
Azzurro chiaro
«Ma è vero che ti sei ammazzato?»
«Sì, tutto è successo una sera, ero giù, davvero giù e mi sono detto ehi Pepy, per quanto tempo puoi continuare così? Ho guardato l’orologio, erano appena le 20:30 ed ho promesso a me stesso che non mi sarei mai svegliato la mattina dopo per passare un’altra giornata come quelle da un anno a questa parte, spente, insulse, stillicide, carceriere di una pena che stavo scontando senza aver fatto niente allora ho preso un sacco di plastica trasparente dove c’era una camicia, una camicia azzurro chiaro che lei mi aveva regalato qualche compleanno fa, forse 5 o 6, l’ho presa, l’ho indossata, ho indossato il sacchetto di plastica in testa chiuso bene sul collo con dello scotch e poi mi sono sdraiato sul letto con la luce spenta. I primi secondi era tutto normale poi ho cominciato a sentire caldo, un caldo diverso da quello che senti in estate, non era solo in faccia, era diffuso su tutto il corpo, pungeva, miei occhi stretti hanno iniziato a stringersi ancora di più, era buio ma vedevo delle macchioline rosse che giravano ovunque, il respiro si è fatto affannoso senza quasi più differenza tra ispirazione ed espirazione, era tutto confuso, irrequieto, spasmodico, ho iniziato ad oscillare la testa sempre più velocemente, le macchie rosse erano diventate delle line che sfumavano da ogni lato, volevo strapparmi la camicia ma era un suo caro regalo quindi oscillavo solo la mia testa sul cuscino, tutto il resto era fermo ma quella figlia di puttana della mia capoccia si muoveva veloce come un cazzo di palloncino bucato che sale verso l’aria e poi più nulla. Nulla. Niente più macchie rosse, solo nero, tutto fermo, solo nero.»
«E poi cosa hai fatto? Voglio dire, mica avrai sporcato la sua camicia?»
«Ma certo che no, quella era l’unica cosa che è rimasta azzurra in quel nero denso»
Proprio in quel momento stavo passando a quell’incrocio dove passo almeno una o due volte a settimana ed ho sentito Pepy che come al solito stava facendo uno dei suoi discorsi da solo:
«Ehi Pepy, Pepy, Mi riconosci?»
Non mi stava ascoltando allora ho ripetuto la stessa frase a voce più alta ma anche così niente, non avevo la sua attenzione.
«Pepy hai bisogno di qualche soldo?»
«Soldo?» si era girato per un istante verso di me, poi aveva ricominciato a guardare nel vuoto continuando a voce alta e roca:
«Ma che ci faccio con qualche soldo? Me ne servono molti di più di un soldo, se ne bastasse uno metterei la monetina, girerei la manovella e farei scendere lei allora si che basterebbe un soldo, allora si che basterebbe»
Aveva anche fatto il gesto di girare la manovella con la sua mano avvolta in un guanto nero logoro e bucato, poi aveva ricominciato a parlare di qualcosa come Berlino o la Turchia, non si capiva niente perché trascinava molto di più le parole rispetto a prima, al suo discorso del sacchetto, allora ho preso due euro dalla tasca e glieli ho messi nella barchetta di legno che aveva sempre davanti a sè per raccogliere i soldi, mi sono chiesto cosa lo avesse portato lì, cosa lo avesse fatto diventare così ma tirandomi su il collo del cappotto mi sono detto che a volte basta una buccia di banana per scivolare su questa cosa che chiamiamo normalità che è già maledettamente viscida di suo ed è un po’ come vivere nel sacchetto di Pepy che anche oggi, come ogni giorno che passavo di lì, aveva la sua camicia azzurro chiaro addosso, il colore si intuiva appena perché era molto macchiata e malandata.
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Ciao Giuseppe, il tuo racconto mi ha trasmesso tutta la tristezza della situazione. Siamo abituati a chiudere gli occhi, senza guardare con attenzione molte delle persone che incontriamo per strada: considerandole un “arredo urbano”. Penso che avrebbero molte storie da raccontarci, proprio come ha fatto Pepy con il tuo protagonista.
Grazie mille per il commento Micol 🙂 Spero che ti sia piaciuto!
Certo che sì 😀
Ciao Giuseppe, mi è piaciuto questo viaggio nella mente del protagonista. E la riflessione del narratore, che si chiede cosa abbia portato Pepy a quel punto, è una bella domanda. A cui probabilmente è impossible dare una risposta univoca, ma sarebbe già qualcosa se, di fronte a persone come Pepy, ci fermassimo a farci delle domande, anzichè commiserare o peggio ancora deridere.
“mi sono chiesto cosa lo avesse portato lì, cosa lo avesse fatto diventare”
Questo passaggio mi è piaciuto