I due gemelli

Serie: Picciuotti adolescenti


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il ragazzo è a Milano

Passai vicini a lu zu Pippinu, lo salutai con reverenza.

«Arà zu Pippinu, comu sta questa mattina, tutto beni?»

«Ca siemu gghoia miu, tiramu avanti!» mi risposi mentri si accesi la pipa. «Ma tu picciuttieddu, chi ci fai a quest’ora in giro? Non è prestu pi tia?»

Che cosa dovevo raccontarti allo zu Pippinu, favi ciciri e fasola? No. Non gli dissi nenti dei miei amici.

«Nenti zu Pippinu, avìa sbrigari na cosa a a ma patri stamatina prestu e per questo che sono qua. Però ci devo diri che mi sta piacendo. Non mi l’aspettava. C’è un mondo e sei ra mattina!»

«Eh sì, caro giovanottu, prima ti alzi la mattina, prima cuogghi, non so se mi spiego, prima ci si, prima tocca a tia, quindi prendi stu consigghiu, alzati prestu se vuoi fari a jurnata, non te ne pentirai. Iu mi sono alzato sempri prestu e ti assicuru che tutta n’autra cosa di quannu mi alzavo più tardi. Bhe veramenti iu, u sai che non me lo ricordo quando mi alzavo tardi, ci credi?»

Bhe veramenti iu, u sai che non me lo ricordo quando mi alzavo tardi, ci credi?»

Una sputazzata, na tirata e pipa.

Iu inveci me lo ricordavo beni. Da una parte eru cuntentu di trovarmi lì, stavo vivendo delle emozioni diverse, ma dall’altro era ancora tentatu re linzola. Però poi decisi di stari, anzi ni approfittai per taliari autri così. Salutai allo zu Pippinu ca mi salutau o solito suo con una sputazzata che mi feci sobbalzari.

«Buona giornata a lei.» E me ne andai per il corso principessa Maria del Belgio.

Dei ma compagni nessuna traccia. Enzu, Pietru, Pieru, Turiddu, Saru, Francu, nessuno di loro.

Vicino alla casa do zu Pippinu c’era Micheli u barbieri. Mi ricordo a prima vota ca sono andato da lui mi feci impressioni. Lo vidi con quei capelli lunghi, siccu come una corda di sausizza. U viria all’opera che era abili. Sembrava un giocolieri. Quelle forbici nelle sue mani volavano da una mano all’altra, poi scomparivano dai tuoi occhi per rivederli, comu caduti do cielu, ora a destra, ora a sinistra, minchia, era un prestigiatore! Mentri ca tagliava i capelli, fischiettava. Non si capìa quali canzuni sunava, non si capìa un cazzu, ma iddu era convintu ca era a sanremu. Lo vedevi proprio appassionarsi alle note che le sue labbra emettevano. Una musica, secunnu di iddu, perfetta. Poi, a volti, si girava e ti diceva: «ta ricordi questa canzoni?» il malcapitato clienti che faceva, diceva di no? Ma nemmeno a pensarci, rispondeva: «Sì, comu no, comu a fischi tu, nessuno! È inconfondibile!» e lo vedevi quasi ballare. Si muoveva a ritmo di non so che cazzo di musica avesse in testa, piegando leggermente le gambe, ora a destra, ora a sinistra. E mentri che ballava, quelle forbici volavano ca era un piaciri vederli.

La prima volta che ci andai vidi tutto questo, bhe mi è venuto l’istinto di andare via. “Minchia, chistu mi taglia tuttu, vuoi vidiri ca mentri ca fischia si chiude gli occhi e zac e ratazac , mi fiddìa! Mi alzai per andare via quando il cliente che era seduto si alzò. Micheli, si girò verso di me e mi dissi: «A tia tocca!» mi doveti credere, pari che mi aveva detto, sali sul patibolo. Mi sentii una lama sul collo, in un attimo mossi!

Però sono uscito sano e salvo.

Era bravo e non ciuriva gli occhi, meno mali!

Un’altra volta ci trovai due persone. Sicuramente erano fratelli, forse gemelli. Due persone anziane. Potevano avere una quarantina d’anni. Lo so, lo so cosa state dicendo, minchia, a quarant’anni si è anziani? Bhe quei due si. Uno portava un basco niuro, vecchio come il cagari. Un paio di pantaloni rappezzati e di colori marrone scuro, di quelli pesanti, sembrava una coperta tagliata apposta per fari i pantaloni a quell’uomo. Un paio di scarpe niuri, con caratteristica buco sul dito grande, cipudda! In tutte e due le scarpe. Quasi quasi le dita erunu di fora. Si virìa la calzetta blu scuru un po’ strazzatedda. Era una pena vederlu. Portava un paio di baffi alla Vittorio Emanuele II, la vendetta! Avìa un occhio a ponente e l’autru a levanti. Ci misi un poco per capire quali guardare. Non capì con chi parlava, col Barbieri, col gemello o cu mia? Bho! Preferii non taliarlo. Mi misi a taliari al fratello gemello. Ma comu facìa a sapere che erunu gemelli? Non lo so, forse non lo erunu, ma a me piacìa pensari questo. Poi, se li taliavamu beni, si somigliavano: due gocce d’acqua. Il secondo non portava né baffi né basco. Però era vestito identico, uguali comu e gemelli a scola.

«Pitruzzu, u sai cosa è successu ieri?» disse il gemello con il basco.

«No Angilinu, cosa?» risposi quello senza baffi.

«Americanu uscì pazzo!»

«Picchì?»

«Picchì? Te lo dico subbitu. Non è zita so figghia?»

«Si, zita è, e allora?»

«Allora, lo hanno visto ieri uscire di casa, russo in faccia, agitato, che gridava come un pazzu»

«Ah sì?»

«Sì! E avìa nelle mani una sciabola. E gridava: L’ammazzu, a tutti e due l’ammazzu!»

«Minchia!» dissi sbalordito il gemello senza basco. «E picchì?»

«Picchì picchì, Picchì voleva farla finita con la storia di sa figghia, non lo sai? È zita con un picciuottu ca all’americanu non ci garba. E ieri vulìa farla finiri a schifìu.»

Il Barbieri sentiva tutto quel parlari. Il cliente che stava facendosi sbarbari, si alzò dalla sedia girevoli e si avvicinò verso il gemello col baffo: «Ma chi stati dicendo sul serio»

«No, oggi mi sono alzato e ho deciso di diri minchiati. Ora vado da Micheli e racconto la prima cazzata che mi veni nta testa. Ma certu che è veru!» disse u cantastorie un po’ ncazzatieddu.

«Voglio diri, non me lo dica» disse il cliente.

«Bhe spiacenti, glielo ho detto ormai. Comunqui iu non ho sentito dire autru. Penso che non è successu niente.“

«Angilinu ma tu eri da?» disse Pitruzzu.

«No. Me lo hanno raccontato. Me lo dissi u zu Gghiuoggi u luongu, e quando quello parla è vangelo!»

«Ah bhe allora è verità» disse il cliente.

Poi intervenne Micheli.

«Non è successu niente. Ma iu credo che da qui a poco scoppierà la bomba. Americanu non la tiene più. »

«Ah sì, ma non è cliente tuo?»

«Sì. E ne so qualcosa di questa storia. Vi dicu che prima o poi succedi la disgrazia. Un volta è venuto a farsi la barba, ed era agitatissimo. Tremava. Gli dissi, Ma vossìa sta beni? E iddu con calma mi rispose, picchì chi stai vedendo Micheli, fammi a barba che ho un pò di prescia. Iu mi stetti in silenzio. Gli feci la barba. Mi dovete crediri, iu non taglio mai a nessuno, quel giorno ci fici tre tagli. Si alzò dalla sedia incazzatu una bestia, Micheli, mi dissi, qua dintra iu non ci mettu più piede, sei un disastro! Ma sono convintu che anche se ci facìa a barba col rasoio di plastica quell’uomo sanguinava lo stesso. Era in ebollizioni. Trasìu russo in faccia e così se n’e andato.»

«Meno mali che non avìa a sciabola per le mani, sennò cu sarebbero qua dentro tri Micheli.» dissi ridendo baffo kid!

Iu taliava tutta quello scenario. Era la seconda volta che andavo da Micheli, e alla fini mi sono divertito. Si imparava tanto in quella sala. Restai un fedeli clienti.

Serie: Picciuotti adolescenti


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Discussioni

  1. Molto bello questo quadro che hai tratteggiato del barbiere, i suoi comportamenti, le movenze e l’abilità con la forbice.
    Divertente anche la scena con i due gemelli, chissà se lo erano davvero, poi. 😁