Empatia
C’era una volta un collo.
Anzi, cambiamo registro: osserviamo un collo. Il mio collo.
È lungo e poderoso, incastonato nel mezzo di due clavicole spesse e pronunciate.
La sua pelle rosea appare ancora ben tesa, a dispetto dei quasi cinquant’anni di chi ne reclama la titolarità.
Parte della superficie è occupata da una fitta barba color sale e pepe, mentre nella porzione restante trova ampio respiro, al centro, un pomo d’Adamo spigoloso e sporgente, e ai lati due muscoli all’apparenza del tutto ordinari.
Ad un occhio più attento e ravvicinato, però, è possibile notare come il muscolo di destra, lo sternocleidomastoideo dx, appaia decisamente più sviluppato rispetto a quello di sinistra. Tecnicamente, lo si definisce “ipertrofico”.
Se infine ci si spinge ad osservare la parte in esame nella sua interezza ma da un’opposta angolazione, ruotandola di centottanta gradi, si può facilmente notare una cicatrice verticale lunga circa dieci centimetri, che dalla base del collo ne oltrepassa la sommità per poi sconfinare nella nuca, in un solco continuo e ben evidente.
Quando scoprirà che l’ho relegato a sole mille battute, il mio collo non la prenderà affatto bene, considerata la sua marcata suscettibilità. Ma dovrà farsene una ragione, così come sto cercando di fare io nei suoi confronti da quando ho diciotto anni.
È ormai trascorsa ben oltre la metà della mia esistenza dal giorno in cui si è svegliato e ha cominciato ad urlare per chiedere attenzione, tanto che ormai non ricordo più come fosse prima.
Il mio collo possiede una volontà propria. Si muove da solo. Si torce in maniera irrequieta, dolorosa, a tratti violenta, del tutto fuori controllo.
È sordo ad ogni mia richiesta quando lo imploro di concedermi una tregua, ed ha condizionato il mio modo di rapportarmi con il mondo ben oltre quanto sarebbe stato lecito concedergli.
Ma forse sta solo tentando di comunicarmi le sue sofferenze, creatura senza pace, nell’unico modo che conosce. Ed io, invece di aggredirlo per metterlo a tacere, avrei solo dovuto cercare di comprenderne il linguaggio, perché ognuno ha bisogno di essere ascoltato. Ma c’è ancora tempo.
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Cominciare a leggere “C’era una volta il collo” e rimanere incollati allo schermo fino alla fine, sorprendente. Questo brano ha cambiato la considerazione che avevo del mio collo: ora mi è molto simpatico. Complimenti, un grande talento.
Grazie per essere passato anche di qua!
Potremmo farli incontrare con la mia cervicale, forse si placheranno!
E proviamoci dai, che qualcosa di buono dagli incontri ne esce sempre!
Faccio mie alcune considerazioni trovare nei precedenti commenti e ribadisco l’originalità di questo tuo breve elogio del collo nonché l’umana vulnerabilità che traspare dalle tue parole. Mi colpisce la sincerità con cui condividi dolore e cicatrici. Leggerti è sempre un po’ ritrovarsi
Grazie Cristiana, posso dire con costruttiva autocritica che ho speso anni a vergognarmi della mia condizione e a cercare con tutte le mie ottuse forze di evitare di parlare di questo argomento, ma piano piano (non sono un fulmine i guerra, ho bisogno dei miei tempi 🙂 ) mi sto liberando dal senso di imbarazzo che provo per una cosa che non dipende da me. E anche se fosse…
Caro Roberto, se tu descrivessi l’elenco telefonico, io ti leggerei comunque con estremo piacere. Le tue idee originali combinate ad uno stile impeccabile ed un’umana vulnerabilità sono tra le cose più belle che potessi trovare su questa piattaforma. Grazie
🙂 Come non essere grato per il tuo apprezzamento? Grazie Gabriele, non sai quanto mi faccia piacere.
Ecco, questo, davvero, per me è originale. Nuovo, innovativo, mai visto. Da me, certo, perché altri qui sono più colti ed hanno letto molto, molto più di me. Magari troveranno che la tua è una citazione, che hai ripreso un tema classico o ribelle. E ti elogeranno per il riferimento, o l’omaggio letterario.
Io no. Io ti elogio per l’eleganza con la quale tratti il tuo collo, l’originalità del punto di vista, l’estremo controllo della tua scrittura.
Grazie davvero per aver condiviso questo tuo scritto.
E io ti ringrazio per inestimabili parole che, lo dico senza vergogna e senza finta modestia, incrementano sensibilmente l’asticella della mia autostima