À rebours

Serie: Prima della fine del mondo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ultimo episodio della serie

Avvenne poco tempo dopo il primo sbarco su Marte.

La foto che i giornali pubblicarono era sconcertante. C’era – o, meglio, c’era stata – una ferrovia lassù. Non c’erano dubbi: binari metallici, traversine. Ne avevano scoperto un frammento in una valle della zona equatoriale. Gli astronauti stavano accoccolati e indicavano quei segmenti lisci e lucidi; puri, come solo la mano dell’uomo li può forgiare. Dietro la visiera si indovinavano i sorrisi di quei ragazzoni iperormonici: la medesima stolida allegria dei lavoranti negli scavi ottocenteschi.

Ciò che accadde dopo vi sarà sicuramente noto. Le indagini per recuperare la civiltà marziana, le ipotesi sulla nostra origine extraterrestre, la rivalutazione della dottrina delle idee. Si arrivò rapidamente a sostenere che tutti i frutti della nostra civiltà erano già esistiti. Non eravamo che una pallida imitazione di ciò che era avvenuto su Marte molte migliaia di anni prima. Ovviamente ogni ipotesi evoluzionistica sulle origini dell’uomo cadde. Le grandi religioni furono costrette a rimeditare i propri fondamenti. Si cominciò a identificare Marte con il Paradiso perduto.

Ma in fondo che cosa si sapeva allora della civiltà marziana? Qualche frammento di ferrovia, resti di un paio di ponti colossali, qualche tunnel sotterraneo. Ogni tanto si rinveniva una sfera metallica, e quella era la prova più evidente che su Marte erano esistite forme di vita intelligente, in tutto simili a noi; anzi, noi, prima che un cataclisma trasformasse la nostra vera patria in un deserto e ci costringesse ad emigrare sulla Terra. La somiglianza dei manufatti attestava in maniera inconfutabile che la razza umana aveva origini marziane.

È sconcertante la facilità con la quale gli uomini sono disposti a tributare reverenza a ciò che è antico. Ma la spiegazione è semplice; è lo stesso motivo per cui ci si affeziona alle cose vecchie: sono frammenti di un tempo che vogliamo ricordare sereno.

Era divenuta comune l’idea che ciò che era marziano, per il fatto di essere venuto prima, era migliore. Bastava richiamarsi a Marte per decretare il successo di un’opera d’arte, di un’ipotesi filosofica, di un credo religioso. Tutti i movimenti artistici tesero a richiamarsi prima al passato marziano, poi, visto che di autenticamente marziano era rimasto ben poco, al passato remoto della nostra civiltà. I primi transfughi avevano ancora con loro le preziose biblioteche di Marte: per questo erano infinitamente più saggi delle generazioni successive, sempre più distanti dalle loro radici eccelse.

Cominciammo così una folle corsa all’indietro.

Nell’arco di poco più di un decennio gli stessi fondamenti della scienza vennero messi in discussione: alle equazioni matematiche si opposero gli oscuri testi delle mitologie più antiche, alle prove sperimentali si cominciarono a preferire vani sillogismi. Ma la catastrofe arrivò più tardi.

La fine della civiltà marziana era la prova che la corsa della civiltà poteva finire. Anzi, che alla fine di ogni storia progressiva non c’era che un eterno ritorno all’infantile ignoranza, e, forse, all’innocenza. Alcune sette di esaltati cominciarono a predicare l’inutilità del progresso, l’intrinseca malvagità di ogni scoperta, la purezza dello stato animale.

La Terra, però, aveva ormai generato tanti esseri umani da non poterli sostenere se non al prezzo di una loro sempiterna corsa verso lo sviluppo. Fermarsi non avrebbe significato soltanto un regresso intellettuale e numerico della popolazione, ne avrebbe decretato l’estinzione.

Perciò io, Gumpert, che fui scriba, ultimo terrestre che ha conservato memoria di questo recente passato, ho deciso di incidere sulla pietra più dura queste parole. Le nostre biblioteche, fissate su supporto magnetico prima del collasso definitivo, vi avranno insegnato ad intendere la mia lingua in ogni sua sfumatura.

Voi che scoprirete i resti della nostra civiltà, da qualsiasi luogo veniate, ricordate sempre questo: non siete nostri figli. Prima di regredire, non raggiungemmo nelle nostre esplorazioni spaziali nessun pianeta che fosse abitabile. Ci estinguemmo qui, sulla Terra, come infinite civiltà si sono estinte altrove prima della nostra. Non per un cataclisma naturale e nemmeno per l’insensato uso di armi potentissime, ma per la più folle delle aspirazioni di un essere dotato di ragione: l’aspirazione alla purezza. 

Serie: Prima della fine del mondo


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi è piaciuto molto e, lo ammetto, il twist fantascientifico non me lo aspettavo. Mi asterrò, per pudore, dal fare riferimenti, ma c’era una volta, alla fine degli anni sessanta, una serie TV che toccò tanti importanti aspetti sociali e politici, ed in alcuni episodi raccontava storie in tono simile. Naturalmente lo stile letterario è altro, e a me questa serie è piaciuta molto.

  2. Molto bello ed evocativo.
    Ecco che il cerchio si chiude e la verità viene svelata. Quindi, alla fine di questa bella ed intrigante serie, mi pare di capire che la figura di Ian Elias sia da intendere come la voce dell’umanità nella sua collettività. Una sorta di eredità, lasciata da Gumpert a chiunque fosse stato in grado di ritrovare la “biblioteca” che egli stesso aveva creato per salvare i ricordi della specie umana dalla distruzione.