Nina e Rey

Serie: Cyberfobia - capitolo 1


Jutta faceva di tutto per poter adempiere ai suoi compiti, ma spesso si sentiva sopraffatta perché non era brava nel cercare di mercanteggiare, né era brava quando aveva un martello, un cacciavite o altri strumenti in mano: la dimostrazione perfetta era quella grande finestra posta tra salotto e cucina che a distanza di mesi, restava ancora per metà distrutta, lasciando quindi il freddo entrare. Jutta aveva provato a metterci del cartone che aveva trovato un giorno a terra, aveva provato con fogli di giornale, a spostarvi davanti uno di quei mobili vecchi e distrutti che riempivano l’abitazione, ma nulla aveva funzionato e da quella finestra continuava ad entrare il freddo gelido di quello che sarebbe stato contro ogni probabilità, un infinito inverno nucleare.

Dopo aver realizzato per l’ennesima volta da quando aveva emesso i primi vagiti di non essere brava in nulla, che la sua esistenza non era né un apporto positivo né negativo su quel pianeta, la ragazza fece le uniche due cose che le avrebbero fatto riprendere quanto bastava la voglia di voler riaprire gli occhi anche nel giorno seguente, quindi si lavò con quel poco di acqua potabile rimanente nel secchio dove ella ed i suoi cari accumulavano l’acqua che lei riusciva a trovare al mercato nero e una volta asciugatasi, si rivestì con panni meno sudici di quelli che aveva avuto indosso per giorni interi ed infine, prese il suo cane, lo abbracciò e rimasero stesi per terra per un po’.

Atum sapeva riconoscere quando la sua umana preferita era giù di morale e restava accanto a lei volentieri, leccandole una guancia di tanto in tanto. Quei gesti del cane facevano sentire Jutta meno sola, le ricordavano che le emozioni esistevano ancora, che non se le era inventate e che se non riusciva a vederle negli occhi di nessuno, se nulla di ciò che la circondava manifestava una parvenza di umanità, era probabilmente perché tutti avevano perso tutto e non doveva sentirsi sola. Questo lo sapeva bene, anzi era fortunata nel poter condividere quel che restava della sua esistenza con il suo animale, la madre ed il fratello, ma quella sensazione di essere sola al mondo non la lasciava per un attimo.

Quando abbracciava Atum – solo in quei momenti, riusciva a mettere da parte la voglia di gettarsi dalla finestra come aveva fatto l’uomo del palazzo accanto il giorno antecedente.

Arrivò la sera e questa portò a casa anche Nina e Rey, i familiari di Jutta. I due non sembravano mai felici di vederla, soprattutto il fratello che dopo aver chiesto alla sorella se vi fossero del cibo in tavola ed acqua potabile, procedeva col suo mutismo selettivo ed accennava a qualche mugugno di assenso o di disapprovazione solo con la madre che lavorava nella stessa fabbrica, ma con mansioni diverse.

Rey aveva una testa piena di riccioli tenuti corti, della stessa tonalità di castano di Jutta. In quella folta chioma, ella vedeva sbucare giorno dopo giorno, sempre più capelli bianchi, nonostante il ragazzo avesse solo ventisei anni, due in più della sorella. Rey era alto e magro, dalla salute cagionevole ed i muscoli delle braccia sviluppati a causa di tutti i pesi che era costretto a sollevare sul lavoro; la sua schiena era leggermente incurvata in avanti e non riusciva mai a restare dritto a causa dei dolori che sentiva attraversarla e sul suo viso dai lineamenti dolci vi era permanentemente ritratta un’espressione corrucciata che Jutta vedeva come una mistura tra nervosismo e stanchezza.

La frase che ripeteva di continuo il ragazzo quando era particolarmente stanco era: “avrei preferito morire in guerra che vivere così”. A lungo andare, era diventato il suo motto e Jutta e la madre non lo prendevano più sul serio quando egli ripeteva quella frase macabra.

Ciò che rassicurava Jutta però, era il fatto che Rey fosse affezionato ad Atum, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce: che fosse stanco morto, nervoso o frustrato, egli non perdeva mai occasione di regalare qualche coccola al cane che era sempre ben felice di riceverne.

Anche se era più comunicativa, invece Nina rimaneva un mistero per Jutta: la donna aveva sempre disposto di un portamento elegante, un fisico sottile ed un volto armonioso, dai tratti duri e severi ma incorniciati da morbide sopracciglia folte e da labbra soffici e sottili. La madre – come la figlia, era solita raccogliere i capelli neri come pece in una coda alta per praticità e sebbene la metà di questi erano bianchi dalla radice alle punte, non contribuivano ad invecchiarla. Il suo naso era dritto come quello di Rey e negli occhi color prato pareva non celare mai alcun tipo di emozione: il suo istinto materno era morto tanto tempo addietro, quando prima dell’Ultima Guerra, la miseria aveva già raggiunto la loro tavola e la donna si era limitata a cercare di far sopravvivere i figli, ma nulla di più. Da lei non uscivano mai parole di conforto, abbracci, sguardi dolci o leggere condivisioni di aneddoti, ma solo ordini, compiti da portare a termine, giudizi e tabelle di marcia. Nina era sempre stata una donna pragmatica, ma Jutta aveva intuito in diverse occasioni che la madre non aveva avuto sempre una vita dettata dalla sua stessa rigidità, tuttavia ella non aveva permesso mai a nessuno di leggere del suo passato attraverso il racconto di qualche episodio della sua esistenza, così in Jutta aveva sempre prevalso l’immaginazione che però, non l’aveva mai portata da nessuna parte ed alla fine si era arresa, tenendosi la madre non come una donna dal passato come ballerina, attrice, ragazza immagine o altro, ma semplicemente come una persona misteriosa.

Serie: Cyberfobia - capitolo 1


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Discussioni

  1. L’ambientazione è ben accennata, lasciando al lettore l’immaginazione di un mondo distrutto, freddo, impoverito e alienato. L’idea di un “infinito inverno nucleare” è potente, e l’uso degli oggetti (la finestra rotta, l’acqua nel secchio, i giornali) rafforza l’immersione.
    Se posso darti un suggerimento : potresti inserire, con parsimonia, qualche accenno visivo o sensoriale in più (odori, rumori, dettagli del quartiere, del cielo) per arricchire ulteriormente la scena.

    1. Ciao Rocco, grazie mille per il suggerimento, me lo appunto e ne farò tesoro per i prossimi scritti!
      In generale, cerco sempre di non divenire prolissa nella fornitura di troppi dettagli e mi piace inserirli attraverso gli occhi dei protagonisti.