In treno

Le due spagnole

Era una mattinata fredda e umida. La carrozza in cui viaggiavo era pressoché vuota, oltre me e il mio bagaglio, c’era solo una donna con due bambini chiassosi che occupava uno scomparto più in fondo. Il treno filava veloce lungo i binari lucenti; Dal finestrino osservavo i campi, le piccole strade che si snodavano come nastro adesivo, le colline e le superbe catene dei monti Ernici già coperti di uno strato di neve. Nuvole aggrovigliate imbronciavano il cielo, un velo di nebbia  oscurando il sole autunnale mentre  una fine pioggerellina insistente e noiosa batteva sui vetri. Assorto nella lettura non mi accorsi del rallentare del treno finché il fischio acuto e stridente non lacerò l’aria annunciando l’ingresso in una nuova stazione. Guardai fuori: eravamo in procinto di giungere nella stazione di transito  Roma Tiburtina. Il treno si fermò e le porte si aprirono lasciando filtrare il brusio dei viaggiatori in attesa sulle banchine. Restai in attesa sperando che nessuno si sedesse nel mio scomparto, invece due giovani donne, biglietto alla mano occuparono i due posti accanto al finestrino.

Alte e formose discorrevano in spagnolo. L’una, fuori concorso, era una ragazza semplice, un tipo acqua e sapone; occhi chiari, sguardo smarrito,  insaccata in un impermeabile nero che tenne addosso anche quando il treno partì. L’altra, più avvenente, tolto immediatamente il piumino, mise in mostra un bel seno che faticava a star dentro la camicetta di raso. Sotto, indossava dei fuseaux neri strettissimi che le disegnavano le forme perfette. Erano talmente stretti da farmi intuire la grandezza del sesso. Gli occhi scuri, astuti e penetranti, divennero languidi e ammiccanti incontrando il mio sguardo e le sue labbra carnose, dipinte da un rossetto vermiglio, si schiusero in un sorriso a trentadue denti. Afferrò il borsone che aveva lasciato per terra, lo sollevò e lo spinse nella cappelliera su in alto e nel farlo col sedere sfiorò la mia faccia. Se ne accorse, si voltò, passò una mano nei lunghi capelli neri e sorrise di nuovo.

Due studentesse? Mi domandai. Forse, ma non avevano libri o quant’altro che lo confermava; potevano essere qualsiasi cosa, oggi come oggi è difficile capire chi ti si para davanti. La vanitosa, ormai l’ho definita così, aveva un viso un po’ impertinente, il naso all’insù, decisamente rifatto ma bello, le gote arrossate. Continuava a fissarmi, mentre con civetteria abbottonava un bottone della camicetta che si era allentato. Si presentò:

– Paloma – Disse, poi  domandò in italiano perfetto:-  Vai a Milano? 

-No – risposi laconico – A Bologna 

– Io vado a Milano… per un provino… , lei è Merceds, mia sorella, mi accompagna – A questo punto non potevo star zitto e le feci la domanda che si aspettava.

-Per un film? –

– No, per la televisione di stato 

Sono un fotografo professionista, anche se di matrimoni, so intuire quando c’è “qualcosa” in qualcuno e in lei non c’era niente. Era una bella ragazza,  avvenente e sfrontatata ma si fermava li a mio modo di vedere, in lei non c’era quella empatia che ti fulmina.

– Suppongo per qualche fiction – dissi per essere cortese intanto che riaprivo il mio libro.

– Non lo so. Ho fatto la comparsa sul set di “Montalbano” e lì ho conosciuto questo tipo che mi ha proposto di fare il provino. (Sì, un provino in camera da letto!)

– Tu che lavoro fai? –  Stupidamente confesso di essere un fotografo. Lei mi guarda meravigliata, intuisco cosa sta pensando  e mi affretto a spegnere il suo entusiasmo nascente e aggiungo:

– Di matrimoni! 

– E  cosa vai a fare a bologna? 

– Vado a una mostra.

– Una mostra? 

– Sì, una mostra di Newton 

– Lo scienziato? 

– No, il fotografo 

– Ah…. Senti un po’, visto che sei un fotografo, mi scatteresti qualche foto? – Alzo le spalle e rispondo:

– Non ho l’attrezzatura…

–  Ce l’ho io! – lei disse e io pensai – Fregato! 

-Ho una Nikon nel borsone, è carica – aggiunse escattò in piedi, frugò nella borsa e mi porse la Nikon

– Qua? Vuoi che te le scatti in treno? – Domandai.

– E dove se no?  Tu scendi a Bologna. Dai,non c’è nessuno, la carrozza è vuota! –  rispose. Si sporse ancora e dal borsono  tirò fuori un vestito turchino e disse:

 – Controlla la camera, intanto che mi cambio – E si spostò nello comparto di fianco e senza pensarci si tolse i fuseaux   e la camicetta restando in mutande. I seni, duri e dritti, sgusciati da sotto la stoffa come cavalli impazziti, catalizzarono il mio sguardo; lei sorrise compiaciuta e esitò qualche istante lasciando che la osservassi. Le scattai un paio di foto r per prova e le riguardai: erano buone. Era bella, bella davvero. I capelli, biondi e lisci le ricoprivano la parte alta dei seni lasciandole scoperto i grossi capezzoli contornati da una areola ancora più grande.  Indossò il leggero vestito  abbottonando lentamente la lunga teoria di asole  e si mise in posa. Non era semplice da ritrarre, assumeva sempre pose in cui risultava volgare. Per distrarla le feci qualche domanda e e consigliai di non guardare la camera, ma non ubbidiva, fui costretto a scattare un mare di foto per coglierla in atteggiamento più naturale.

– Questo tizio che ti ha invitata al provino, ti sei informata chi è? 

– Perché? Pensi che voglia scoparmi soltanto? lo abbiamo già fatto! –  Questo lo avevo capito!- pensai ma non lo dissi, risposi distrattamente:

– Questo no. Solo che mi sembra un po’ strano; la Rai ha studi a Napoli e Roma, perché farti andare a Milano? –

– Lui lavora lì – Rispose quasi stizzita. Non insistetti e ripresi a fotografarla.

– Guarda fuori per favore, poi voltati verso di me… sì così. Senza fare la vamp però! 

 Feci un’altra ventina di scatti e li riguardai. Lei mi affiancò, esclamò: – sono bellissime! – e mi abbracciò aderendo perfettamente al mio corpo. Peccato che nello stesso momento arrivò il controllore che tossì, chiese di controllare i biglietti e la magia del momento svanì… 

 Dopo che il controllore si fu allontanato disse:

– Continuaiamo?

_ Certo ,ti va di slacciare i primi bottoni? 

 Volevo tanto rivedere e fotografare  il suo seno perfetto. Non fece una piega, allentò tre bottoni e spinse il petto in avanti, il seno scappò fuori.

– Va bene così? – Domandò ridendo.

– Si – risposi e continuai a scattare ordinandole di aprire e chiudere il finestrino, di affacciarsi  e poi sedersi più volte. Alla fine  mi lasciai cadere e riguardai tutte le foto. Questa volta non si sedettev al mio fianco, disse in spagnolo:

 -Tengo que orinar – E senza nemmeno abottonarsi scappò in fondo alla carrozza.

– Dove va? – Chiesi alla sorella. Lei, che fino a quel punto era rimasta a guardare senza parlare,   lasciò cadere sul sedile  la bottiglia di acqua che aveva in mano e schizzo in piedi, mi   mostrò le dita a forma di “V” e si lanciò all’inseguimento. Interdetto mi sedetti e mi misi a guardare fuori dal finestrino in attesa che tornassero. 

La nebbia era scomparsa, il sole, liberatosi dalle nuvole grigie e piene di pioggia, splendeva caldo nel cielo. Abbassai il finestrino e mi affacciai: l’aria frizzante e pungente mi solleticò il naso facendomi starnutire; la vasta campagna scorreva veloce sotto i miei occhi. Raffiche di vento strappavano le ultime foglie ingiallite dai rami dei pioppi in fila lungo un ruscello; la terra, appena inumidita dalla pioggerellina caduta poco prima, si presentava ancora arsa e screpolata. Sollevai lo sguardo più in là, verso le alte cime dei monti Ernici già spruzzate di neve, un brivido di freddo mi percorse tutto spingendomi a richiudere il finestrino e sedermi nello stesso momento  che le due donne tornavano a sedersi, Mercedes con in mano il vestito di Paloma, lei con indosso i fuseaux e la camicetta di raso. Sembravano entrambe talmente di pessimo umore che non osai parlare. Se ne stettero sedute senza dir niente per alcuni minuti. Qualcosa non andava in quelle due, non fiatai per il resto del viaggio.

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