DÉJÀ-VU   

Camminava nella vita da quasi cinquant’anni, ma aveva ancora l’anima di un ragazzo, si sentiva in buona forma fisica.

Certo, qualche malanno gli era capitato, un lutto importante, non tutto era sempre filato liscio. Ma, alla fine, non poteva lamentarsi; e non lo faceva.

Per essere precisi, da un paio di settimane provava spossatezza, una insolita debolezza, forse dovute all’arrivo dell’autunno, che lui detestava.

Il medico gli aveva prescritto delle analisi del sangue approfondite, così da eliminare eventuali dubbi.

Le aveva fatte, ma più per obbedire al dottore, che era sempre stato gentile e disponibile, al bisogno.

Pensava, sinceramente, che fosse solo un periodo di stanchezza psicofisica, facilmente rimediabile.

Per questo quando si presentò la Morte rimase completamente stupito, incredulo.

Eppure il medico fu preciso e molto professionale: le analisi evidenziavano, senza alcuna incertezza, la presenza di un batterio-killer molto aggressivo, quasi sconosciuto e inattaccabile da qualsiasi antibiotico.

“Signor Giangiacomo” gli disse “lei ha tre mesi di vita; forse meno; sicuramente non di più.”

Giangiacomo guardò nel vuoto, alle spalle del medico, dove spiccavano alcuni diplomi incorniciati. Non riusciva a parlare: pensò per un attimo che fosse uno scherzo, un atroce scherzo.

Si alzò e fece per uscire.

“A fine settimana farò un consulto con alcuni colleghi, esperti in batteriologia. Ovviamente necessita la sua presenza.”

“Va bene” disse Giangiacomo con un filo di voce “mi telefoni.”

L’incontro con i quattro medici fu terribile.

Gli spiegarono cosa sarebbe successo nei prossimi due mesi, restando molto più vaghi sull’eventuale periodo successivo.

Prendendo a turno la parola descrissero ciò che avrebbe causato il batterio all’organismo, con un rapido danneggiamento dei vari organi vitali, senza possibilità di arrestarne il processo letale.

Usarono qualche termine tecnico, ma nel complesso cercarono di essere chiari e comprensibili.

Giangiacomo era annichilito, non sapeva cosa dire, che domande fare. Tutto gli sembrava un brutto, orribile sogno. Ad ogni minuto che passava si sentiva sempre più pesante, non riusciva a muoversi di un millimetro. Ogni tanto lanciava uno sguardo al grande orologio a led sulla parete, se per caso il tempo non si fermasse, o magari tornasse indietro.

Dopo una trentina di minuti i medici chiusero cartelle, spensero tablet, con qualche difficoltà si sollevarono dalle sedie.

Cos’altro c’è da dire, pensò Giangiacomo.

Fissarono un ulteriore appuntamento, in vista di un probabile ricovero in ospedale.

Senza dire una parola, si alzò e uscì dallo studio.

La città puzzava di smog. Da diverse settimane non pioveva, e l’aria era pesante, irritava la gola. Autobus, furgoni, taxi correvano nelle strade del centro, con un frastuono continuo e fastidioso. Consegne da completare, acquisti da fare, spostamenti da un quartiere all’altro.

Che inutile baraonda, pensò Giangiacomo.

Si incamminò verso la zona vecchia della città, avrebbe trovato meno traffico, e potuto riordinare un po’ meglio le idee.

Ma comunque aveva già deciso: non intendeva permettere alla malattia di portarlo verso l’umiliazione di un corpo devastato, senza più utilità, senza nessuna speranza. Che senso poteva avere, aspettare qualche mese, soffrendo, se la fine era ormai definita. Il destino aveva già stabilito per lui, ma almeno si sarebbe tolto la soddisfazione di giocare d’anticipo.

Voglio vedere il fiume, pensò. Mi è sempre piaciuto, fin da quando ero ragazzo; quando ero triste o qualcosa era andato storto, mi fermavo a guardare la lenta corsa dell’acqua, sempre uguale e sempre diversa. Sia d’estate che d’inverno, mi dava tranquillità e pure sicurezza, così me ne tornavo a casa più sereno, lasciando che i problemi se li trascinasse via la corrente.

Camminò per quasi mezz’ora, finché raggiunse il ponte fatto di pietra, che si poteva attraversare solo a piedi o in bicicletta.

Non c’erano molti turisti, in questa stagione, solo qualche gruppo di ragazzi in cerca di negozi o bar.

Il fiume scorreva silenzioso, arrivava quasi a metà degli argini, in montagna aveva piovuto almeno un poco.

Aspettò di essere da solo, montò sul parapetto e senza guardare giù si buttò a braccia aperte.

L’acqua era molto fredda, ma non fece in tempo a rabbrividire: la testa colpì un grosso masso appoggiato sul fondo, da chissà quanti anni. Il corpo cominciò a rotolare, come un sacco, appena in superficie. Poi si mise nella direzione della corrente, e la seguì, obbediente. Poi buio. Poi silenzio.

* * *

Immagini sfocate. Qualche suono indistinto. Parole incomprensibili. Ecco, un funerale; G. sta guardando una bara di legno chiaro, sopra c’è una grande corona di rose rosse – tuo marito, con amore – odore di incenso. Un hotel con l’insegna mezza spenta per il primo appuntamento, che vergogna a pensarci poi. G. guarda il suo nuovo ufficio, che invidia i colleghi, gli vien da pensare. Ma poi è all’esame di stato, tutto sudato, ha voglia di vomitare. Una ragazza, che è la figlia del fornaio, lo aspetta alla mattina presto, perché la casa è vuota. Musica di canzoni dimenticate. Oggi la mamma ti sgrida, dopo che hai tirato un sasso a un bambino, gli sanguina l’orecchio, suo padre ha suonato il nostro campanello. Pagine vuote. G. si mette in fila, con i compagni, vuole doppia razione di pastasciutta, suor Maria sorride. Poi un buco nei ricordi. Colori sbiaditi. Il papà con la fisarmonica imita il rumore del treno. Altro buco. Buio. Silenzio. Un sommesso gorgoglio, come un ruscello quasi fermo. Improvvisa una luce bianca, forte. E un pianto disperato. Due mani grandi, ma delicate, sporche di sangue. Poi ancora buio. Poi ancora silenzio. Silenzio.

* * *

Camminava nella vita da quasi cinquant’anni.

Da qualche settimana si sentiva strano, senza energie. Così si era recato dal medico: meglio fare le analisi del sangue.

Il dottore, dopo qualche giorno, gli aveva telefonato per dirgli che erano pronte, ma voleva vederlo di persona, meglio quel giorno stesso.

Giangiacomo chiuse l’ufficio, un poco impensierito. Ma conosceva quel medico da diversi anni: una persona molto professionale e scrupolosa. Non poteva pretendere che gli comunicasse i valori al telefono!

Comunque non può essere niente di preoccupante, pensò, il malessere sarà dovuto al cambio di stagione. Mi è già capitato altre volte.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Bello e angoscioso, il pensiero di un batterio così forte da non permettere neppure una morte dignitosa. Bel racconto, belle riflessioni, grazie.

  2. Bello il tuo racconto e sicuramente molto originale. Mi è piaciuta tanto la parte dei ricordi, un po’ convulsa e un po’ a singhiozzo, come è giusto che sia. Interessante il finale che lascia spazio all’immaginazione. Bravo.

    1. Ogni tuo commento è sempre gradito. Forse ho esagerato un poco considerando il batterio così forte, da far rinascere l’ospite per portare a termine la sua missione.

  3. Interessante racconto. Mi ha fatto pensare all’inizio della canzone “Meraviglioso” di Domenico Modugno. La fine mi ha fatto pensare all’eterno ritorno: tutto si ripete incessantemente, senza scampo.

  4. Un racconto toccante, coinvolgente. L’ ho letto voracemente, con la grande curiosita` di scoprire come si sarebbe conclusa quella camminata di quasi cinquant’ anni o se Giangiacomo sarebbe riuscito a proseguire la sua maratona di vita. L’ ultima parte mi ha un po’ disorientato.

    1. Il paragrafo dopo la morte rappresenta un ritorno alla vita. Il batterio era così potente da non permettere che la sua ‘missione’ restasse incompiuta. Grazie per il commento.