
“Volevo cantarti una canzone d’amore”
Si appisolò, annoiata da quei programmi televisivi così poco interessanti. Più tardi, in un ondivago snervante dormiveglia, si ritrovò a pensare a quel film di Theo Angelopoulos che avrebbe rivisto tanto volentieri. Doveva ancora averne il DVD, da qualche parte. Trovava Angelopoulos un regista epico, a volte. Le piaceva quel suo ricalcare, su avvenimenti storici generali come su altri che magari riguardassero le esistenze personali dei singoli protagonisti dei suoi film, schemi omerici simili tra loro che tuttavia, del tutto naturalmente di volta in volta, a lei apparivano sempre diversi. Le sarebbe piaciuto viaggiare. Sognava le Galapagos o, a seconda del periodo, i paesaggi nordici. Si perdeva, a volte, nel sognare viaggi che difficilmente avrebbe potuto compiere. Il fantasticare immaginifico di peregrinazioni in terre lontane le consentiva di muoversi da un estremo all’altro del pianeta senza uscire di casa. Si, davvero le sarebbe piaciuto andarsene in giro per il mondo, anche se poi dentro di sé era consapevole del fatto che per un motivo o per l’altro non avrebbe mai potuto farlo. Stavano alla base di questa impossibilità soprattutto i suoi lavori precari e intermittenti sempre così malpagati. Poi c’era lui, che “di andare in vacanza non se ne parla, non ci resterebbe di che mangiare”, salvo poi sperperare la metà degli stipendi che lei guadagnava, nelle sue notti passate al bar. Aprì gli occhi e diede uno sguardo alla sveglia. Le tre e trenta. Era chiaro che non sarebbe tornato, quella notte. Si alzò, riassettò il canapè, si avvolse una coperta sulle spalle. Rabbrividì. Era indecisa, non sapeva se aspettarlo ancora un po’ o andarsene subito a dormire. Aveva deciso per la seconda delle due possibilità quando sentì il rumore della chiave che veniva inserita nella toppa. Senti’ il cigolio della porta d’ingresso che si apriva piano. Lo vide entrare con quella sua andatura inconfondibile, una bottiglia piena a metà brandita nella mano sinistra. Veniva avanti quasi al buio, caracollava più che camminare, con addosso quell’odore di vino e di liquori che ogni volta la stordiva. Come in altre occasioni, nel giro di pochi attimi e con solo quel residuo pulsionale che l’ubriachezza non era riuscita a eliminare del tutto, lui le si avvento’ addosso cercando di abbracciarla. Sul suo volto, anche nell’oscurità lei riusciva a intuire un sorriso maligno che raccontava per filo e per segno quel che avrebbe fatto, se avesse potuto. Non ebbe bisogno di difendersi perché lui incespicò sul tappeto battendo forte il capo su qualcosa di spigoloso. Il sangue iniziò a fontanellare, aveva imbrattato la camicia e gli altri indumenti che indossava. Del tutto fuori combattimento, attese supino l’arrivo dell’ambulanza. Gli cadde l’occhio sulla chitarra appesa al muro. Quasi avvertisse la necessità ineludibile di convincerla e di convincere se stesso che era qualcosa di positivo, in fondo, a giustificare il suo comportamento, confusamente e con voce bassa e impastata biascico’: “volevo cantarti una canzone d’amore”. Tentò goffamente di sorridere, mentre lo portavano via.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Ciao “cugino”, dire che mi e` piaciuto questo tuo racconto non e` esatto. Sarebbe più giusto dire che l’ ho amato, per diversi motivi. Uno dei tanti, un po’ narcisisticamente, perché nella prima parte del racconto avevo la sensazione che stessi parlando di me, anche se la tua storia è largamente condivisibile da molte donne e uomini che vorrebbero viaggiare, esplorare il mondo, ma non possono. La seconda parte del racconto mi ha turbato e mi ha fatto sorridere.
Il tuo stile di scrittura e` chiaro ed essenziale. Molto good.