Un vecchio amico di scuola.
Ho appena lasciato il negozio di un cliente quando in strada mi sento chiamare.
– Gravina!? –
-Alzo gli occhi e davanti a me vedo un tipo con una barba biondiccia vestito di blu che mi sorride. Si avvicina, allarga le braccia, si batte una mano sul petto e mi fa: Ventre! sono Ventre. Mi concentro sul suo viso e scandaglio la mente: il cognome non mi dice nulla, tantomeno il suo viso, con quella barba poi…
– “Istituto Fermi”, prima G! G come Gomo! – esclama sorridendo e il ricordo del siparietto davanti alla porta dell’aula dell’ITIS “Enrico Fermi” mi ritorna come se fosse ieri. A quel tempo ero uno scricciolo non ancora cresciuto, pieno di dubbi e infarcito di dogmi religiosi e di paure, a causa dei miei trascorsi salesiani.
– Prima G? – avevo chiesto timidamente in quel mio primo giorno di scuola mettendo la testa nell’aula. Il mormorio all’interno dell’aula si chetò, e lui, Ventre, guardandomi serio rispose:
-Sì, “G” come Gomo! e tutti giù ridere. Impacciato, restai bloccato sulla porta, senza sapere che fare; mi tolse d’impaccio l’arrivo del professore che mi ordinò di prendere posto a sedere.
Che classe! Tra giugno e settembre quell’anno su trentaquattro di noi fummo promossi solo in quattro, due a giugno, gli altri due a settembre. Al primo trimestre avevo la media del tre e mezzo, ma alla fine di maggio ero arrivato alla sufficienza in tutte le materie tranne in matematica. La professoressa diede a tutti un’ultima chance: avrebbe promosso chi superava il compito in classe! Disse: che nessuno di noi merita la promozione, ma non poteva bocciarci tutti. Io e Ventre fummo promossi.
-Come va, che fai a Milano? Sei sposato? Hai figli? Io sono separato, sai, tradimenti, incomprensioni… le solite storie… mia moglie è di qui, all’inizio tutte rose e fiori poi… Pensa mia figlia una sera che le ho vietato di uscire, si è rivolta alla mamma e sai che ha avuto il coraggio di dire? Mamma, perché non lo mandi via questo terrone di merda! Così ha detto. Lasciamo perdere… e tu? Tutto bene? – Sono senza parole. In un attimo, mi ha sciorinato tutta la sua vita del cazzo! Confuso e meravigliato che si fosse sposato ( in classe era stato preso di mira perché sospettavamo che fosse frocio. Lui lo negava, si era anche picchiato con qualcuno per questo) rispondo:
-Me la cavo. Ho moglie e due figli, però sono giù a Napoli, non si sono trovati bene qua –
– Abiti a Milano?
– A Bergamo – gli rispondo.
– Senti ti va di pranzare insieme?
– Non è un po’ presto?
– Andiamo nel mio ufficio, lavoro all’Inps, ti presento la mia segretaria, è sempre arrapata, poi pranziamo alla mensa dell’INPS, si mangia bene e si paga niente- E’ un fiume in piena, non smette mai di parlare. -Ti ricordi la Gironi? La professoressa di scienze? Che donna! E che gambe! – Me la ricordo sì! Accavallava le gambe e se le lisciava intanto che spiegava gli organi sessuali. Facevamo a gara ad occupare i posti ai lati della cattedra per guardarle le gambe. Arrivammo a stabilire persino dei turni. In un cesso qualcuno aveva disegnato una donna su un cazzo con scritto: “Sul cazzo sventola bandiera bianca, ma la Gironi ancora non è stanca”. Deve ricoprire un ruolo importante perché lo salutano tutti con deferenza. Dentro il suo ufficio c’è una donna che sfoglia una rivista di moda, con noncuranza mette via il giornale e ci saluta con aria annoiata.
– Lui è Luciano, un mio vecchio compagno di scuola – dice Ventre presentandomi e io stendo il braccio per darle la mano; la tipa mi guarda indecisa se stringerla o no, finalmente la allunga e sospira il suo nome: – Rosaria. –
– Rosaria non è una gran chiacchierona, sembra distaccata se non la conosci, ma è molto simpatica… ed è libera – Dice Ventre. Annuisco, intanto lei ritorna al suo leggere.
Ventre mi parla ancora della sua vita privata, ma ne ho abbastanza e gli chiedo del bagno. Mi accompagna, la fa anche lui e continua. Cristo, di cosa potremmo parlare ancora non lo so proprio. Si lamenta ancora della sua ex e io gli dò corda lamentandomi della mia; mi fa pena, è depresso, persino più di me. Pranziamo alla mensa dell’Inps, una bella sala e del cibo buonissimo. Finito il pranzo non mi molla, prendiamo il caffè in un bar con sala biliardo.
– Facciamo una partita? – domanda. “Ma all’INPS non lavorano mai? Mi chiedo.” Giochiamo. Non gioco da tanto a bigliardo ma mi difendo alla grande, la prima la vinco, la seconda stento, ma vinco lo stesso, la terza la perdo. Intanto mi parla di tutti i compagni di scuola, uè, se li ricorda tutti! Cerami, Latella, Tornatore, Esposito, Pisciotta. Mi strappa una risata quando parla di Roccia sempre con le dita nel naso e di Cosentino, l’ingegnere di macchine, che lo prendeva sempre in giro.
– Signor Roccia, andiamo a caccia domani? Sta preparando i pallini? – Ridevano tutti mentre Roccia diventava di fuoco.
Lasciato il biliardo passeggiamo e guardiamo le vetrine, alle sei ha finito gli aneddoti. Vorrei tornarmene, ma mi convince a bere ancora qualcosa, è l’ora dell’aperitivo: – Tanto a casa chi ci aspetta? – dice e io non obbietto ma gli dico però che poi devo andare, ho un’ora di strada da fare -. Ci sediamo in un bar e ordiniamo da bere. Ricomincia con un discorso sulle donne che non riesco a seguire. A un tratto domanda:
– E tu?
– Io? Io cosa? – rispondo, e, prima che ricominci da capo, tento di alzarmi, ma succede qualcosa, qualcosa di strano, allunga il braccio e mi prende la mano. Il contatto mi riporta un episodio increscioso successo anni fa in collegio e scatto all’impiedi.
– Che diavolo fai! – esclamo-
-Niente! – Risponde – Vorrei che rimanessi, tutto qui-
– E c’è bisogno di prendermi la mano? Credi che sia frocio? – Dico arrabbiato e confuso alzandomi dal tavolo.
– Credo che tu abbia frainteso… – dice senza scomporsi – abbassa la voce, potrebbero sentirti –
-Chi se ne frega! – ribatto e senza dire altro vado alla cassa, pago e prendo la porta. Fuori finalmente respiro. Sto tremando, in collegio di cose del genere mi sono capitate un milione di volte, mi terrorizzano. Corro veloce alla macchina e parto, ma sono troppo agitato, accosto e spengo il motore. Accendo una sigaretta e ripenso a ciò che accaduto. E se avessi frainteso davvero il suo gesto? In fondo che ha fatto? mi ha preso la mano. Maledetti salesiani, è colpa loro se sono così, tentavano sempre di toccarti là sotto quei porci. Dovrei tornare a scusarmi, ma non me la sento, riaccendo il motore e riparto. Dormo male e al mattino decido di chiamarlo e telefono all’Inps. Parlare con qualcuno attraverso il centralino è un’avventura, finalmente riesco a parlare, una voce di donna mi chiede: -Chi è? – Gli spiego che sono Luciano Gravina e a quel punto lei ripete il mio nome
– Luciano? Quello di ieri? Sono Rosaria, il signor Antonio non è venuto al lavoro, Perché lo cerca? – Dico la prima cosa che mi viene in mente:
– Dovevamo pranzare insieme…- lei fa una pausa poi dice:
– Strano, non ha appuntamenti in agenda, ne è sicuro? – Che strano modo di fare.
– Certo che ne sono sicuro, perché me lo chiede? –
– Strano…
– Ancora con questo strano! Strano cosa? –
– Non mi sembra quel tipo di persona.
– Che tipo di persona? – Non risponde. Mi sembra di vederla, stendersi sulla sedia girevole, passarsi la mano nei capelli guardare la rivista che ha lasciato sul tavolo e sbuffare.
– E’ bisex? – dice a un tratto.
-Cosa? Ma che domande sono? -esclamo e di colpo afferro il motivo del suo strano modo di fare. Che cazzo, no che non lo sono rispondo.
– Allora perché è venuto a cercarlo?
– Saranno cazzi miei! – rispondo. Sono proprio incazzato e comincio a sbraitare.
– Senti bella, Ventre è un mio amico di scuola se non lo sai, ieri sera, al bar ho reagito in modo sgarbato e inopportuno a un suo gesto e volevo scusarmi…- Non la smette di fare domande.
– Perché cosa è successo? –
– ma quanto sei intrigante! Devo parlargli, mi dai il suo cazzo di telefono così lo chiamo, o devo venire fino a lì a romperti il culo, brutta impicciona del cazzo!!? -Lunga pausa di silenzio poi con un fil di voce la sento dire:
– Non posso darglielo, mi dia il suo -. Glielo do e resto in attesa. Dopo pochi minuti arriva la telefonata di Ventre.
– Il mio non era un tentativo di approccio – Esordisce.
– Lo so e mi dispiace. Sono stato uno stupido. Amici come prima? –
– Solo se stasera vieni a cena… tranquillo, non allungo le mani… – Rido e gli rispondo di sì.
A cena parliamo del Napoli calcio, dell’Inter di cui lui è tifoso, dei tempi andati, del mio lavoro e di tant’altro. Dopo il caffè ci salutiamo convinti che ci saremmo rivisti.
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