A caccia di fantasmi

Serie: Bambini e torri


"I've been followed by a moonshadow." (Cat Stevens)

La luna volgeva ormai al suo quarto calante, mentre l’estate si trascinava incontro all’autunno.

Le cose andavano assumendo un contorno luminoso, un’aria dorata e pregna, come fossero frutti, gonfi di speciali segreti.

Il mio professore di psicologia era alto, magro, né giovane né vecchio, con un’inquietante dono per l’eloquenza. Per mesi avevo seguito con entusiasmo le sue lezioni, finché, quasi un anno prima, mi ero laureata con lui.

Da allora non aveva perso occasione per propormi tutta una serie di allettanti esperienze sul campo; e questa non era da meno.

Mi faceva sempre un certo effetto che mi considerasse alla stregua di una collega, che chiedesse la mia opinione, e la ascoltasse sempre con sincero interesse.

Avvertivo anche quel pomeriggio lo stesso lieve senso di disagio.

“Puoi farci quello che vuoi, del materiale che riesci a raccogliere. Prometto di non interferire!”

Lo conoscevo abbastanza da sapere che diceva sul serio. Stavo giusto lavorando ad una pubblicazione sull’argomento, e lui lo sapeva; ma, saggiamente, preferì non farvi cenno.

“Perché non lo fai tu, se è un’occasione così ghiotta?” mi scappò fuori, in modo più maleducato e aggressivo di quanto avrei voluto.

Stavo per scusarmi, quando vidi che sorrideva.

“Mi meraviglio di te, mia cara. Io non credo ai fantasmi!”

Così era cominciata, e adesso attraversavo a passo svelto il parco del castello, diretta alla Torre Est.

Erano ormai più di due settimane che pattugliavo i corridoi, le sale umide e buie, i sottoscala muffiti, e tutti i più nascosti recessi di quell’ala del castello, dove si diceva che lei vivesse, senza che mi fosse riuscito di incontrarla.

Ogni mattina, infilavo nella borsa di tela un taccuino, una penna e un registratore con un nastro vergine, augurandomi di avere fortuna. Ogni sera, tornavo sconfitta alla mia camera in affitto, al secondo piano nella villetta di una disponibile famiglia del luogo.

Il vecchio custode del castello, che era stato la mia guida durante la prima settimana, oltre a mostrarmi tutti gli angoli segreti del vasto edificio, mi aveva anche raccontato delle apparizioni e dei segnali di cui, a sentir lui, il luogo letteralmente rigurgitava.

“Mi sorprende che lei non riesca a trovar niente” mi ripeteva spesso, con quell’insopportabile arroganza che si manifesta talvolta da parte degli illetterati nei confronti di coloro che hanno studiato.

Quando gli comunicai, alla fine della prima settimana, che desideravo proseguire da sola le mie ricerche, mi guardò con un misto di disprezzo e compassione, e si permise un ultimo consiglio:

“Se insiste a restare nascosta, provi a lanciare una palla contro il muro.”

Azzurrina, ovvero la bambina dai capelli turchini.

Sì, lo so, sembra l’inizio di un capitolo di Pinocchio. Ma è esistita veramente.

Ho avuto parecchio tempo per documentarmi, nelle lunghe settimane che ho trascorso qui senza riuscire ad incontrarla. Quando non ero in caccia, gironzolavo per il paese. La fine del periodo di villeggiatura estiva rendeva il paesaggio molto insolito.

Pur non desiderando affatto definire meglio le mie emozioni, che la generale atmosfera del luogo amplificava, trovavo rilassante trascorrere le ore libere su una panchina, nel viale principale, sotto i platani, e lasciarmi travolgere dall’onda di morte leggera che aleggiava intorno, per nulla tragica né definitiva.

Quando poi, verso la metà di settembre, il tempo si fece troppo piovoso per quel genere di svago, mi rifugiai in biblioteca, un buco polveroso zeppo di volumi non catalogati, in mezzo ai quali solo la pazienza, la lunga abitudine alla ricerca, o un’abbondanza pressoché illimitata di ore libere avrebbero potuto consentirmi di scovare materiale utile alla mia ricerca.

Per una fiabesca casualità, possedevo tutti e tre questi magici requisiti, così trovai la gran parte dei dati di cui avevo bisogno per completare la sezione documentale del mio lavoro.

Naturalmente, giacché avevo la fortuna di poter studiare i fatti sul posto, intervistai anche gli unici due superstiti, entrambi ultra-ottantenni, di un incontro diretto con la bambina fantasma.

Azzurrina nacque nel castello in un giorno non meglio precisato dell’anno 1370. Nelle sue segrete scomparve, circa cinque anni più tardi, il giorno del Solstizio d’Estate, senza lasciare traccia.

Le testimonianze concordano sui dettagli: la sua palla preferita rotolò giù per le scale e lei la inseguì, gradino dopo gradino.

Erano il pomeriggio del Solstizio d’Estate. Non fu mai più vista viva.

Qualche anno più tardi, tuttavia, il pianto di un bambino fu udito risuonare nei sotterranei: una piccola voce debole, desolata, che invocava la mamma.

La cosa continua tuttora, ad intervalli di tempo più o meno regolari.

Fin qui, storia e leggenda hanno saputo mescolarsi sapientemente, creando una miscela commovente, come spesso accade.

A me interessava la realtà, però, non il folklore. E la realtà era piuttosto atroce.

Quando un bambino si perde, un intero mondo si mobilita alla sua ricerca. Nel caso di Azzurrina, invece, era come se si fosse voluto ignorare la cosa.

Perché?

Azzurrina era la figlia del castellano, ma era anche affetta da una grave forma di albinismo, che certo la rendeva mostruosa, persino agli occhi di chi l’avrebbe dovuta amare di più. Per supplire alla sua monocromia, la madre le tingeva i capelli candidi con degli infusi di erbe, che però sortivano l’effetto di strisciarli di lividi riflessi bluastri, a cui la piccola doveva il suo nome.

La carriera politica del padre era verosimilmente intralciata dalla presenza di quella creatura improbabile. Fu plausibilmente dietro suo ordine che la bimba venne assassinata, nei sotterranei.

Così riferiscono numerose fonti attendibili; e la cosa spiegherebbe certamente l’assoluto disinteresse con cui fu accolta la notizia della sua scomparsa.

Avevo raccolto decine e decine di resoconti di infanticidi, alcuni ben più spaventosi di questo, la maggior parte maturati in contesti definibili come normali, addirittura privilegiati.

Genitori benestanti, educati, avviati ad una brillante carriera in qualsivoglia ramo… Ad un tratto, assassinavano i loro bambini, nascondevano i poveri resti, quindi la loro esistenza riprendeva a scorrere nella direzione programmata, senza scossoni.

Altri figli arrivavano, le cose seguivano il loro corso. Giungevano alla vecchiaia, ai nipoti, senza che cedessero mai all’impulso di rivelare il loro crimine. Morivano, infine, di frequente nel loro letto, circondati dall’affetto dei loro cari, i quali dovevano sapere – dal momento che tutti sapevano; eppure tacevano, preferendo ignorare quello spazio vuoto accanto al letto. Quel fratello, quello zio, quel figlio, sepolti chissà dove, chissà perché.

Una rete di atroci complicità, simili a questa, tatua la pelle diafana del Medioevo.

Azzurrina era uno degli esempi più eclatanti, e, ad ogni modo, il solo corredato di fantasma che fossi riuscita a scovare. Se avessi potuto carpire, dalle tenebre di quel sotterraneo, il pianto di quella piccola voce, se avessi potuto mettermi in contatto con lei, pregarla di raccontarmi come si erano svolti i fatti!

Non ero mossa da intenti di lucro, chiunque conosca minimamente l’ambiente accademico lo crederà senza indugi.

Tuttavia, provavo un crescente disagio ogni volta che, passando accanto al cancello del parco in orario di visite, vedevo i pullman e la fila dei turisti che compravano il biglietto d’ingresso e agitavano macchine fotografiche e registratori portatili.

Li guardavo sparire dentro il portone della Torre Est, dietro il vecchio custode: in prossimità della soglia, le voci si abbassavano fino quasi a zittirsi in sussurri d’atmosfera, si producevano battute insulse e risatine di disagio, i bambini si agitavano come davanti a un film horror…

Immaginate di avere cinque anni, e di esservi persi nel buio.

Chiamate il vostro papà, perché lui è il più forte di tutti, e verrà a salvarvi.

Invece, il buio dura per sempre.

Serie: Bambini e torri


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. grazie mille XD l’unico problema è che non è un racconto singolo, ma il primo episodio di tre… ho già avvertito i ragazzi, lo sistemeranno… aspetta il seguito!

  1. Non è facile scrivere storie di fantasmi senza rischiare di cadere nella banalità e infarcire la narrazione di luoghi comuni. Ci vuole un controllo misurato della scrittura, e trovo che qui sia assolutamente presente. Complimenti