Corri ragazza
E allora corri ragazza mia corri fai presto ché il buio fa in fretta ad inoltrarsi nella tua mente, fa presto a interrompere il flusso dei tuoi cari pensieri; e il vento fa sentire i suoi passi dietro di te smuovendo le foglie secche; e sbrigati, pure, ché uomini malvagi potranno fare capolino da dietro un vicolo e chiedere o fare chissà cosa. Qualcuno arriverà; questo senti. Ricordi la tedeschina ridanciana che salutava nessuno proprio davanti al dehors e tu in parte vorresti essere lei, spensierata e piena di amici che ti starebbero ad ascoltare per ore. Ma a pensarci bene tu non hai questo granché da dire in compagnia d’altri ma in compenso hai molto da pensare. Pensi alla nullità, per non dire oscenità, dei discorsi di quelle ragazze e ti chiedi perché aver accettato l’invito? Eppure ora ti complimenti con te stessa per aver detto di no quando t’è parso opportuno, per aver evitato una situazione incresciosa. Eppure qualcosa t’è rimasto in mente: la sto-ria del fratello maggiore, il poeta-eremita dilettante – perché sì, era (o è ancora?) chiaramente un dilettante, forse un antiaccademico – che aveva vissuto solo per amore. E ora nessuno sapeva che fine avesse fatto. E ora pensi chissà dove sarà, chissà che genere di persona è diventato durante il suo autoesilio. Parrebbe un ragazzo con un fascino tutto da scoprire; parrebbe un gran parlatore. E anche il minore, che non è da meno, pur non avendo fatto una bella figura con quelle due, ha esibito la sua buona dose di capacità affabulatoria. Certo in questo i fratelli sono simili, ma il maggiore spicca per un non-si-sa-cosa che l’altro ha detto fra le righe; forse ad averlo nutrito erano state le tante letture, le esperienze di vita per lo più amorosa e il sunto di tutto ciò in forma scrittoria. Eh sì, perché seppure uno scritto è il risultato di un parto, il nascituro ha modo di alimentare colui o colei che l’ha partorito. Davvero uno strano processo. Forse anche tu ti saresti cimentata in un’impresa così. Ti alzi il bavero della giacca che a quest’ora si rivela fin troppo leggera perché il vento, oltre a far sentire i suoi passi che sanno di minaccia imminente alle calcagna, si infila in tutti gli spazi lasciati liberi, e il tuo collo lungo lungo à la Modigliani è un bersaglio sensibile esposto a quelle staffilate fredde che sensibili proprio non sono; e a questo punto sorge imperiosa l’urgenza di tornarsene a casa e di struccarsi come a volersi liberare di una seconda pelle che, nella giornata che si appresta a finire, ha assorbito in ugual misura pulviscolo stradale e idiozie, specie quelle proferite dalle cosiddette amiche. Di barzellette ne avevi sentite fin troppe. Al liceo avevi un compagno che all’ora di ricreazione radunava la sua accolita di amici di periferia per condividere ogni giorno l’ultima che aveva ideato o sentito. Un simpaticone davvero. E a te, che simpaticona non ti sei mai considerata, a te che eri in disparte, un tutt’uno con la sedia e il tavolo, tutto l’umorismo del mondo faceva schifo. Avevi impiegato un anno intero per leggere Il mestiere di vivere, l’anno in cui eri compagna di classe del barzellettiere. Un libro che ormai, va detto, associ senza volere ai suoni sguaiati delle risate loro. Un’associazione, un’armonia, quella tra le loro risate da un lato, o meglio da un angolo della classe, e quella tra le parole del libro sussurrate a mezza voce in solitudine, un’armonia così cacofonica e dalle cadenze così imprevedibili che, terminata la lettura, te ne sei voluta liberare, di quel libro, seppure di malavoglia, tanto odiosi ti erano diventati i suoni e dunque i ricordi che tra le righe si erano impressi. Venduto.
E poi… che avresti fatto una volta a casa? Certo ti saresti messa sotto le coperte a sentire Liszt, ma non la seconda Leggenda, quello è un pezzo da risveglio mattutino. Forse l’ouverture del Tannhäuser ma è un pezzo che parimenti vorrebbe dare l’abbrivio per affrontare la giornata, e non terminarla. Magari un notturno. E intanto la stessa urgenza di liberarti del trucco forse ti avrebbe guidata sotto la doccia, come a liberarti una volta di più, con un’operazione di pulizia più approfondita, del male che non volendo hai assimilato a forza di parole e del disagio che hai sperimentato. Ma è tardi ormai, quasi un quarto a mezzanotte, e i vicini si sarebbero lamentati l’indomani. Allora nulla da fare: sola sommaria pulizia con acqua micellare e ovatta…
– Aspetta!
… e poi dritta a letto a prenderti la rivincita contro questo freddo pungente.
– Aspetta!
Corri corri fai presto ragazza mia ché ora pare che il vento abbia una voce. Ti dice di aspettare, vuole qualcosa da te. Basterebbe qualche turista straniero per metterti in difficoltà con l’inglese, non lo mastichi da anni, è vero conosci le basi, ma la tua pronunciation è pessima e la lentezza del tuo scandire è a dir poco imbarazzante. Ma a chiamarti non è uno straniero; è una voce quasi nota. Non sapevi che il vento avesse una voce, una voce quasi nota, per di più. Il suo è un rumore di passi veri e propri, non di foglie secche. Qualcuno corre, ti rincorre anzi, qualcuno chiede di te. Forse ti è caduto qualcosa dalla borsa che porti a tracolla. Speri di non aver smarrito il portafoglio perché con l’ufficio dei carabinieri hai già avuto a che fare due anni fa quando avevi perso la carta di credito intestata a te, e non vorresti riprendere in mano un problema insopportabile come lo smarrimento di documenti personali importanti. E poi dìllo in tutta franchezza: non hai in simpatia le forze dell’ordine, e le temi pure, quando carabinieri o poliziotti o finanzieri li vedi al bar sotto casa quasi tutte le mattine, e al contempo ti chiedi da dove origina questo connubio di timore e antipatia. Allora per ogni evenienza ti controlli in tutta fretta la borsa e trovi che tutto è lì, a portata di mano, per fortuna pure gli assorbenti di cui stasera al bagno del pub non hai nemmeno avuto bisogno. Pensa se te ne fosse caduto uno per strada e il proprietario di quella voce portata dal vento lo avesse ritrovato per consegnartelo; gesto gentile per carità, ma la scena sarebbe stata imbarazzante per non dire surreale. Non s’è mai vista una scena così. E pensi che non vorresti far sapere, nemmeno per vie indirette, che hai il ciclo, perché è una questione solo da donne che tra donne deve rimanere, mentre sai di tue amiche, poche a dire il vero, che con i loro amici maschi parlano apertamente della loro situazione mestruale come fosse una cosa naturale. Anche per te è naturale, certamente lo è, ma in buona sostanza non deve fregare una mazza a nessuno: rimanga per te, e questo è quanto. E il rumore di passi si avvicina e senti ancora una volta il vento rifrangersi come acqua gelida dietro il tuo collo scoperto che svetta come un promontorio tra le scapole sporgenti e rinsecchite. La voce non ha ripetuto una terza volta: – Aspetta – ma ormai ti sei fatta questa idea: è lui. Non serve voltarsi per capire. La memoria ti ha restituito, quasi fosse un dono inaspettato, il ricordo sonoro della sua voce suadente che ti ha intrattenuta per buona parte della serata, ma solo fino a un certo punto, poiché l’opinione che di lui ti eri fatta in un primo momento aveva dovuto fare i conti con la sequela di idiozie sparate per accontentare quelle due. Solo fino a un certo momento che ora non sapresti nemmeno più collocare lungo un asse del tempo, poiché la bruciante seppure momentanea ebbrezza che ti pervade ti confonde e mette a soqquadro i tasselli del mosaico in cui si potrebbe scomporre la serata appena trascorsa.
Per farla breve sai chi ti chiama ma non hai tutta questa voglia di parlare. Nessuna, anzi.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
è un testo davvero notevole, sono sorpresa che sia stato notato così poco. Scrivere in prosa in questo stile, che si avvicina al flusso di coscienza ma di un altro, della ragazza, e lo descrive dall’esterno, rivela una grande padronanza dei diversi “punti di vista”, come si usa dire. Complimenti.
Ti ringrazio del riscontro. Accetto con piacere ogni opinione su quello che scrivo, soprattutto se quello che mi si dice verte su questioni tecniche come l’uso dei punti di vista che hai menzionato. Poi… a dire il vero non saprei dire se la mia è un’effettiva padronanza – considera che, se non ricordo male, ho scritto questo brano “di getto” e ho dedicato poco tempo alla revisione. Il mio stile è in continua metamorfosi, e a non tutti piace… Saluti!
Una prosa incalzante, quasi opprimente, in grado di far avvertire al lettore tutto il peso della vita di questa ragazza.
Si raggiunge la fine senza riuscire a capire se il narratore è in qualche modo coinvolto, magari sentimentalmente, dalla ragazza oppure se ricopre solo il ruolo di spettatore narrante, di bardo, per così dire.
Un testo molto interessante. Bravo!
Non era nelle mie intenzioni far percepire quello che hai detto nel tuo commento, ma poco importa, il tuo è comunque un punto di vista prezioso. Per quanto riguarda il coinvolgimento del narratore, be’… non so dirti ancora come si svilupperà la storia. Grazie, e a presto!