Di notte a ciauliari 

Serie: Picciuotti adolescenti


La vita estiva di picciuotti sicili

Era una sira d’estati, esattamenti il sette di agosto. Minchia! C’era un caldo torrido. Mi ricordo che ero seduto supra un muretto, sudavo come non avìa fatto mai sino ad allora. Mi tolsi la magliettina. Rimasi a petto nudo. Sentivo lu cauru attraversari tutto il mio corpo, girarmi attorno e nuovamenti riprendere lo stesso percorso di prima, senza tregua, senza paci.

Erumu setti picciuotti, avevamo una quindicina d’anni, chi poco più chi poco menu, e le siri d’estati le passavamo a fari casinu per le strade del nostro paìsi. La genti doveva dòrmiri, e noi autri inveci a rompere le palle a tutti. Na sira era scesu dalla sua abitazioni n’uomunu alto e muscoloso. Era decisu a rumpirini il culo a tutti. Non ne poteva più di noi autri.

«Mi aviti ruttu i cugghiuna, vi scannu a tutti.»

Avìa nelle mani un coltellaccio, ed era russo in faccia sembrava un pummaroro. Era il macellaio della zona dove noi autri ci mettevamu a discutiri, diciamo a gridari. Mischinu avìa ragione. Ora a distanza di anni lo capisco beni, io avrei fatto di peggiu! Noi autri scappammu, certu erumu tanti, ma quel tipo avìa u sangu avvelenato. E quannu lo vedemmo correre, cu tuttu che aveva una pancia abbondante, a noi autri ci parsi Mennea quannu fece il record. In un attimo non ci fu traccia di chiacchiericciu, tornò il silenzio assoluto, le finestre si richiusero e tutto poté tornare tranquillo.

«Ve lo avìa detto, qualche volta questo esce pazzo! È così fu!» disse Franco.

«A ora ci passa» rispose con superficialità Gianni.

«Comunqui noi autri lì non andiamo più, chistu è capaci di scendere con la pistola, credetemi, è pazzignu!» disse Enzo. «Una volta, mi raccontò ma patri, il macellaio tornò a casa e si accorse che qualcosa non andava. Avìa visto una macchina ferma all’inizio dello stradone, era una Fiat bianca, e questo già lo aveva incuriosito molto.

—Di cu minchia è sta machina?— però si era fatto convinto che qualcuno avìa avuto problemi e l’avìa lasciato là, magari era andato dal meccanico. Proseguì per la sua strada fino a che non entrò nel suo cancello, quannu si accorse, vedendo nella finestra ancora lontano, ma lui riuscì a farlo, mi dicìa ma patri che avìa una vista miegghu di un’aquila, chi vide? Vide un figura femminili e un’ombra che non seppi definiri beni.

—Minchia e cu c’è a ma casa?—

Allungò il passo e, avvicinandosi, poté vedere beni la faccia dell’uomo che era dentro a sa casa con sua mugghieri. Non ci vide più. Cominciò a gridari come un pazzo.

—Vieni fora pezzu di merda!—

L’uomo appena sentì gridari sparì dalla vista del macellaio, rimasi la mugghieri impaurita. Quannu entrò, c’era lei che trimava tutta. Guardò suo marito e farfugliando qualche parola cercò di dire che Antonio era venuto per portarci una cosa che lei gli avìa prestato al lavoro.»

«Ah ma sta storia qualcuno me l’ha raccontata» disse Franco «Era il suo dipendente? Si, minchia finiu quasi a coltellate.»

«Sì» continuò Enzo «il macellaio si mise a rincorrerlo, Antonio era scappato dalla finestra di dietro, il macellaio avìa preso dalla cucina un coltellaccio e ci correva dietro, gridando come un animale impazzito. Quannu tornò a casa, senza che poté raggiungiri il suo dipendente, appena entrò diede uno schiaffo a sa mugghieri che lo sentirono anche dalla luna. Hai voglia che lei cercò di sosteneri la tesi del prestito (a chi la doveva raccontare quella minchiata), non ci fu nulla da fari. Ebbe una passata di legnate che ne uscì gonfia, mischina, che alla macelleria non si vide per un mese intero. E quannu rientrò, suo marito la mise in laboratorio.

—Visto che quel figlio di puttana non c’è più, il lavoro che facìa iddu lo fai tu, al bancone come hai visto ho preso una ragazza, così prestiti non te ne fa. Vai!—

Sì, si disse che lo cercò per mari e per munti, quello se ne andò via, forse dall’Italia anchi. Il macellaio avìa appresso sempri il coltellaccio, pronto a usarlo se incontrava ad Antonio. Non lo vide più. Quindi lì io non ci vado più, se non vi basta questo? Da quel fatto il macellaio non è più se stesso, è un periculu pubblicu!» concluse Enzo.

Di solito ci riunivamo di sera tardi, quasi sempre. Una volta ci venni l’idea di farlo di mattina prestu. Vi lascio immaginari le facce che abbiamo fatto tutti. Noi autri ci siamo fatti quella proposta e noi autri erumu sorpresi della cazzata che avevamo appena detto. Poi, ripresoci, stabilimmo che quella cosa si doveva fari, era un’esperienza nova. Erumu abituati a taliari le cose impregnate di buio, avvolte nell’oscurità della sera, ora ci attraeva l’altra parti della giornata. Volevamo taliari quannu accuminzava la giornata. Chi erano i protagonisti della prima parte della giornata? Noi autri, in estati, prima di mezzogiorno non si apriva occhi, che si possa diri che alle nove della mattina erumu svegli? No, mai. Era uno stile di vita nostro. Ci vedevamo dieci minuti prima dell’ora di pranzo, accennavamo a malapena, con gli sbadigli che ci accompagnavano, ai discorsi avuti la sira prima, due baci nelle guance, così ci salutavamo, e un pugno contro l’altro, all’americana dicevamo, e via, ognuno nella propria famiglia a mangiare, per rivederci subito dopo pranzo per stare fino alle due tre di notti, piedi piedi, a ciauliari.

Quindi decidemmo di vederci l’indomani alle sei del mattino in piazza San Giovanni, dove sicuramenti c’erano persone che passavano a quell’ora prestu. Certu, non erumu sicuri che la cosa riuscisse, però c’era da ammirare la buona volontà. Era uno sforzo non da poco. Vederci a quell’ora accussì prestu fu per noi una sfida che lanciammu unu versu l’autru.

Serie: Picciuotti adolescenti


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