IL DOMATORE DI BLATTE

Si erano già incontrati diverse volte alla fermata dell’autobus, e si erano scambiati qualche cenno di saluto.

Lui portava sempre dei vecchi occhiali da sole.

“Che lavoro fai?” chiese Lisa, finalmente.

“Domatore di blatte” rispose Tonio.

“E quando lavori?”

“Soltanto alla sera, di giorno non escono dai nascondigli.”

“E dopo che le hai ammaestrate che cosa ne fai?”

“Le vendo al circo.”

Lisa lo guardò con aria interrogativa.

“E ti servirebbe un aiutante?”

“No. So cavarmela da solo.”

“Peccato” disse Lisa “conosco qualche buon trucco.”

L’autobus tardava.

“Mi piacerebbe almeno vedere il tuo sistema” continuò Lisa.

“Non si può” rispose Tonio “non porto mai estranei. Non l’ho mai fatto.”

“Ma noi non siamo estranei, siamo amici ormai.”

“Non so…” replicò Tonio.

“Perché hai così paura, siamo due anime pure, non dobbiamo avere timori, i nostri occhi sanno vedere oltre la maschera del volto, i nostri cuori sanno capire senza bisogno di parole.”

“Ci devo pensare.”

Si rividero dopo una settimana, sempre alla fermata dell’autobus.

“Hai deciso per le blatte?” gli chiese Lisa, senza nemmeno salutare.

Tonio la guardò: non era né bella né brutta, portava un paio di occhialetti con le lenti spesse un dito.

Pensò di liberarsene in fretta, e invece le disse che la visita al suo allevamento si poteva fare.

“In via eccezionale” le disse “e soltanto per una volta.”

Lisa cercò di abbracciarlo. Tonio si spostò appena in tempo.

“Io non ho whatsapp” disse, guardandosi intorno.

“Nemmeno io” rispose Lisa sorridendo “e neanche sms, posso solo telefonare.”

Lo guardò con un altro sorriso.

“Così siamo sicuri di essere noi.”

Forse le sto dando troppa confidenza, pensò Tonio, ma poi tirò fuori dalla tasca un cartoncino mezzo unto e scrisse il proprio numero di telefono.

“Bene” disse Lisa “ci sentiamo stasera.”

“No. Stasera ho da fare.”

“Allora domani” con un ultimo sorriso.

Arrivò l’autobus e Lisa salì.

Si incontrarono dopo qualche giorno, al capolinea dell’autobus, dove la periferia urbana sfumava in una sorta di campagna brulla e solitaria.

Tonio si tolse i ray-ban e guardò Lisa: aveva una minigonna nera, le gambe sembravano due grissini.

Stava scendendo la sera.

Si incamminarono per una stradina senza nome, costeggiata da siepi e vecchi alberi; l’asfalto era pieno di crepe e buche, forse non sistemato da decenni.

Dopo circa un chilometro, sul lato sinistro, si aprì un vasto spiazzo ricoperto di erba secca e ghiaino.

Un arrugginito recinto circondava un grande giardino, incolto e completamente abbandonato ai disegni della natura.

In fondo, a malapena, si scorgeva la sagoma di una vecchia villa padronale.

Lisa guardò il cancello, tutto ricoperto di piante rampicanti.

“Ma tu abiti qui?” chiese all’improvviso.

“No” rispose Tonio “solo le blatte.”

Poi le indicò un passaggio oltre un groviglio di arbusti.

“Bisogna entrare da dietro; c’è un varco nella recinzione nascosto dalle foglie, il cancello è bloccato da anni. Andiamo.”

Entrarono nel cortile: grovigli di piante dappertutto; sembrava di camminare su materassi di foglie secche.

Da dietro una grossa siepe venne uno stridulo e assordante verso.

Lisa si fermò, impaurita.

“È soltanto un pavone” disse Tonio “vive qui da tanto, non so che cosa mangi.”

Poi si avvicinò ad una porta, quasi nascosta da una folta edera.

La aprì senza nessuna fatica. Accese una grossa pila che tirò fuori dal giubbotto. Fece cenno a Lisa di seguirlo all’interno.

Buio e aria stantia, quasi irrespirabile.

Attraversarono un paio di stanze e un lungo corridoio.

Lisa non vedeva nulla, solo il fascio di luce che Tonio teneva basso, sul pavimento pieno di sporcizia.

“Eccoci arrivati al gran salone delle blatte!” disse lui finalmente; tirò fuori un accendino e la stanza fu rischiarata da alcune grosse candele. Un leggero fumo biancastro si disperse nell’aria.

Sopra un enorme tavolo in legno c’erano alcune strane costruzioni in compensato, ricoperte da fogli di plexiglas.

“Sono i labirinti di apprendimento” disse Tonio “li ho costruiti io, è con questi che ammaestro le blatte.”

Lisa si avvicinò. Puzzavano terribilmente.

Dopo qualche minuto arrivarono le blatte.

Spuntarono un po’ dappertutto: da dietro i mobili, da sotto le poltrone ricoperte di spessa polvere, dalle fessure della carta da parati giallognola e scrostata.

“Oddio come sono grosse! Fanno paura!” si mise a strillare Lisa.

Strisciavano velocemente sui tappeti logori, si arrampicavano sulle tende strappate.

Tonio le ammirava soddisfatto.

“Sì, sono grosse” disse “al circo le vorrebbero ancora più grandi. Più sono grandi e meglio me le pagano.”

Sorrise tra sé, nella fioca e tremolante luce del salone.

Lisa si fece coraggio.

“Sai” disse “non è vero che conosco dei trucchi; era soltanto per poter stare un poco con te, per capire chi sei.”

Tonio la guardò.

“Va bene. Adesso ti spiego come funziona. All’uscita del labirinto ci metto qualcosa di molto maleodorante, marcio, schifoso. Le blatte imparano in fretta il percorso, come fanno i topi, per timore che nel frattempo la loro leccornia venga presa da qualche altro concorrente più veloce.”

Tre o quattro blatte si avventarono sul bocconcino puzzolente che Tonio aveva posto sul traguardo.

“Adesso dobbiamo andare” le disse.

Tonio ritornò alla villa dopo una settimana.

Pioveva quella sera; arrivarci non fu per niente facile, la strada era piena di pozzanghere fangose.

Nel cortile udì il solito richiamo del pavone: si proteggeva dall’acqua sotto una tettoia marcia e pericolante.

Appena accese le candele vide subito le blatte. Erano ancora più grosse dell’ultima volta, sembravano scoppiare nei gusci neri.

Al circo saranno contenti, pensò, me le pagheranno bene.

Tolse dal labirinto più grande un paio di occhialetti con le lenti spesse un dito.

“Lo sapevo che questi non li avreste mangiati!” disse ad alta voce.

Spense le candele e se ne andò.

Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Molto interessante e curioso anche questo tuo racconto. Ben delineati i personaggi, perfettamente calati in un ambiente che ne accentua i caratteri un po’ logori, consunti e sciupati. Le blatte danno disgusto, solo a pensarle e immaginarle. Quindi direi efficacissime nel tuo racconto. La poveretta fa una triste fine, mangiata? Fagocitata? Forse rigenerata. Mi pare fosse ciò che desiderava. Lui mi ricorda i migliori serial killer, sistematico, ordinato e meticoloso. Bravo, bella prova!