La voce di Manitu

Lo sciamano danzava come un forsennato attorno al fuoco.

Il silenzio era palpabile nel villaggio degli Kiowa, nel Nebraska, la notte era cupa, senza luna. Brutto segno. Pawn Dee, il grande cacciatore, le cui gesta venivano narrate presso le tribù distanti anche quindici lune, non era tornato dalla battuta al cervo, lo avevano trovato col collo spezzato dietro Main Oaks, il centro di scambio delle pelli dell’uomo bianco. Brutto segno. Solo il fuoco, davanti al totem scolpito nella quercia spezzata dal grande lampo, rischiarava i volti di pietra dei guerrieri, seduti, e delle squaw, in piedi dietro a loro. La danza sembrava senza fine, lo sciamano si alzava ed abbassava ritmicamente, agitando le braccia al cielo, puntando il dito sul totem ed urlando la frase propiziatrice: “Haam sah teh wooh”.

Infine, dopo l’ennesimo balzo si accasciò, esausto e rantolante, e rimase immobile per un tempo interminabile, i guerrieri restavano impassibili, le squaw cominciavano a mormorare sommessamente. Long Lone, il vecchio capo, sembrava deciso ad alzarsi, e, dopo di lui lo avrebbero dovuto fare tutti gli altri, si sarebbero ritirati senza proferire parola nei loro teepee. Brutto segno. Ma lo sciamano si alzò di scatto, il viso imperlato di sudore, le guance scavate dalla sofferenza, la schiuma alla bocca per l’effetto delle radici di achimene e caprifoglio, da lui lungamente masticate per darsi forza ed ispirazione, le stesse radici che somministrava ai giovani guerrieri prima di ogni impresa importante, e che, unite ad un unguento speciale, da lui preparato, servivano ad aiutarli a sopportare ogni dolore fisico.

“Kiowa wasuki samimasen oshiei” – popolo Kiowa, padrone delle colline e delle valli – urlò – il grande spirito ha annunciato! ancora otto lune di attesa e poi verrà il momento della grande caccia, cinquanta volte le dita della mano mandrie di bisonti dalle colline dei grandi alberi, verranno ad abbeverarsi ai nostri fiumi. troveranno i nostri giovani guerrieri pronti a fare buon bottino della loro ricca caccia. dodici uomini bianchi accompagneranno le mandrie e dovranno essere uccisi. i loro scalpi adorneranno i nostri teepee; il guerriero più valoroso sposerà la figlia di Long Lone e sarà capo a sua volta, tra quattro inverni.

Dai carri degli uomini bianchi avremo acqua di fuoco e canne tuonanti, e saremo più forti ed imbattibili.

Mormorii di approvazione si levarono da ogni parte del campo. Finalmente i Kiowa avrebbero conosciuto l’onore del combattimento, assaporato il sangue nemico, dato prova del loro valore. Long Lone si alzò ed abbracciò lo sciamano, prese la faretra di Pawn Dee e la porse allo sciamano dicendo: “dico che questo è buono – il nostro popolo ha la tua guida ed il tuo consiglio – o saggio interprete del grande spirito”.

Tutti si ritirarono nelle loro tende, nell’aria non vi era il cupo silenzio di poco prima, anzi si udiva la cantilena di guerra dei Kiowa: “Am deh liah”, ripetuta ossessivamente, eppure con gioia.

Anche lo sciamano si ritirò nel suo teepee, accompagnato dagli sguardi d’approvazione dei guerrieri e dai volti bassi in segno di rispetto e sottomissione delle squaw.

La luna cominciava a far capolino da dietro le nuvole. Il morale era alto, Manitù aveva parlato ai Kiowa ed aveva detto di essere al loro fianco.

Nel suo teepee lo sciamano si versò un whisky e sorrise, prese da sotto la pelle di bufalo il “Fairbury Herald” acquistato il giorno prima nel paese e strappò con cura la pagina “Local News” dove si parlava della mandria di Mr. Bryan Compton, circa cinquecento capi di bestiame che, scortati da dodici cowboys, sarebbero partiti tra una settimana per essere venduti al mercato di Atchison, nel Kansas.

Prese la pagina strappata, la piegò con cura e l’avvicinò alle fiamme, attese che il fuoco attizzasse e si accese con calma una Camel, aspirò avidamente tre boccate di fumo poi la gettò sul fuoco.

Maledetti selvaggi! – mormorò – io interprete di Manitù, Blaah! Se almeno sapeste leggere! potrei insegnarvelo, ma non ne varrebbe la pena, compito delle religioni è il mantenere il popolo nell’ignoranza, meno cose sapete e meglio è, almeno sino a quando vi saranno dei furboni come me che vi diano la giusta ispirazione”.

Si versò un altro whisky, assestò il fuoco e prese dalla sacca di cuoio “L’Eneide” di Virgilio. Vediamo un po’ – disse coricandosi e tirando la pelle di bufalo fin sopra le spalle – se troviamo qualche altro spunto per il racconto da fare ai giovani guerrieri il giorno del matrimonio della figlia di Long Lone.

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