
Giorno 3 – Le Parole per descrivere tutto
Serie: La seconda volta
- Episodio 1: Giorno 1 – Il Coraggio a due mani
- Episodio 2: Giorno 2 – Fragole
- Episodio 3: Giorno 2 – Il coperchio, la scatola e quello che c’è dentro
- Episodio 4: Giorno 2 e Giorno 3 – L’acqua che leviga le pietre
- Episodio 5: Giorno 3 – Le Parole per descrivere tutto
- Episodio 6: Giorno 3 – L’Asino di Buridano
- Episodio 7: Giorno 3 – Conigli in fuga
- Episodio 8: Giorno 3 – Sirene smarrite nelle Terre del Nord
- Episodio 9: Giorno 3 – Against all odds
STAGIONE 1
Ho divagato, chiedo scusa.
Torno coi piedi per terra, sul ponte. Avvolti in scarpe da ginnastica leggere, lo attraversano completamente fino a raggiungere la sponda opposta del fiume, facendosi strada su per la Mühlstrasse e la sua leggera salita, le alte mura su ambo i lati ad incanalare il flusso di biciclette e persone lungo un percorso obbligato. Nello zaino ho il mio computer portatile, di dimensioni più contenute rispetto a quello che mi ero portato appresso lo scorso anno, la mia borraccia e qualche spicciolo, in caso mi tornasse una punta di languore a metà giornata. Considerando tutto ciò che sento sobbollire nello stomaco, nutro dei dubbi sul fatto che questo possa accadere, ma è comunque meglio essere preparati ad ogni evenienza: ho imparato a non sottostimare le mie potenzialità.
Finalmente, dopo qualche minuto di cammino, la Wilhelmstrasse mi accoglie nuovamente in tutta la sua rettilinea semplicità. È incredibile sperimentare come certi luoghi, nonostante siano trascorsi più di vent’anni e a dispetto di ciò che accade normalmente nella maggior parte dei casi, siano in grado di rimanere, tutto sommato, uguali a sé stessi.
Se l’ambiente che mi circonda lo stessi osservando dopo aver preso una botta in testa, momentaneamente privo di memoria a breve termine e senza avere cognizione dell’anno in cui mi trovo, non badando ai modelli di auto che provengono da dietro di me e mi superano per dirigersi solo loro sanno dove, potrei tranquillamente affermare che le Torri Gemelle siano ancora tutt’e due in piedi.
Questa è la strada in cui tutto ha avuto inizio, qui è nata la storia d’amore che mi legherà per tutta la vita a questa città. Quel nome pronunciato da un mio vecchio, temporaneo datore di lavoro per il quale scaricavo casse di birra – nonostante il mio fisico da sfigatino – e tenevo in ordine il magazzino dei suoi locali fuori dalla cinta urbana di Reutlingen, in aperta campagna, a pochi chilometri di distanza da qui:
«Se ti interessa seguire dei corsi universitari dovresti andare a Tübingen, in Wilhelmstrasse trovi le segreterie di quasi tutte le Facoltà.»
Così avevo fatto. Avevo seguito il suo consiglio e da lì si erano dispiegati lungo il mio cammino tutta una serie di accadimenti talmente complessi, così perfettamente sincronizzati nel loro incedere continuo e regolare, come risultato di una macchina perfettamente lubrificata, che oggi basterebbe osservarne anche solo una minima parte per convincersi che mai come in questo caso le parole “disegno” e “percorso” non sono soltanto pittoresche immagini da cucire addosso alla casualità, bensì l’unica, inequivocabile, razionale spiegazione possibile al verificarsi degli eventi. Eventi che io, coi miei gesti, con i miei sforzi ho fatto in modo di concretizzare, ma che erano già pronti ad esplodere, in attesa unicamente di un detonatore.
E di conseguenza, alle due parole protagoniste di questa fetta passata della mia vita, va inevitabilmente aggiunta una terza, che è “scopo”.
Scopo che si presenta e materializza nella maniera più inaspettata, rimasto immobile e paziente a maturare per tutti questi anni come whisky in una botte di rovere, ma assolutamente consapevole di quando finalmente sarebbe stato il momento di risvegliarsi e reclamare ciò che era suo di diritto.
“Scopo”. Non può essere altrimenti.
Ma eccolo che arriva tutto assieme. Mi piomba addosso come un uccello rapace su una preda. Mi vede dall’alto durante la sua perlustrazione di caccia, mi punta riconoscendo in me l’anello debole della catena alimentare e mi afferra lasciandomi lì a domandarmi da dove diavolo sia arrivato.
Il caldo, che fino a pochi minuti prima aveva rappresentato qualche cosa di distante, che quasi avevo bramato seduto al tavolino del mio albergo sulle sponde del fiume, dimentico come sempre di tutte le volte in cui, nella mia vita, lo avrei voluto scacciare come si fa con un fastidioso insetto, con un Colpo di Stato si è impadronito della città.
La Wilhelmstrasse e tutte le persone che la popolano si ritrovano improvvisamente indifese di fronte a questo sole furente che ci unisce nel nostro ruolo di vittime designate, su una strada che non conosce il concetto di ombra o di pietà, e non esiste per me visione più confortante dei contorni dell’edificio che ho appena raggiunto.
Il BrechtBau, con le sue ampie vetrate ad ogni piano che lo compone, mi osserva senza dire una parola. Sembra quasi voglia farmi notare, con il suo silenzio, che sono un po’ in ritardo sulla tabella di marcia che mi ero dato. Non di molto, anzi di un niente per gli standard di un popolo latino. Provo a spiegargli di essermela semplicemente presa calma nel passeggiare lungo la strada che mi ha portato sino a lui, rapito dai ricordi, ma questi sono motivi che a lui non interessano: lui è tedesco, un appuntamento è un appuntamento.
Ma nel suo atteggiamento offeso leggo anche tutta l’impazienza che lo ha serrato durante l’anno che abbiamo trascorso lontani l’uno dall’altro, e di questo mi commuovo. C’è qualcos’altro però, qualcosa che cerca di tenermi nascosto, qualcosa che non mi vuole dire, qualcosa per il quale quasi prova vergogna, per il fatto di non essere stato in grado di impedire che accadesse.
Capisco di cosa si tratti immediatamente, non appena varco la sua soglia e mi muovo istintivamente verso destra, in un gesto automatico registrato nei miei file di memoria che ripesco con un’immediatezza quasi disarmante. La caffetteria, il locale dove ho prestato i miei servigi da giovane nel periodo in cui ho studiato qui, il luogo in cui ho iniziato il mio lavoro un anno fa e dove oggi, a distanza esatta di un anno, avevo pianificato di concluderlo, è chiuso.
O meglio, non è proprio chiuso chiuso, non nel senso definitivo del termine almeno; è solo inagibile causa pulizie straordinarie – così recita il cartello appeso sulla porta trasparente d’ingresso – ma per come la vedo io in questo momento, uomo sul cui volto è disegnata la maschera della delusione, le cose si equivalgono.
E a nulla servono le scuse in cui si profonde la Direzione per il disagio arrecato, né tantomeno l’invito a servirsi liberamente dal buffet che è stato allestito lungo una delle pareti interne del BrechtBau, appena fuori dalla caffetteria, come risarcimento per il fastidio che noi tutti utilizzatori dobbiamo nostro malgrado affrontare. Apprezzo il gesto, davvero, ma ho tutto tranne che fame in questo momento. Anzi, se dovessi davvero dirla tutta, ho il sentore che si sia verificato qualche intoppo nel processo che dovrebbe svolgersi all’interno del mio corpo per scomporre quello che ho trangugiato poco prima.
Va bene, mi concedo il mio minuto di autocommiserazione e risorgo dalle ceneri cercando una soluzione alternativa.
La cinta esterna della caffetteria è circondata, da un lato, da un ampio corridoio a semiquadro, dove sono disposti tutta una serie di tavoli. Non mi è mai piaciuta molto questa zona – non so perché, ragioni del tutto irrazionali – ma vista la necessità vedrò di fare virtù lavandomi via la puzza sotto il naso e sedendomi su una delle sedie che fanno da corredo ai tavoli. Al momento sembra tutto abbastanza tranquillo e non vedo elementi di disturbo che possano infastidirmi, se non un gruppuscolo di studenti con le facce ancora stropicciate dal sonno che parlano di una qualche festa tenutasi la notte prima. Bello in fondo, un brusio quasi accompagnatorio.
Ho giusto il tempo di accendere il computer, dare una scorsa alle ultime righe che ho scritto la sera prima e guardarmi intorno in cerca di inspirazione. Poi scatta l’ora X ed incomincia, nell’aula alle mie spalle, la lezione di recitazione.
Serie: La seconda volta
- Episodio 1: Giorno 1 – Il Coraggio a due mani
- Episodio 2: Giorno 2 – Fragole
- Episodio 3: Giorno 2 – Il coperchio, la scatola e quello che c’è dentro
- Episodio 4: Giorno 2 e Giorno 3 – L’acqua che leviga le pietre
- Episodio 5: Giorno 3 – Le Parole per descrivere tutto
- Episodio 6: Giorno 3 – L’Asino di Buridano
- Episodio 7: Giorno 3 – Conigli in fuga
- Episodio 8: Giorno 3 – Sirene smarrite nelle Terre del Nord
- Episodio 9: Giorno 3 – Against all odds
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