La prima sbronza

La mia amica Paola era solita venirmi a prendere il sabato sera per uscire con gli amici, al tempo era sua mamma a venirci a prendere. Dopo essere sfuggita alle solite raccomandazioni dei miei genitori, mi diressi giù per le scale del palazzo fino alla macchina della mia amica. Come al solito ci salutammo e il viaggio fu tranquillo, parlammo del più e del meno, soprattutto della scuola. Ma quella sera avevo l’animo inquieto e non riuscivo a stare tranquilla. Avevo lasciato mia madre a casa con umore triste e questo mi rendeva nervosa, dovete sapere che soffro di stupide paranoie.

Comunque una volta arrivate nella cittadina dove eravamo solite trascorrere i sabati sera con gli amici, la mia amica, mi trascinò fuori dalla macchina appena vide il suo fidanzato e un suo amico, che poi scoprii soprannominato Piecoro (non ho la più pallida idea del perché). Appena ci incontrammo tutti, Paola mi costrinse a mangiare.

Dovete sapere che avevo scoperto che nel nostro gruppo c’era un amico, Vittorio, che mi riteneva gentile e che riportava, mio malgrado, a Paola tutto quello che dicevo.

Una sera mi chiese se avessi mangiato, io gli risposi di no, e subito riportò la notizia alla mia amica.

Forse però quella stessa sera scoprii che in loro potevo trovare degli amici, si preoccupavano per me, tanto da chiedermi se avessi mangiato.

Una volta mangiato ci dirigemmo alla paninoteca, quella sera due dei nostri amici avevano voglia di un panino. Io rimasi per lo più distante, bacchibbettavo con il fidanzato della mia amica, guardavo i ragazzi che ridevano e scherzavano. Eppure non riuscivo a rallegrarmi. Sembrava tutto stupendo e divertente, ma avevo un’aria tremendamente malinconica. Dopo della paninoteca ci dirigemmo alla Birreria, una volta dentro mi decisi di voler provare qualcosa di forte, optai per l’assenzio e una birra grado 9. La birra di per sé non era forte, fu l’assenzio a mettermi a terra. Praticamente dopo averlo preso barcollavo e avevo i sensi offuscati.

Mentre parlavamo chiesi a Vittorio di farmi compagnia a fumare, Paola non voleva, a quella mia richiesta mi guardò male, non so perché, e Vittorio, riluttante, accettò. Una volta fuori lui iniziò a parlare sciogliendo il ghiaccio.

Parlava di tante cose, e più parlava, più mi attraeva. Dovete sapere che lui mi era sempre stato antipatico, eppure da delle settimane a giù di lì era davvero gentile con me. Al momento si vantava per lo più del suo giubbino, poi il suo sorriso si spense mi guardò e mi disse:”La vita fa schifo”.

Gli risposi:”No”

Mi guardò e disse:”Guardami negli occhi e ridillo”

Ci pensai un po’ “Non è vero fa schifo” mi arresi buttando la testa fra le gambe.

Forse alludeva al fatto che a lui piaceva la mia amica, che purtroppo era impegnata.

Lui continuò a parlare.

Tra una parola e l’altra borbottavo che mi girava la testa, e lui pareva non importarsene, ma quando la sigaretta arrivò a metà, fu lesto a prenderla e a buttarla.

Lo guardai come se mi avesse tolto via qualcosa di vitale, mi disse:” Ti ho detto che dovevi buttarla, che se no poi dopo vomiti, adesso entriamo che hai pure freddo” io non ricordavo minimamente i suoi consigli sulla sigaretta. Ma riluttante mi apprestai a fare quello che diceva, forse perché subivo dell’attrazione, forse perché ero ubriaca fradicia, in una cittadina sconosciuta e non mi andava di rimanere da sola fuori ad un bar.

Io, che nel frattempo mi ero seduta, mi rialzai, ma la testa mi girava così tanto che dovetti appoggiarmi al muro per non cadere.

Lui che si era fermato per guardare la situazione, mi guardava con sguardo preoccupato. Sono quasi convinta che Paola gli avesse intimato di tenermi d’occhio.

Comunque, dopo essere riuscita a tenere l’equilibrio, mi diressi di nuovo dentro il locale. Vittorio si sedette su uno dei divanetti, lasciandomi libera la sedia tra lui e Francesco (fidanzato di Paola). Non so se il gesto fu compiuto a posta o cosa.

Guardai Paola, volevo altra birra, lei me la passò (stava ubriaca quasi quanto me).

La presi, ma Vittorio con uno scatto di mano me la tolse dalle mani e la passò a Francesco che la ingurgitò in pochi minuti.

Volsi un’altra occhiataccia al mio amico.

Aspettai un po’, tutto girava ancora, poi Vittorio si rialzò, disse che andava a fumare, aspettai che uscisse, guardai Paola, e con velocità elevata presi le sigarette e l’accendino. Nella mia testa c’era solo voglia di sigarette, poi non so per qualche stupido motivo volevo sfidare quel ragazzo.

Una volta arrivata fuori mi sedetti sui gradini del locale, avevo Vittorio di fronte che era intento a guardare il telefono, accesi la sigaretta e appena si accorse di me, mi guardò e si avvicinò. La sua figura alta e grande mi incuteva un po’ di timore al momento.

Di sicuro voleva la mia sigaretta, così mi allontanai mugolando e sostai in un vicolo cieco e angusto.

Dopo poco mi seguirono lui e Paola.

Parlavano, tanto, ma le loro voci erano offuscate, crollai su un marciapiede.

Loro mi guardarono e risero, come feci io.

Ricordo che Paola disse:”Hai fatto come Vittorio prima, peccato che lui fosse sobrio” sì infatti la scena la ricordavo, Vittorio che per prendere qualcosa cade e che chiede aiuto per rialzarsi, io che mi fiondo, e che solo dopo due tentativi riesco a riportarlo in piedi.

Intanto mentre ricordavo vaneggiavo, dicevo cose a caso.

Sentii la voce di Paola che diceva:”Togligliela”.

Vidi Vittorio avvicinarsi a me, io iniziai a gridare, mi strinse il polso in una morsa forte, gridavo che mi facesse male lui rispondave che non gli importava, prese la sigaretta e la gettò a terra.

Volevo piangere, chiedevo perché, ma la risposta era sempre la stessa:”Poi se no vomiti”

Era così triste che mi strinsi le braccia intorno alle gambe e iniziai a singhiozzare. Sentii loro due che si accovacciavano vicino a me e mi parlavano.

Le due loro figure che mi sovrastavano, il dolore leggero al polso e l’alcool mi fecero venire un attacco di panico forte. Avevo paura, mi guardavo in giro, in cerca di aiuto.

Poi guardai Vittorio che diceva:”Ehi calmati, guardami respira” e respirava profondamente invitandomi a seguirlo. Solo dopo Paola mi disse che lei non aveva mai visto il suo amico pronunciare quelle parole verso un’altra persona, di solito era scorbutico con tutti. Eppure io credo che lui ci tenesse così tanto a Paola da comportarsi in modo gentile con me, perché pareva che io stessi molto a cuore della mia amica.

Piano piano il respiro si placò e fortunatamente mi calmai, la mia mente iniziò a guardarlo, il suo viso mi inspirava fiducia. Gli guardavo le labbra, ogni tanto se le inumidiva, come facevo io. Questo gesto così naturale forse mi calmò.

Poi disse:”Dai vieni alzati” mi prese sotto le braccia con l’intento di sollevarmi, io iniziai a gridare e riimpanicarmi.

Paola gli intimò di lasciarci da sole, gridava che doveva parlare da sola con me. Lei mi conosceva, era la persona di cui più mi fidavo, sapeva bene che mi avrebbe di sicuro convinta ad alzarmi.

Mi parlò, mi disse tante cose, io mi tranquillizzai, mi disse che sua madre ci era venute a prendere. Mi rialzai e prima di arrivare alla macchina, Vittorio, mi diede dei consigli:”Adesso che torni a casa mangia tanto, bevi tanto, fai pipì e vai a dormire”.

Gli sorrisi, salutai tutti garbatamente, e mi sedetti in macchina salutando la madre della mia amica. Questa si era accorta della mia sbronza, ma ci era passata delicatamente su.

Io intanto, dopo aver trascorso dei minuti di conversazione Whatsapp insensati con Paola, aprii l’app e cercai un nome: Vittorio.

Lo ringraziai per quello che aveva fatto, gli dissi che era una persona buona e che gli volevo bene. Forse finalmente avevo trovato due amici di cui fidarmi.

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