Speranza

Serie: The place


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mina si ritrova sola un'altra volta; quando attorno a lei non c'è nessuno, non riesce a fare a meno di pensare.

Il negozio giaceva nascosto da un mucchietto di corpi carbonizzati. Mina si era avvicinata restando appiccicata al muro, mantenendo la distanza, quasi temendo che quelle carcasse avessero potuto allungare la mano per afferrarle la caviglia.

Nel negozio, si guardò attorno scrutando nella penombra. Fuori, la pioggia iniziava a cadere, sempre più intensa e fragorosa, fino a coprire i suoi passi, e ciò le diede sollievo. Nel negozio c’erano gli scaffali in legno e il registratore di cassa, proprio come nella bottega in cui aveva rischiato la vita. Forse per questo iniziò ad avvertire una morsa attorno alla pancia.

Decise di non perdere tempo, e si tolse lo zaino dalle spalle. Le corsie erano un mondo a sé; lì, in mezzo a confezioni di pane e scatolette di tonno, con la pioggia a coprire gli altri rumori, e la fragranza di cereali tutt’attorno, Mina riusciva persino ad immaginare che fosse tutto normale. Che quella fosse una giornata di compere come tante altre. Arrivò alla fine della corsia, quando si accorse che lo zaino quasi non pesava. Si voltò, chiedendosi se la disposizione dei barattoli fosse stata quella anche prima. Trasse un sospiro. Tornò sui suoi passi, e prese a raccogliere vasetti di pesche sciroppate e scatolette di brodo di carne. A metà corsia si fermò. La testa le era scappata da qualche altra parte; ancora.

Lo faceva da sempre, del resto; quando le cose attorno a lei iniziavano ad accumularsi oltre una certa soglia, lei si immaginava altrove, o addirittura in un corpo diverso, a fare cose differenti da quelle che era costretta (o che, banalmente, erano le uniche che aveva la possibilità di) fare. Un po’ come gli alcolisti ricadono nella bottiglia; o i giocatori patologici che, arrivato lo stipendio, sentono che quella è la volta giusta, e corrono alla lotteria. Ma l’alcolista alla fine finisce con l’intossicarsi; il giocatore si ritrova al verde. La mente, invece, non ha limiti. Mina si trovava così con una carrellata di illusioni, e il mondo che le cadeva addosso, probabilmente – sicuramente, si disse – anche a causa della sua inettitudine.

Quando arrivava a questo punto, di solito c’era la spalla di Vera alla quale appoggiarsi. Pur nella superficialità con cui conduceva la sua vita, Vera era un grado di cancellare tutto. Sì, semplicemente eliminare. In questo, Vera era un po’ come lo zucchero. Quale bevanda zuccherata non si beve piacevolmente? Si potrebbe dire che fosse una persona empatica, sebbene non lo dimostrasse, perché, quando si ritrovavano da sole davanti a un drink (c’era sempre un drink) Mina riusciva a lasciar perdere quel commento sgradevole detto da una collega, o le occhiate al cielo del direttore, o la lettera della banca che imponeva il pagamento della rata scaduta da un mese. Erano solo lei e la sua amica, e le sembrava che tutto sarebbe durato in eterno.

Ecco un altro ragionamento che si era sorpresa a fare in quegli ultimi, squallidi giorni; gran parte dell’angoscia che aveva provato nella sua vita precedente era legata a un senso di eternità, di impossibilità a cambiare le cose, perché sarebbero state così per sempre. Ora le cose erano cambiate eccome, eppure non riusciva a sentirsi bene. Forse il problema era dentro di lei. Per forza; perché, altrimenti, non si sarebbe cacciata nei guai fingendo di gestire un negozio nel bel mezzo dell’apocalisse. Non si sarebbe fatta sorprendere da un balordo, dal quale si era messa in salvo per pura coincidenza. E forse non avrebbe scacciato con tanta leggerezza una persona che avrebbe potuto aiutarli, lei e Oswald. In fondo erano una ragazza disadattata e un vecchio.

Nulla è eterno, pensò Mina. E non lo era nemmeno la sua amicizia con Vera. Forse, vista l’ultima serata insieme, non si sarebbero più riviste comunque, ma non poteva esserne certa. E questo la faceva impazzire…

Così come non poteva avere certezze riguardo alla morte di Vera. A voler vedere, sebbene avesse lei stessa proposto di recarsi a casa della sua amica per proporle di unirsi al gruppo, Mina aveva sempre pensato a Vera in maniera astratta, come se desse per scontata la sua morte.

Si guardò attorno, e intravide la strada attraverso la vetrata. La pioggia era cessata. Proprio come era cessata la sua squallida routine. Lei era convinta che sarebbe durata per sempre, e invece da un giorno all’altro era cessata. Quindi, se era convinta che non avrebbe mai più rivisto Vera, perché non dubitare? Aveva sempre dubitato di se stessa, ma nel modo sbagliato, si disse. Doveva dubitare dei suoi dubbi, forse. E in quel momento, lì in mezzo agli scaffali su cui iniziavano ad accumularsi strati di polvere, Mina decise che avrebbe sperato.

Assorta in questi pensieri, Mina non notò l’ombra che strisciò silenziosa contro la vetrina. Quando la porta si aprì e il campanello squillò, quella sensazione all’addome esplose in una morsa gelida. Senza pensare, approfittando del riverbero del campanello e del tonfo della porta che si richiudeva sgattaiolò in una corsia, nascondendosi nella penombra. Trattenne il respiro e ascoltò.

La porta si richiuse e il campanello suonò per la seconda volta. L’intruso stava fermo; forse ascoltando a sua volta, o forse aveva notato la pozzanghera e le impronte bagnate che sparivano dietro le corsie. Mina si lasciò sfuggire un gemito.

Lo sconosciuto si mosse. Un passo alla volta, Mina lo sentì avvicinarsi. All’improvviso la pioggia aveva ripreso a cadere impetuosa. Forse anche l’uomo, come aveva fatto lei, si stava muovendo approfittando del rumore del temporale. Aveva già avvistato lo zaino a metà corsia? Mina se l’immaginò proseguire guardingo, scrutando la seconda corsia, per poi passare alla terza, e…

“Mina?”

Come a fa a conoscere il mio nome? Fu un pensiero fulmineo, che la lasciò a bocca aperta, in preda a un sentimento che non seppe se definire sollievo o ulteriore spavento. Come sa sapere che ci sono io qui?

“Mina?” ripeté l’intruso.

Questa volta nella sua voce Mina colse una nota familiare.

Ma certo… è ovvio che sa che sono qui, si disse. È la voce di Jonathan.

Continua...

Serie: The place


Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. A mano a mano che leggevo è stato come ripercorrere i primi capitoli, ma con una nuova consapevolezza, che è anche quella di Mina.
    Mi domando come se la stia cavando Vera (non voglio pensare che non ce l’abbia fatta).
    Questo è stato uno dei capitoli più immersivi: silenzioso, con solo il rumore della pioggia in sottofondo e la voce di Mina.

  2. “Assorta in questi pensieri, Mina non notò l’ombra che strisciò silenziosa contro la vetrina.”
    Questo è veramente un ottimo cambio di scena. Ne risente Mina, ma ne risente anche il lettore.
    Mi sono ritrovata a pensare con i pensieri di lei, a riflettere su quanto è effettivamente difficile riuscire a ‘vivere’ le nostre vite che non ci piacciono e a quanto sia più semplice inventarcene su misura. Tutto questo e molto altro fino a quando siamo riportati bruscamente alla realtà da un’ombra che striscia silenziosa. Un effetto davvero riuscito.

  3. In questo episodio, attraverso la riflessione di Mina, facciamo il punto della situazione. Mina sta crescendo, ha iniziato a farlo già dallo scorso episodio. Avvincente, specialmente nel finale. Bravo!

    1. A volte si pensa troppo, e si finisce per convincersi (con le proprie mani) che accadrà il peggio. A volte, sperare vuol dire proprio dubitare di queste convinzioni. Grazie come sempre, Arianna 🙂