
Corpo e Anima
Non c’era granché da dire.
Il rito funebre si stava celebrando nella più totale austerità collettiva, sotto gli occhi inespressivi della famiglia Moroni. Alla fine, si era optato per il rito cattolico, soprattutto grazie all’insistenza della signora Moroni. Al funerale furono partecipi soltanto i membri della stretta cerchia familiare, in assenza degli amici del defunto.
La salma era custodita nella bara in abete, che non era ancora stata chiusa. Dalla mia posizione sopraelevata, potevo osservare bene il corpo.
Il prete iniziò a recitare la sua liturgia, ma dalla sua bocca uscirono solamente delle vibrazioni ovattate di cui l’eco si propagava nel vuoto della cattedrale, giungendo agli idoli di marmo che costellavano le guglie. Osservai la scena come un paleontologo osserva un singolare insetto intrappolato nell’ambra per innumerevoli eoni. D’altronde, anche il vetro colorato della chiesa mi teneva prigioniero, isolato dal tempo come un mammut bloccato nel ghiaccio primordiale. Quell’era glaciale, però, finì insieme alla liturgia del prete. La famiglia Moroni, vestita di nero, lasciò l’inginocchiatoio per dirigersi verso la salma del defunto. A turno, in fila indiana, si fermarono a contemplare il corpo. La signora Moroni si soffermò più a lungo degli altri, con la testa china sulla salma. Il prete, pensando stesse silenziosamente piangendo il marito, distolse lo sguardo dalla bara, cercando di vedere oltre il rosone della facciata. Nonostante non potessi vederne il volto, sapevo che non stava piangendo: mi immaginai, dietro a quella chioma mora con qualche accenno di grigio, un sorrisetto beffardo, viscido, conscio della propria vittoria. Vidi quella stessa espressione dipingersi sui volti di tutti i presenti, trasfigurandoli.
Erano tutti suoi complici, là dentro.
Il prete, la famiglia, e persino le statue di pietra erano spettatori di quella farsa che giungeva al suo atto finale. Posai il mio sguardo sul corpo senza vita: i suoi occhi vitrei, su cui le palpebre non si erano ancora sbarrate, erano fissi sul soffitto della cattedrale.
L’uomo nella bara sembrava avere, perlomeno, ancora un barlume di dignità: ai piedi aveva degli eleganti mocassini, mentre un sobrio completo di velluto grigio lo avvolgeva.
La cerimonia si concluse, e la bara fu chiusa, pronta per giungere alla sua sistemazione finale: il camposanto.
“É finita”, mi dissi. “Ora mi sotterrano”.
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E sì che un chiaro indizio c’era… La.posizione sopraelevata. Eppure non l’ho collegato subito, la descrizione è fatta davvero bene.
Bravo.
Effettivamente ero indeciso se lasciare o meno quel dettaglio, inizialmente pensavo fosse troppo esplicito.
Assolutamente bello e coinvolgente.
Mi è piaciuto molto il colpo di scena finale, quasi inaspettato, che preannuncia un prossimo divenire di eventi.