
Riverberi dal pranzo
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: L’arrivo e le altezze
- Episodio 2: Il coltello e i ricordi
- Episodio 3: Nel cuore della notte
- Episodio 4: Ombre rosse
- Episodio 5: Le parole nel buio
- Episodio 6: Il temporale
- Episodio 7: La visione
- Episodio 8: La rivista di poesia ermetica
- Episodio 9: La finestra dell’albergo
- Episodio 10: Il solletico dell’assassino
- Episodio 1: La prima accoglienza
- Episodio 2: Ingresso in camera
- Episodio 3: Prima di cena
- Episodio 4: Inizio della cena
- Episodio 5: L’arrivo a Praga
- Episodio 6: Vita con Edo
- Episodio 7: Delle carte utili e inutili
- Episodio 8: Col respiro spezzato
- Episodio 9: Primi mutamenti
- Episodio 10: Incontro con il direttore
- Episodio 1: L’invito domenicale
- Episodio 2: Riverberi dal pranzo
- Episodio 3: La sentenza
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
«Quel mattino della domenica c’era uno strano odore di foglie e di bambole bruciate nell’aria. Dalla finestra si scorgeva del fumo che copriva il cielo, o forse era nebbia. Ero seduto in cucina, a prendere appunti e a scrivere con una potenza mai provata. Nel silenzio della casa di Edo non mi sentivo più in colpa, ma solo un essere graziato dal sorriso della vita. Qualcosa stava realmente cambiando, in modo irreversibile, pensai.
«Che emozione, amici, il pranzo domenicale dal direttore. Lungo il percorso verso la sua abitazione, non mi sentivo più le ginocchia. Le gambe mi tremavano, avevo il sudore e le palpitazioni. Dovetti fermarmi per prendere fiato. Non ero più in me. Dissi a Edo di darmi tempo. Ero troppo in ansia, forse per il carico delle aspettative riversate sulla mia poesia.
«Una volta sopra, Edo cominciò a immalinconirsi: il direttore si dedicava soltanto a me, ignorandolo, come se fossi il suo unico ospite. Mi portò nel suo studio profumato di libri, di cultura, per mostrarmi la sua biblioteca immensa, dagli scaffali protetti da alcune vetrinette azzurre, con ciascuno scomparto munito di un’illuminazione discreta, per proteggere i dorsi di testi antichi più sensibili alla luce, che mi fece vedere nei dettagli con gli occhi che gli brillavano. Il direttore parlava poco di poeti, tanto di romanzieri. Mi stupiva la sua foga di parlare di romanzi. «I poeti devono nutrirsi di romanzi. I romanzieri di poesia.» Edo, alle sue affermazioni, faceva cenno col capo di condividerle, ma poi ritornava nel suo strano isolamento. Lo vedevo spegnersi e tutto il suo spegnimento, così improvviso, mi disorientava. Durante l’aperitivo il direttore mi parlò a lungo dei miei versi. Spese delle parole incantevoli, che mi svelavano mondi inesplorati alla mia stessa immaginazione e ai miei desideri, garantendomi che avrei avuto uno spazio fisso ogni mese, all’interno della sua rivista, e in più mi chiedeva di collaborare alla selezione dei testi, proponendomi di curare una rubrica speciale sugli ermetici nuovissimi e sulle luci del tardo neolirismo, non dandomi il tempo di rispondergli, che subito si faceva avanti con proposte ardite, quanto allettanti e ambiziose. A tavola, col tovagliolo ben annodato al collo, continuava a inondarmi di una valanga di novità e di progetti, cercando di coinvolgere il povero Edo, che mangiava poco, beveva appena qualche sorso, con lo stomaco e la mente chiusi a ogni tipo di stimolo. Sembrava distrutto, poverino. Non sapevo cosa fare per aiutarlo. Mi sembrava di avere di fronte un commensale sconosciuto, mai visto prima.
«Avanti, mio caro Edo, che cos’è quest’espressione assorta, serafica! Oggi non ti riconosco. Da quando sei arrivato non hai detto una sola parola, mentre proprio oggi è importante che tu ti apra e che partecipi alla nostra discussione, essendo convinto – e non lo dico per tirarti su, sai che non è da me – che grazie al talento selvatico del tuo giovane amico, sia ritornato anche il tuo tempo. Ma guarda che ci conto, non penserai che mi sono dimenticato di te! Anzi, non sperare di dileguarti o di liberarti di me perché mi ha presentato il giovane Stanislao! Sappi, piuttosto, che ti toccherà collaborare assiduamente col nostro giovane vate. La tua presenza sarà indispensabile, Edo. Voglio che tu gli faccia da spalla o da sponda, per non lasciare che il fuoco della sua poesia faccia troppa luce e travalichi i margini, come spesso accade, purtroppo, e lo sai bene. È importante trovare la giusta moderazione, il senso sobrio di una misura, quando si scrive e non si versifica, e questo, mio caro Edo, sarà il tuo ruolo fondamentale. Intervenire, con discrezione sui possibili eccessi che Stanislao potrebbe arrecare nelle stesure critiche delle sue rubriche, che come gli ho detto saranno illuminate dalla sua splendida natura poetica, di ermetico di razza. Non sentivo versi così trascinanti da anni. Mi auspico un vero e proprio rinascimento dell’ermetismo lirico, miei cari amici, e tu, Stanislao, sarai un rappresentante purosangue della rinascita, che già hai cominciato ad attuare con la potenza espressiva e la lungimiranza delle tue prove, altrimenti non saresti qui. Edo lo sa che difficilmente dedico le mie domeniche ai poeti. Ogni parola di ogni tuo verso, ogni tuo piccolo spunto, schizzo, appunto, pensiero, rappresenterà il germe vivo e violento di una trasformazione profonda, che darà buon sangue a una poesia nebbiosa, matematica, oziosa, che sta avvolgendo i cuori più sensibili e lirici in un drappo funebre. Ancora vino, Edo? Avanti, ma cerca di esprimerti, per favore. Ora ci metti in imbarazzo. Che cosa ti sta succedendo?» ed Edo cercava di dire la sua, con un’espressione apatica. Forse si stava rendendo conto che la sua strada era un’altra, o provava nostalgia per i locali fumanti della Polfer, dove forse non era secondo a nessuno, come invece non accadeva al tavolo da pranzo del direttore della rivista.
«Non ho il tempo per seguirlo nella stesura dei testi critici, direttore. Mi dispiace ma non mi è possibile. È un impegno delicato, di grande responsabilità, che non sono in grado di prendermi» gli disse Edo, con gli occhi bassi, tenendo il bicchiere di vino in una sola mano, col viso pallido, disilluso.
«Ma quanto tempo credi che ci voglia per coordinare qualche aggiustino, andiamo! Sono certo che potrai organizzarti. L’importante è che la rivista possa garantire sulla tua funzione simbolica di riferimento per i nuovi ingressi. Il resto potrete gestirlo con la massima autonomia, al di fuori degli orari e dei luoghi di redazione. Anche se elaborate qualche passaggio a tavola, durante la cena, o la notte, prima di andare a dormire, per me andrà benissimo. Vorrei che Stanislao sappia che vi è una figura ufficiale su cui poter contare, che gli dia misura, ordine, conforto e in alcuni casi quel rigore giusto per non perdere la rotta» e intanto l’altro insisteva, dicendo che i turni alla ferrovia si sarebbero fatti più fitti «Insomma, è davvero un brutto periodo. Non posso garantire alcun tipo di impegno per la sua rivista, mi dispiace» come gli disse, poco prima di svenire.»
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: L’invito domenicale
- Episodio 2: Riverberi dal pranzo
- Episodio 3: La sentenza
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