Il mio mestiere

Serie: Prima della fine del mondo


Qualcuno ci guarda

È difficile ammettere di aver sbagliato quando in gioco c’è la tua vita. Ecco, è come se avessi sbagliato strada, ma non riesco a capire dove.

Finito il liceo credevo che avrei avuto una radiosa carriera di scrittore. Passeggiavo sulle spallette dei ponti e conversavo con Gumpert. Declamavo versi, citavo Joyce e Cervantes, Rimbaud e l’Angiolieri, e stabilivo tutti i paralleli consentiti dalle antologie di scuola.

Poi venne il tempo del pragmatismo. Fulminea esperienza universitaria (buona fama tra i professori, qualche pubblicazione). Corso di specializzazione. E via: carriera diplomatica, agone politico. Tutti posti di responsabilità cui mi avrebbero destinato le mie conoscenze, la mia educazione, le mie qualità.

Fantasticavo.

Compresi tardi che l’ingranaggio si era inceppato. Colpa di Joyce, forse, o di Gumpert. Mi ritrovai a percorrere sentieri di campagna, solo, spesso con un libro tra le mani. Fu allora che cominciai a sognare un altro mestiere. Girare il mondo, raccontarlo per chi è sempre a caccia di luoghi perfetti, di momenti perfetti. Il mio mestiere.

I giornali ne parlavano da un pezzo. Lo descrivevano come un raffinatissimo artista, un sadico, sensibile alle suggestioni pittoriche e letterarie. Qualcuno aveva scritto anche un libro su di lui: bisognava cercarlo in alto, molto in alto. Uccideva le figlie della buona società dopo averle fotografate. Ritratti squisiti, delicatissimi, soprattutto per quel lampo di terrore negli occhi delle ragazze. Spediva i suoi capolavori alle famiglie. Curava i particolari, non lasciava tracce. Nessun corpo era mai stato ritrovato.

Credevo di aver sbagliato strada quella mattina.

Quel sentiero io lo amavo. Tetro, freddo, nebbioso. Da ogni lato ti guardavano giganti muschiosi. Avevo con me Le confessioni, fedele compagno delle mie passeggiate domenicali.

La vidi. Era dietro un albero. Finse di non riconoscermi. La seguivo da tempo e lei lo sapeva. Sapevo perché era venuta, sapevo cosa stava cercando di fare raspando nell’humus morbido e nero. Mi avvicinai, lei mi sorrise. Sussurrò una scusa banale: “funghi” mi pare dicesse. Le mostrai i bracciali argentati che avevo preparato per lei. Emise un grido roco, raccolse le braccia al petto ed estrasse la pistola. Mi colpì forte con il piede prima di premere i grilletto.

Somigliava incredibilmente a un insetto: zampe ripiegate sotto l’addome, mandibole spalancate. Prima che le manette ricadessero a terra era già accasciata accanto alla sua ultima vittima.

Ero entrato quasi per caso nei nuclei speciali dei CC. Il colonnello aveva detto: “O con noi o contro di noi.” Mi ero lasciato convincere.

Lavoro sette giorni su sette. Percorro i sentieri degli ‘artisti’, studio le loro opere, intuisco il loro disegno, tesso la mia tela e aspetto. Ci cadono tutti, prima o poi. Il genio è singolarmente raro tra i criminali.

Però… continuo ad avere l’impressione di aver sbagliato strada; da qualche parte, laggiù…

Serie: Prima della fine del mondo


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. molto interessante, signor Ian Elias. A cominciare dal titolo che rimanda a famosi “fiori di carne” e all’idea decadente dell’artista come “grande malato”. E lo stile, davvero notevole.

  2. Molto intrigante, che apre le porte ad una serie davvero promettente.
    Mi è piaciuto molto il modo in cui hai gestito l’atmosfera, rivelando solo nel finale il ruolo del protagonista nella vicenda.