza dello sconfitto
L’eleganza dello sconfitto si misura nel fallimento. La forza autentica si manifesta nella vulnerabilità, nell’accettare la caduta e nel cercare, con dignità, di rialzarsi. Io, però, non mi sono mai rialzato davvero. Sto morendo, ma la morte vera è avvenuta tempo fa. Da allora, sopravvivo al passaggio verso l’ignoto. Cammino, parlo, vivo, ma non sono io: è la mia anima che vaga, in cerca di un’altra esistenza in cui ricominciare il ciclo eterno della riparazione.
Ho perso tutto. L’amore. Il senso. Ogni giorno è una lotta tra incubi e risvegli, tra illusioni e disperazione. La mia esistenza è un guscio che si muove senza scopo, affamato di una scintilla che non arriva. La mia fiamma eterna non mi ha illuminato: mi ha bruciato.
Non c’è salvezza. Nessuna rivincita. Moriamo e basta. Ti invito ad arrenderti anche tu. Qui, nell’inferno dei falliti, è tutto quieto: si arde, lentamente, senza più lottare. Il successo è l’inganno supremo. Un velo. Una menzogna. Guarda fuori dalla finestra. Il cielo. Le voci. Le mani. Respira. Muori.
Arrenditi alla realtà. Al fiume inarrestabile del presente. Lascia andare il passato, il futuro. Diventa come un albero nel vento: piegati senza spezzarti. Smetti di combattere l’inevitabile, e forse scoprirai la pace profonda che nasce dalla resa consapevole. Osserva con occhi nuovi. Senti il battito del cuore, la terra sotto i piedi, il cielo sopra di te. Sei parte del tutto.
Lascia andare i pensieri, come nuvole nel cielo. Accogli le emozioni come ospiti. Trova forza nell’accettazione, libertà nel lasciare andare. In questa resa nasce un nuovo potere: non il dominio degli eventi, ma la grazia di saperli attraversare. Non cambiare il mondo esterno: trasforma il tuo mondo interiore.
Ma poi decido: è meglio mettere un punto. Perché la sofferenza tornerebbe. Come impedire al desiderio di morire di tornare? Siamo esausti.
Poi qualcosa accade. Qualcuno entra. Io tremo sotto le coperte. Il cuore martella. Riconosco quei passi. I graffi sulle pareti. I rantoli. E poi… mi salta addosso: è Lella, la mia cagnolina. Le sue leccate mi riportano in vita. E mi addormento felice, stretto a lei.
Ma Lella non esiste. È solo nella mia testa. Sono un mistico schizofrenico. Cosa ne sarà di me?
“COSA?”
Silenzio.
Come il respiro trattenuto di Dio. Resto immobile, la voce nella mia testa tace. Anche lei ha capito: Lella non tornerà. Mai più.
Eppure, la chiamo ogni notte. Un nome semplice, carico di passeggiate e biscotti. Ora è solo un graffio nella mente. Forse non è sparita. Forse è diventata respiro. O vento.
Io sono solo un’eco. Un frammento. E nel buio, mentre l’alba non arriva, prego in silenzio: “Lasciami andare. Ho dato tutto. Ho amato. Ho perso. Ho capito troppo tardi.”
Poi, ricordo. Un odore di legno bagnato. Una voce che diceva: “Andrà tutto bene.” Una promessa dimenticata, ma mai rinnegata. E con quel ricordo nasce una nuova domanda:
Chi sei, ora, senza il tuo dolore?
Non so rispondere. Ma forse lì c’è l’inizio. Nel non sapere. Nel vuoto. Nel silenzio.
Mi siedo sul bordo del letto. Le coperte addosso. La luce filtra dalle persiane come lame d’oro. E per la prima volta non cerco risposte. Ascolto.
La finestra si apre da sola. L’aria entra. Porta via l’odore della morte. Sento freddo. Sento la vita.
Non quella delle ambizioni. Ma una vita sottile, sussurrata, che mi sfiora la pelle e mi dice: “Sei ancora qui. E non è un caso.”
Poggio i piedi sul pavimento. Reale. Ruvido. Ogni passo è una bestemmia contro la resa. Una preghiera al possibile.
Vado allo specchio. Non mi riconosco. Non importa. Forse non è tempo di riconoscersi. Ma di riscoprirsi.
Mi parlo: “Oggi non moriamo.”
E quella voce non è solo mia. È la voce che ha atteso in silenzio che io tornassi. Che smettessi di cercare nella morte una via d’uscita, e capissi che la vita stessa è la risposta.
Sento il borbottio della caffettiera. Non ricordo di averla accesa. Ma quel profumo… sa di casa. Sa di amore. Sa di me.
Lella non era solo immaginazione. Era la parte di me che voleva vivere. Un angelo, un’allucinazione benevola, il simbolo della mia infanzia ancora viva, sepolta ma non morta.
Mi siedo. Accendo una candela. Scrivo su un foglio:
“Il risveglio non è un evento. È una scelta quotidiana.”
Oggi scelgo.
Scelgo il vuoto, se è spazio per qualcosa di vero.
Scelgo il dolore, se porta con sé la comprensione.
Soprattutto, scelgo di esserci.
Sono vivo.
E questo, per ora, basta.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Hai scritto un testo toccante e intenso, che racconta il dolore profondo di chi si sente sconfitto dalla vita. La voce narrante attraversa la disperazione, la solitudine e la perdita, ma trova, nel ricordo e nell’immaginazione, un barlume di speranza. La figura di Lella, tenera e simbolica, rappresenta la voglia di vivere che resiste sotto la cenere. Un racconto sulla fatica di esistere, ma anche sulla possibilità di ricominciare. Molto bello.
racconto molto sofferto, mi ha intristito più che regalare un soffio di speranza.
Sicuramente ben scritto, sono arrivato alla fine in attesa della luce, però quanto dolore 🙁
Mi è piaciuto molto. C’è una cupezza ed un dolore che però lasciano spiragli, un male di esistere che cerca smentite. Tutto confezionato bene. Non condivido solo la frase cardine: “Il risveglio non è un evento. È una scelta quotidiana.” perché è solo bella. Perché la vita continua, nonostante…
Sembra la fase di elaborazione di un lutto. Quando muore qualcuno che ci é molto caro: un familiare, un amico o una 🐶 di nome Lella o Lilla (come di chiamava la mia), “a da passa’ ‘a nuttata”, come si dice a Napoli. Ma poi ritorna sempre l’alba.
In molte parti di questo racconto mi sono ritrovata per com’ero, o come sono stata in certi momenti critici.
Mi piace riconoscermi nelle parole di un autore.
““Il risveglio non è un evento. È una scelta quotidiana.””
Tanta verità in poche parole. Complimenti un brano originale. Che colpisce 👏
Bello! Ma la cosa curiosa, è che fra i pseudonimi c’è Andrea T. Che tu sia me???
Può darsi… 🙂
Mi è piaciuto tutto di questo racconto, a partire dal titolo. E le riflessioni. Hai buttato sul tavolo, come niente fosse, dei macigni: “Chi sei, ora, senza il tuo dolore?” Questa è una domanda tostissima. E “il risveglio non è un evento, è una scelta quotidiana”.
Mi ricordano un po’ quel “l’unico modo per andare avanti, è andare avanti”, di un tale Stephen King.
Grazie.