
Figlio del capo tribù Arapho, Giovane Corvo
Serie: Vendetta Piumata
- Episodio 1: Qualche miglio nel Wyoming
- Episodio 2: Raymond, il Vecchio
- Episodio 3: Figlio del capo tribù Arapho, Giovane Corvo
- Episodio 4: Sheridan City
STAGIONE 1
Altri non era che il noto rapinatore di diligenze, il famigerato e senza scrupoli Timothy Turner.
Persino il vecchio JP Morgan mise una taglia su di lui, di ben tremila dollari!
Per quell’epoca fu una somma assai cospicua, corrispondente a quasi centomila dollari dei giorni nostri.
Un ottimo corrispettivo in denaro, in grado di cambiar la vita intera e quella della propria famiglia, per generazioni.
Fu proprio il lavoro nelle ferrovie nonché la sua correlata sete imprenditoriale, a tener Raymond troppo spesso e molto lontano, dal focolare domestico, mentre Timothy cresceva da solo.
Solo, in un’epoca in cui morire ammazzati fu più facile dell’avere anche due soli pasti caldi al giorno.
Epoca, in cui per gli indiani stessi fu molto difficile. Nonostante in diverse parti d’America andavano mano a mano integrandosi, grazie anche al baratto e al commercio con gli yankees, c’erano ancora tantissime guerre.
L’americano, visto come colonizzatore, era l’acerrimo nemico soprattutto delle tribù più sanguinarie.
Gli scontri erano all’ordine del giorno, così come piccole rappresaglie, e, con il passare di diversi giorni, le notizie di continue battaglie giravano i diversi stati arrivando più o meno a chiunque.
La tribù a cui il nostro Owen è molto legato, nonché quella di cui tratta il nostro racconto, è la tribù Arapaho.
Originariamente i loro antenati, che diedero forma a quella che diventò poi un domani la loro consolidata tribù, si insediarono nella regione dei Grandi Laghi, ovvero una regione geografica bi-nazionale (Canada e Stati Uniti) che comprende parte di ben otto stati diversi: Wisconsin, Pennsylvania, New York, Minnesota, Michigan, lo stato dell’Indiana e l’Illinois nonché la provincia canadese dell’Ontario.
Durante il loro primo sviluppo ci furono delle vere e proprie migrazioni, le quali portarono i loro membri ad insediarsi nelle vaste pianure del Colorado e del Wyoming. Durante tali spostamenti inizialmente utilizzarono alcune razze di cani, non disponendo ancora dei cavalli. Questi ultimi acquisiti nei loro usi e costumi all’inizio del XVIII secolo divennero assolutamente fondamentali, in quanto consentirono il trasporto di maggiori e più consistenti carichi, disponendo così di un vasto e maggiore approvvigionamento. Vennero utilizzati anche per la caccia, nella quale si specializzarono dunque maggiormente ed iniziarono così a spostarsi sempre più rapidamente, in luoghi sempre più lontani e con estrema facilità. Oltre alla caccia praticavano l’agricoltura in cui erano molto ferrati, particolarmente nella coltivazione del mais, per loro persino pianta sacra. La loro lingua si chiama Heenetiit ed è di origine algonchina, molto simile a quella degli indiani Gros Ventre considerati appunto, una prima propaggine degli Arapaho stessi.
Le tribù a loro alleate erano quelle degli Cheyenne, dei Lakota e Dakota ma diversamente dai metodi da loro utilizzati, la gerarchia “militare” degli Arapaho si basava sull’età di ogni membro.
Si trovavano diversi livelli di appartenenza, in cui il più alto corrispondeva ai guerrieri più forti e temibili nonché, i più maturi. Ad ogni età corrispondeva un livello, il quale poteva esser superato solo l’anno successivo passando così al seguente durante tutta la loro vita. Chi durante un attacco, una battaglia o qualsiasi scontro bellico era artefice di gesta degne di nota, otteneva più rispetto e consolidava il suo grado. Tali azioni, note come “counting coup” includevano cose tipo furti di cavalli, rubare le armi al nemico e ad ultimo ma non certo per importanza, prendere più scalpi possibili. Inoltre in attacchi prestabili, dipingevano se stessi e i cavalli con pittogrammi bellici, tutti diversi da loro: ognuno aveva il suo motivo, senza replica alcuna, mentre le piume d’aquila potevano esser portate solo dai membri di grande prestigio. Più il numero di piume era maggiore, più stava a significare un rango molto importante. Erano anche ben noti per le loro doti commerciali tra le altre tribù, attività svolte sia nelle valli sottostanti le Montagne Rocciose, alle sorgenti del fiume Platte nonché del grande fiume Arkansas, il secondo affluente del Mississipi dopo il Missouri. Commerciavano con le tribù Mandan, gli Hidatsagli, gli Arikara e tale destrezza si caratterizzava in abili contrattazioni nella vendita di pelli di bisonte, pellicce di castoro, carni, fagioli, mais e minerali. Coloratissimi, minerali. Trovati scavando nelle loro terre, erano a dir poco sgargianti, dalle colorazioni più disparate e in alcuni casi anche lavorate, seppur grezzamente. Questo fu il motivo per cui proprio gli Arikara (già molto più a contatto di loro con americani ed europei presenti sul territorio) diedero loro l’appellativo di Colored Stone Village People, appunto gli abitanti del villaggio dalle pietre colorate.
Ma lasciamo un attimo da parte tutte queste le nozioni storiche sugli Arapaho, e torniamo a concentrarci sulla nostra storia. Il protagonista cavalca nella strada che lo portò verso la città, dove lui e il suo gruppo andranno ad incontrare uno dei pochissimi indiani fortuitamente sopravvissuti al massacro avvenuto qualche anno prima.
Giovane Corvo fu in città da poco prima il tramonto.
Non era inusuale che a Sheridan vi si trovassero indiani, anche se esclusivamente occidentalizzati.
Dunque non portavano certo copricapi di piuma, non tingevano di colori il loro viso e vestivano stivali e pantaloni da cowboy. Svolgevano per lo più lavori semplici, chi lo stalliere, chi serviva ai tavoli e si dedicava poi alle pulizie camere dei piani superiori in quei due Saloon enormi, insomma. Restar umili e in sordina, era loro prerogativa.
Apprezzati da molti ed odiati da altrettanti, rimanevano comunque abbastanza integrati seppur visti di cattivo occhio dai più vecchi e ignoranti del posto. Per loro restavano sempre degli sporchi pellerossa, di cui non ci si poteva fidare.
Pronti a sgattaiolarti alle spalle per conficcarti un pugnale nel collo, come se dalla morte altrui ne potessero trarne chissà quale vantaggio o a rubare il bestiame a notte fonda per portarselo nelle verdi vallate del Montana, o chissà dove. Niente di più sbagliato, visto che ormai quelli che si trovavano nelle grandi città tutto avrebbero pensato piuttosto che far cose così stupide, stupide solo come la mente di uno stupido bianco borghesotto, potesse partorire.
Ideologismi e razzismi a parte, il giovane figlio del capo tribù fu abbastanza sollevato del conformarsi agli americani di alcuni suoi simili, questo sarebbe diventato motivo di maggior facilità per il suo passare inosservato.
Serie: Vendetta Piumata
- Episodio 1: Qualche miglio nel Wyoming
- Episodio 2: Raymond, il Vecchio
- Episodio 3: Figlio del capo tribù Arapho, Giovane Corvo
- Episodio 4: Sheridan City
Ciao Loris, mi unisco a ciò che ti hanno detto gli altri, per quanto non sia un lavoro facile inserire tutte quelle informazioni dentro la narrazione. Di sicuro, è evidente il tuo amore per questo popolo ed è davvero apprezzabile il tuo lavoro di documentazione.
Continuerò a leggerti volentieri.
Ciao, e grazie per il commento! Ti dirò, inizialmente (i commenti precedenti si riferiscono appunto a quel periodo) era molto diverso da come lo stai leggendo ora. Il capitolo aveva proprio un altro titolo, e conteneva principalmente solo le informazioni a mo’ di “documentario”. Mentre adesso, sono state più o meno inserite all’interno della narrazione sfruttandole assai diversamente da prima. Mi rendo comunque conto che è un impronta precedentemente impostata, prima che capissi di poter fare magari qualcosa di diverso. Ragion per cui ho cercato di salvare il salvabile senza stravolgere troppo lo schema ideato fin dall’inizio dei capitoli. Credimi, prima risultava decisamente più stopposo 😅…! Almeno ora è pseudo inserito nel contesto, grazie anche alla “voce” del narratore
Concordo con Robért in merito al consiglio di non spezzare la storia con un intermezzo “documentaristico”, perché rischi di ottenere l’effetto opposto rispetto a quello atteso. In questi casi, è più opportuno inserire questo tipo di elementi sempre all’interno della narrazione, trovando un espediente, anche banale, grazie al quale è la storia stessa, con i suoi personaggi, a raccontare queste cose.
A parte questo, continuo a seguire con interesse la serie. 😊👍
La serie cresce con me giorno dopo giorno, a volte la fretta mi porta a voler esporre un qualcosa che magari con un ragionamento più profondo (e in questo, il tempo aiuta) non avrei esposto in tal modo. Mi sembrava almeno all’inizio, che smorzare la narrazione con un pò di cultura attinente alla tribù fosse una buona idea. In effetti lo è, però credo che quella ottima sarebbe stata inserirla diversamente, in maniera più sopraffina. Grazie comunque Giuseppe per aver espresso il tuo commento, mi fa sempre piacere!
Ciao Loris, ho letto i tre episodi.
Questa serie merita una grande attenzione: chi più sincero di me che, non troppo tempo fa, ne ho pubblicata una ambientata nei territori, intrisa delle leggende (per esempio il Wakinyan Tanka) e dei famosi guerrieri delle tribù del Dakota del Sud? Uno dei viaggi più belli che io abbia mia effettuato, non nella realtà ma proprio attraverso il racconto, grazie alle centinaia di informazioni raccolte per creare una storia verosimile.
Per questo, ti dico che il terzo episodio è una vera dichiarazione d’amore per quelle popolazioni, la loro storia, i miti. Ma soprattutto, nei confronti dello spirito puro e indomabile che possedevano. Un ottimo lavoro di ricerca che ci regala nozioni non usuali per la nostra cultura. Il mio rispettoso consiglio, fermo restando l’apprezzamento, è però quello di non spezzare la trama con un intermezzo (interludio, scrivi tu) “documentaristico”. Non è facile, ma si dovrebbe sempre trovare il modo di incastonare una vera storia in quella narrata… per uno come te, che già scrive così bene, è solo questione d’esperienza.
Per lo stesso motivo, ti dico che il secondo episodio, incentrato sul nonno, è forse il migliore finora. II nostro mestiere è quello di raccontare e tu hai creato un gran bel personaggio, credibile, potente. Ho pensato a John Malkovich quale possibile interprete, sei stato davvero bravo.
Infine, nel rilevare una tua più generale passione per l’epoca del “far west” (per dirne una, i nomi delle armi citate sono da vero esperto mi sembra), ho qualche incertezza sul gruppo capitanato da Owen in termini di armonia e comunione d’intenti. Ma siamo solo all’inizio, per questo ti invito a continuare, senza ma e senza se, rimandando al termine ogni analisi.
Complimenti ancora per la grande passione, che ti porterà a scrivere cose meravigliose.
Devo essere sincero, questo commento era ciò che di meglio potessi desiderare: mi fa scontrare nella realtà con la quale io stesso ancora non mi trovo a mio agio. Ho voluto inserire questo intermezzo un po’ per dare al lettore qualche cenno storico, un po’ per timore di annoiarlo troppo con la “sola” storia, ma mi son reso conto che potesse diventare un arma a doppio taglio. E si, spezza troppo il racconto e quinxi forse annoia ancor di più seppur quello che contiene è comunque interessante. Ho pensato che fosse meglio inserirlo nella storia sempre come narrazione ma mi son accorto di aver un limite nel farlo, forse anche spinto dalla fretta nel pubblicarlo ho scelto la soluzione più rapida che spesso si sà, non è la migliore ( a volte la fretta può esser cattiva consigliera ). Per quanto riguarda l’armonia e la comunione d’intenti nel gruppo del protagonista ci sarà modo di sviluppare meglio il tutto, posso solo dire che soprattutto in tempi come quelli era importante che ognuno ottenesse ciò che riguardava soltanto lui, se questo significava cedere a certi patti scomodi e/o a circondarsi da persone non completamente affini poco importava e nel gruppo di Owen sarà anche il dollaro ad agire da forte collante. Mi fa molto piacere tu abbia colto il mio interesse per un popolo oserei dire sconfinato, un popolo che credeva ad esempio che i capelli fossero lo specchio dell’anima le cui radici partivano realmente dell’intestino e tante, tante, tantissime altre cose. Questo “romanzo” (posso provare a chiamarlo così 🤔 ?) vuole anche esser motivo di giustizia per le atrocità che hanno subito senza certo meritarsele, per cui trovare una persona come te che ha espresso queste parole riempie il mio animo di una ricchezza unica. Grazie
Ecco il terzo episodio! Inizio molto brechtiano, con una deliberata rottura della quarta parete: il racconto è diventato quasi un saggio, per poi ritornare racconto. È un modo particolare di narrare 👏🏻
Purtroppo il quarto ha dei problemi con le virgolette ( mi son dimenticato di cancellare le ” ” e rimettere le « » ) 🤣! Domani gli faccio la barba, lo pettino un pò e lo faccio apparire nel sito fresco fresco. Mi fa molto piacere ti stia continuando a coinvolgere