Colpo di grazia

Serie: Prima della fine del mondo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Non ci sono buone leggi

Il meccanismo si è inceppato il 24 giugno dell’anno scorso. Maledizione!

Voi mi chiedete se ubbidire alla legge sia sempre giusto. Il punto non è questo. Io sono un uomo di legge e vi rispondo: le leggi sono sempre – e sottolineo sempre – mostruose, inumane. Gli uomini hanno il diritto, anzi, vorrei dire il dovere, il sacro dovere di interpretarle. Il che significa di renderle più umane. Vi pare possibile che tre parole scritte chissà dove e chissà da chi possano decidere il destino di qualcuno? Figurarsi… I più saggi del mondo non hanno scritto proprio niente. Dio non ha mai scritto proprio niente.

Dirigo questo dannato carcere da più di vent’anni. Non ci sono stati mai suicidi qui, da quando ci sono io. Chiedetelo ai ragazzi qua dentro, come si sta. Certo non è l’Astoria, ma neanche loro sono dei santarellini, statene certi. Non ce n’è uno che non abbia sulla gobba meno del sequestro di persona.

Poi c’è il braccio della morte. E questa è un’altra storia. Anzi, la storia per cui siamo adesso qui a parlare.

Questo dannatissimo Stato aveva una legge prima del 24 giugno. Non era una buona legge. Non ci sono buone leggi, ve l’ho detto. E poi figurarsi se può esser buona la pena di morte. Il regolamento prevede (cito a memoria): «La sentenza di morte sia eseguita mediante fucilazione. Il plotone di esecuzione sia composto da sei guardie carcerarie scelte dal direttore tra volontari», «I fucili siano sorteggiati tra i componenti del plotone di esecuzione», «Uno dei fucili sia caricato a salve», «Al direttore spetta il colpo di grazia».

I miei uomini sono tutti buoni padri di famiglia. Le teste calde le ho allontanate io, negli anni. È così che ho un carcere tranquillo: niente violenze significa niente rivolte e niente suicidi. Tutti fanno il loro lavoro: i secondini fanno il loro. I carcerati fanno il loro, che poi è quello di aspettare. Quelli nel braccio della morte ne fanno un altro di lavoro: sperano. Sperano nella grazia. Non quella del cielo, no. Quella del governatore. Per esperienza vi dico che arriva (almeno arrivava) quasi sempre. Ci sono state otto esecuzioni da quando sono qui. Nel braccio della morte ci saranno passati in più di cento. Anzi, vi do il dato preciso: 123.

Io non voglio ammazzare nessuno. Ve lo dico chiaramente: io non credo in Dio, non credo nell’anima e in tutte queste cose di cui si dicono solo cose buone. Io non ci credo nelle cose di cui la gente dice che sono solo buone. Perché dovrebbero essere solo buone, poi. Di buono ci sono solo i sogni, a volte. L’anima, Dio… Sono tutti sogni. Però ho alcune convinzioni solide: nelle leggi scritte (sulla carta o sulla pietra) credo poco. Ma ci sono leggi che sono scritte nel cuore. O nella mente, se preferite. Tra queste leggi io ho quella di non uccidere.

Come ho fatto a non uccidere fino ad oggi, anche se ero io a dover dare il ‘colpo di grazia’? Ora ve lo spiego. Tra i miei uomini ce n’era solo uno disposto a sparare. Harold Sigurdsson. Un buon diavolo anche lui e un fenomeno nel tiro al piattello.

Per non creare casini facevamo così: al posto di un proiettile a salve per cinque veri, mettevamo un proiettile vero per cinque a salve. Una salva anche nella mia pistola. Poi si faceva il sorteggio dei fucili. Ad Harold toccava sempre quello buono, che poi era il suo e lui lo riconosceva. Così sulla scena della fucilazione il colpo era uno solo, ma andava sempre dritto al cuore. Io mi avvicinavo al cadavere, sparavo la salva diretta alla nuca. I capelli si spostavano, la pelle si anneriva. I parenti delle vittime che avevano partecipato andavano sempre via contenti, a volte applaudivano perfino. E noi avevamo tutti le mani pulite. Tutti tranne uno, ovvio.

Mi direte: la legge la violavi. No, io la interpretavo solo: il morto era morto. Cosa cambia se invece che cinque o sei colpi ne bastava uno? Cosa cambia se il boia era uno e non sei o sette. Che male c’è a salvare le notti dei miei uomini. Harold faceva del bene anche lui, a modo suo.

Maledizione: tra due anni sarei andato in pensione e Harold veniva via con me. Accidenti a questa smania di ammazzare che ha colpito la gente di questo Stato. La nuova legge – sia stramaledetto chi l’ha voluta – lascia tutto come prima, solo che il plotone si compone «dei cittadini o delle cittadine, maschi e femmine, maggiorenni, che ne abbiano fatto regolare richiesta, sorteggiati [badate, non scelti] in pubblica assemblea dal direttore del carcere».

E le domande sono state migliaia: migliaia di imbecilli che non hanno di meglio da fare che sparare a un disgraziato. I nostri deputati dicono che è «più democratico», che è in linea con lo spirito dei «padri della costituzione»: di nuovo leggi scritte, di nuovo inchiostro che imbratta le nostre coscienze.

Ora, voi mi chiederete: ma che cambia? Che differenza c’è se a sparare sono sei lardosi farciti di ketchup e carne di manzo invece del nostro Harold? La differenza c’è, eccome. Perché questi elementi non sanno sparare. Vogliono sparare, vogliono imitare i vecchi patrioti, ma se i patrioti li vedessero si vergognerebbero di quello che hanno fatto. Sono dei disturbati, dei frustrati che si accaniscono contro questi indifesi. Sparano più per veder soffrire che per uccidere.

E così alla fine dovrei entrare in scena io. Di fronte a un fagotto di carne sanguinolenta, magari scossa dagli spasmi della morte. Dovrei essere io a portare conforto, con l’ultimo colpo. Finalmente ben dato. Dovrei essere io l’assassino.

No, io non ci sto.

Lo so che sono solo un vigliacco. Lo so. Lo so che sono vent’anni che lascio che la cosa succeda, senza che io mi debba sporcare le mani. Ma non dipende da me. Dipendesse da me nessuno di questi bastardi dovrebbe morire. Tutti, anche i peggiori hanno diritto a una seconda occasione. Dipendesse da me non ci dovrebbero essere assassini: né contro la legge, né secondo la legge. Ma io chi diavolo sono? Sono solo il direttore di un carcere. Ho salvato i sogni miei e dei miei uomini. Il caso mi ha provvisto di un angelo della morte che ha sbrigato il lavoro sporco per me.

Sono un vigliacco come tanti.

Però, sapete che vi dico? Questo Paese si fonda sui vigliacchi come me. Sono i vigliacchi come me che vi salvano la pelle, lo sapete? Siamo noi che rendiamo vivibile un paese che avete martoriato con le vostre idee di libertà, con le vostre stupide leggi per ‘proteggere il cittadino’. Siamo noi che le rendiamo umane. Voi non vi rendete conto.

Avete detto che è meglio credere in qualcosa di sbagliato che non credere in niente. Avete detto che è meglio avere una forte passione che una buona mira. Avete riempito la testa della gente di vanagloria. State attenti, vi dico, state attenti. Perché quando questi vanagloriosi avranno finito coi carcerati non si fermeranno. Vorranno andare più in alto. E verranno a prendere voi.

Allora, statene certi, io non ci sarò. Io non ci sarò per darvi il colpo di grazia.

Serie: Prima della fine del mondo


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “Perché quando questi vanagloriosi avranno finito coi carcerati non si fermeranno. Vorranno andare più in alto. E verranno a prendere voi.”
    Terribilmente appropriata. Ci sentiamo tutti come se: queste cose capitano agli altri.👏

  2. Bello, davvero molto bello.
    E mi sembra abbastanza chiaro che questo episodio si ricolleghi a ciò che è stato narrato ne “La terra di Caino”, con l’epurazione voluta per far elevare i purissimi ad uno stato supremo dello spirito.
    Hai introdotto due personaggi, Harold e il direttore del carcere: ho questa strana sensazione che almeno uno dei due giocherà un ruolo importante nel quadro generale.

    1. Ian Elias sceglie la scrittura personale. Ian Elias userà il Tu. La qualità dei lettori di questa piattaforma è altissima. Il lavoro editoriale di questa piattaforma è eccellente. Per questo Ian Elias ha scelto di compiere qui il suo esperimento/rivelazione. La serie sta per finire. Rimarrai deluso. Lo scopo della serie è quello di rivelare/occultare la/le identità di Ian Elias. Tuttavia esiste una coerenza. Non sul piano narrativo. Piuttosto su quello filosofico. La scrittura di Ian Elias è irritante, affinché non vi sia partecipazione affettiva con la vicenda del/degli autori. Ian Elias ha deciso di lasciare questa pista qui. Ian Elias si esprime letterariamente non solo tramite le narrazioni ma anche tramite le risposte. Ian Elias continuerà ad essere presente, e a leggere. Ian Elias ringrazia personalmente i suoi lettori. Questo messaggio sarà replicato più volte da ‘chi scrive’