
Cherry Bomb
Non c’era poi così tanta scelta nel 2006. Nella memoria del mio cellulare si infilava giusto qualche album musicale. Ascoltavo sempre le stesse canzoni. Ricordo ai tempi delle superiori che, per fregare l’attesa dell’autobus che mi scorrazzava fino a casa, avevo supplicato mio padre di regalarmi un lettore mp3. Prima ancora avevo il walkman: un solo cd. Nel lettore mp3 almeno ci entravano una ventina di canzoni, un paio di album. Le ascoltavo e riascoltavo, senza annoiarmi mai, anzi, immaginando emozioni diverse nonostante quelle canzoni fossero sempre le stesse. Oggi non saprei dire se è più possibile vivere una cosa del genere. Ti stanchi di una melodia e muovi il dito sul display dello smartphone, la musica cambia, semplice ed immediato. Col tempo ho capito che avere un ventaglio di scelte troppo ampio più che una buona idea è dispersivo. Oggi si rischia di non comprendere l’animo di un componimento musicale, non parli con l’artista abbastanza, perché basta muovere l’indice e migliaia di alternative sono a tua disposizione. Io nel 2006 mi confidavo con poche melodie , e riuscivo ogni volta a tirare fuori un dettaglio nuovo rispetto all’ascolto precedente: una nota nell’assolo, un beat di batteria. M’improvvisavo cantante ed ogni volta era un concerto. Tutto era pregno di intima magia, ed era solo mia, i posti diventavano bellissimi mentre si trasformavano in armoniche piene di colori. Ero il protagonista della musica che ascoltavo e, con i cuffioni che vestivano il mio capo, immaginavo intense storie d’amore nella biblioteca dell’università, perdendomi negli occhi delle ragazze che studiavano numeri e formule. C’era un periodo in cui studiavo spesso nella biblioteca al secondo piano, in quei giorni ascoltavo in continuazione l’album degli spoon, mi capitava molto spesso di sedere di fronte ad una ragazza con gli occhi di un verde talmente intenso che mi sembrò quasi un colore nuovo. Appena iniziava per l’ennesima volta la traccia numero tre dell’album “GA GA GA GA GA”, io cercavo insistentemente gli occhi di quella ragazza. Volevo condividere con lei la magia di quella prima nota, che dà inizio ad un racconto, ad un tragitto di 03:09 minuti, in cui puoi immaginare di essere chi vuoi, amare chi ti pare. In 03:09 min. immaginavo tutta la mia storia con quella ragazza, il primo appuntamento, il primo bacio, i litigi e poi tutto il resto. La canzone si chiamava: “You got your cherry bomb” e la prima frase recitava: “la vita può essere così giusta”, ed io immaginavo di ripeterla a quella ragazza con gli occhi che custodivano gemme verdi preziose: la vita potrebbe essere così giusta insieme a te.
E mentre pensavo a tutte queste cose, lei si avvicinò nervosa e con il volto severo:
-Per cortesia puoi abbassare il volume della musica, non riesco a studiare. È da maleducati ascoltare musica in una biblioteca dell’università, qui c’è bisogno di silenzio assoluto. E poi, se proprio devo dirti la verità, questa musica fa schifo.
Prima di andarsene, con un tono di voce silenzioso ed estremamente calmo mise al tappeto la mia immaginazione:
-Un’altra cosa, smettila di fissarmi.
Per il resto della giornata non ascoltai più nessuna canzone. La sera, a letto, ero abituato ad ascoltare un po’ di musica prima di addormentarmi. Non quella volta. Il giorno dopo cancellai gli spoon dalla memoria del mio lettore mp3. Solo oggi, che sono passati più di quindici anni, ho avuto il desiderio di riascoltare la loro you got your cherry bomb.
Ricordo di aver incontrato quella ragazza qualche settimana dopo, era alla fermata dell’autobus. Strinsi i pugni così tanto che divennero viola, e desideravo soltanto lanciargli contro una cherry bomb, cioè un petardo, qualcosa che la spaventasse, che la mortificasse, come lei aveva fatto con quella parte di me che amava sognare.
Le andai incontro, ma guardando il suo sguardo triste, la mia rabbia si trasformò in qualcos’altro:
-Ti chiedo scusa per l’altro giorno, hai ragione tu, non per tutti i luoghi è la musica, e forse la musica non è per tutte le persone. Ti sto guardando da un po’, sei qui alla fermata annoiata e un po’ triste, prendi questo.
Le prestai il mio nuovo lettore ipod, la cui memoria poteva custodire molte più canzoni, ma non gli spoon, non più.
-Me lo ridai domani in biblioteca.
Il giorno dopo non venne all’università e neanche quello dopo. Non so precisamente quanti giorni passarono, ma dopo qualche tempo, ero in biblioteca, qualcuno poggiò dei cuffioni sul mio capo, lei, con un sorriso, mi diede indietro l’ipod. E sorridendo se ne andò. Non la incontrai più in quella biblioteca, ma nell’ipod c’era una cartella con il suo nome, e dentro una playlist di quella che supposi essere la sua musica preferita. C’erano anche gli spoon, ma ormai mi ero convinto di non ascoltarli più, fino ad oggi almeno, che ho ritrovato in uno scatolone l’ipod ed i miei cuffioni e quegli anni colmi di musica.
La musica riempie ogni cosa, e quando ti arrendi al pensiero che non è per tutte le persone, devi solo correggere il ritmo e regolare il volume.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Davvero molto bello e ben scritto.
Veramente molto bello questo racconto di vita vera.
Ricordo quando acquistai il mio primo lettore MP3, un Creative, che andavano tanto di moda all’epoca: mi sentivo così felice, perché potevo caricarci tutte le canzoni che mi piacevano.
E, prima ancora, il lettore CD e il walkman Sony giallo e blu con le musicassette.
Mi sento fortunato ad aver vissuto in quegli anni: i ragazzi di ora non vivranno mai queste emozioni, questi sentimenti. Sembra una frase stereotipata, ma è la verità.
È proprio questo il senso di questo breve racconto e di come, in qualche modo, alcuni legami umani nascono grazie alla musica