
Il morso
Le stelle brillano nel cielo.
“Una splendida serata.”
“Davvero.”
Una di quelle in cui si passeggia sul fiume, a Cambridge. In cui gli alberi secolari stormiscono – perchè gli alberi stormiscono, a Cambridge, come nelle poesie.
Mano nella mano con lei, posso sentire nel vento leggero il profumo della primavera, che arriva dal fiume…
“Svegliati.”
Albert aprì gli occhi. Era il massimo che potesse fare, per obbedire. Il suo cervello non reagiva completamente ad un ordine da giorni.
Sollevò una mano per passarsela sul viso. Era infangata, insanguinata. Nulla di nuovo. Era così da mesi.
“Will…” mormorò. Si sentiva sinceramente confuso di trovarsi lì.
“Se ti addormenti, è la fine.”
Il volto di William, circondato come un’aureola, di ricci che una volta erano stati biondi, l’aveva sempre confortato. Con un personaggio tanto simile ad un angelo, in trincea, era sicuro che il buon Dio ne avrebbe tenuto conto.
“Stai sveglio, Al!”
William lo scosse forte, e la testa gli sbattè nella roccia viva. Si svegliò di colpo, mentre il dolore già sfumava nella nebbia, come fosse un ricordo di ore lontane.
“Che cosa succede?” chiese, sforzandosi di dare il giusto peso alla situazione.
“Un accidente, succede!” ringhiò William, il bel viso fine macchiato di fango secco. Sputò, e appoggiò la schiena contro il terrapieno. “Quando mai succede qualcosa, qui?”
Albert gemette. “E allora perchè diavolo mi svegli?”
William sogghignò, divertito. “Un bel sogno?”
“Fottiti” mormorò Albert, ma senza troppa convinzione.
“Siamo rimasti in pochi, Al” disse William, ignorando l’insulto. “Se ci vengono addosso ora, non vediamo l’alba di domani.”
E chi se ne frega, avrebbe voluto rispondere Albert.
“Come vuoi” disse invece, e voltò il viso dall’altra parte.
Il fetore della trincea era quasi insopportabile, ora che era sveglio di nuovo…
… Lei si mette a ridere.
E’ per qualcosa che ho detto, qualcosa su un lontanissimo ricordo d’infanzia.
E’ così bella che non so cos’altro dirle. Mi fà piacere averla fatta ridere, tutto qua.
Sarò il suo buffone per tutta la vita, se me lo chiede. Perchè no?
“Quand’ero bambina, mia madre diceva che ero brutta.”
“Tua madre era cieca, vero?”
Ride, di nuovo.
Sta scendendo la notte, eppure c’è il sole…
… “Attenti! Arrivano!”
Albert sobbalzò, riaffondando in qualche disgustoso centimetro d’acqua putrida. Le sue mani, abituate ad agire da sole, afferrarono la baionetta…oh il colore dei suoi occhi l’alba che saliva lenta dal fiume…
“Maledizione, Albert! Vuoi stare sveglio?!”
I proiettili sibilavano, fischiando pochi centimetri sopra di loro.
“Che bel casino!” gridò William, un sorriso distorto sul viso bellissimo, di angelo esiliato. “Che gran bel casino!”
Albert s’incantò a guardarlo. Com’era possibile, che tanta bellezza dividesse con lui quella pozza di melma schifosa?
Sbattè le palpebre. William gli era parso circondato da un raggio di luce, una benedizione divina…
…”L’ho colpito, Albert! Guarda!”
Il tirassegno, alla festa in piazza. Lei sventola la carabina giocattolo, e il giostraio ha l’aria cupa di uno a cui non piace perdere.
“Bel centro, signorina” le dice, di malagrazia, allungandole un orribile orsetto, minuscolo e spelacchiato.
“Che meraviglia!” fa lei, e mi prende per mano, trascinandomi avanti.
La mia mano, pulita, con solo qualche minuscola traccia di inchiostro sul medio. La sua, piccola e calda.
Il suo viso emozionato, come per una grande vittoria.
“Lo terrò sempre con me” dice, e l’orsacchiotto si stringe al suo cuore…
…”Brutti schifosi!” rise William, ormai del tutto fuori controllo. “Sparano, i bastardi, eh?”
“Anche noi spariamo” disse Albert, serio, e subito si meravigliò di come suonasse idiota una simile affermazione, una volta detta; mentre, nel suo cervello, era parsa sensata.
William rise di nuovo. Si divertiva, Will. Era un felice ragazzo inglese, fatto per il pudding della domenica e per le corse dei cani. Per qualche partita di polo, magari, per qualche gara di corsa con gli amici.
Uno studente? Albert non glielo aveva mai chiesto. Veniva da Cambridge, come lui. E cos’altro si può essere, a Cambridge, a vent’anni?
“Spara, Albert, spara! Teniamoli indietro, dai!”…
…”Resti con me, questa notte?”
Il cuore mi salta un colpo, quando dice così.
Resterò con te per sempre, amore mio. Non solo per questa notte. Dimmi solo che lo vuoi anche tu, e sarà per sempre.
Questo avrei dovuto risponderle. Farla piangere di gioia, e restare lì, a gustarmele, quelle lacrime.
La prima volta che una donna piange per me, per quello che sono io. Non è un regalo che ricevono tutti, Albert.
Non è una cosa riservata a tutti.
“Resto, sì.”
Passeggiamo ancora lungo il Cam, e ci sediamo sotto un salice, che quasi tocca terra, con i suoi lunghi rami simili a una cortina, è lì per noi, per proteggerci…
… “Ma vuoi sparare, Dio del Cielo?!”
Le voci urlavano in una lingua dura, che feriva le orecchie e impediva di abbandonarsi al sogno. Erano ormai poco oltre il bordo della trincea, e Albert poteva sentire i loro passi di corsa. William si sollevò fuori con il busto, per prendere la mira.
Una raffica, poi il suo urlo divertito:
“A casa, vichinghi di merda!”
Scivolò di nuovo nel fango, ridendo come un matto. “Ce ne sono una trentina” disse, ricaricando rapido. “Tu che fai? Mi dai una mano, o aspetti di offrirgli il tè?”
Albert si sollevò appena, per guardare. Venivano avanti strisciando, come da manuale. Ma le stelle erano così alte nel cielo, che beccarli era un tiro al bersaglio garantito.
Sparò due volte. Due grida, nella notte.
“Grande, Al!” si complimentò William, tirandosi su oltre il bordo per dare un’occhiata. “Quando ti svegli, ti…”
Ci fu un altro sparo. Albert guardò il suo fucile. No, non aveva sparato lui. William venne giù molto lento, quasi scivolando, le mani che artigliavano il vuoto, e un fiore rosso in mezzo agli occhi.
Non aveva finito la frase. Sul suo viso, deturpato dal proiettile, s’irrigidiva il sorriso allegro di poco prima…
… Sotto il salice, le tue mani sono una nuvola di gioia.
Sotto il salice, mia amata principessa, la nostra fiaba si avvia alla sua ora più luminosa.
“Sei così bella…”
Ridi, ridi ancora. Ho vent’anni, e un unico desiderio. Vederti ridere, per tanta imprevista bellezza…
… Albert rimase immobile, guardando il cadavere di William.
Ogni cosa finiva lì: la luce delle stelle, il fango, l’alba che sarebbe venuta, Cambridge, gli uccelli in volo radente sul fiume.
Tutto scompariva, inghiottito da quel buco vermiglio, che apriva in due la fronte insanguinata dell’angelo caduto.
Che fare? Il fucile gli scivolò di mano. Subito dopo, sentì che il bordo della trincea franava, sotto il peso di uno degli assalitori.
Il soldato gli cadde addosso, senza intenzione, solo perchè non era possibile scendere lì sotto senza rotolare.
Non l’ha fatto apposta, pensò assurdamente Albert, come un ragazzino che giustifichi un compagno maldestro alla maestra.
Il soldato tedesco lo afferrò alla gola, scuotendo lontano da lui gli attrezzi – il martello, il piccone, e ogni altra cosa che avrebbe potuto usare per difendersi…
… “Sai che, se appoggio la bocca sul tuo collo, posso sentire il sangue che pulsa sotto la pelle? Riesco quasi a sentirne il sapore…”
“Smettila, Albert! Mi fai il solletico…”…
… Con un grido, Albert afferrò il soldato per la testa, tirandolo giù, verso il suo ginocchio.
Il colpo gli frantumò il naso, facendolo quasi rimbalzare via, come fosse fatto di gomma.
Albert gridò di nuovo… (sotto il nostro salice il nostro salice amore mio… ) si scagliò addosso all’altro, che cercava di strisciare via nel fango, e lo afferrò per le caviglie, tirandolo indietro.
Era un mostro, un mostro emerso da quella palude morta. Questo stava scritto, a chiare lettere, sul viso coperto di sangue del ragazzo tedesco.
Balbettò qualcosa, ma Albert non capiva il tedesco. Gli cadde addosso, e rotolarono, insieme, sbattendo, nella lotta, contro i corpi dei soldati morti che abitavano la trincea… (amore mio lascia che ti tenga vicina non ti allontanare, lasciami sentire come il cuore ti batte in gola…)
L’uomo estrasse il suo martello dall’uniforme – chissà come aveva fatto a restare così lucido da pensarci – e Albert urlò, urlò, come il mostro mangiatedeschi che era.
Affondò i denti nel collo esposto del soldato, mordendo, lacerando, distruggendo.
… e posso sentire il tuo cuore passare nel mio mio amore mia vita e questo è per sempre e niente e nessuno ce lo può togliere niente e nessuno ce lo può togliere niente e nessuno ce lo può…
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la prima guerra mondiale (o la prima parte della seconda Guerra dei trent’anni come ora la chiamano alcuni storici) è una cava quasi inesauribile di orrori e di retorica. Tu ne dai una versione originale in cui nulla si perde della ferocia di gli europei, tanto per cambiare, si sono reciprocamente fatti omaggio in quel conflitto. E metti in evidenza come, tutto sommato, si rimanga esseri umani capaci di amore e nostalgia anche mentre si sbrana un proprio simile. Il che mette davvero in discussione cosa significhi amare e odiare.
Azzannare al collo è un gesto tipico degli animali che noi chiamiamo belve, con accezione del tutto negativa. I pensieri di Albert sono invece quanto di più umano possa esserci e riempiono di bellezza il termine “umanità”. La guerra è il veicolo del processo di trasformazione da umano a belva, avvenimento al quale l’animo di Albert cerca di resistere fino all’ultimo. Alla fine però non è più un umano, è un mostro mangiatedeschi, perché è questo che ci fa la guerra.
Mi hai riportato alla mente un paio di film,a il tuo racconto è bello, struggente e soprattutto realistico.
grazie francesco. trovo albert un essere umano pieno proprio in virtù del fatto che riesce a resistere fino alla fine, appellandosi a quanto c’è di più alto contro l’orrore che lo travolge malgrado tutto… il ricordo migliore che abbiamo di noi stessi è il motivo per cui continuiamo ad opporci alla belva, al mostro interiore che invece vuole solo mangiare, mangiare, mangiare ogni cosa…
“Davvero mi chiedo cosa ci fai qui e non sugli scaffali di una libreria.”
Perdona l’ignoranza, scopro che ci sei già.
Cara Sara, ormai commentare la professionalità artistica dei tuoi racconti diventa quasi un gesto che mi fa sentire addosso il bruciore di un marchio a rammentarmi che sono troppo indietro rispetto a te per poterlo fare. Non resta che leggerti in silenzio e farti sapere quanto ammiri la tua scrittura. Davvero mi chiedo cosa ci fai qui e non sugli scaffali di una libreria. Resta solo l’opzione che tu sia qualcun’altra in incognito.
“perchè gli alberi stormiscono, a Cambridge, come nelle poesie.”
❤️
Ciao ❣️ qui c’è tutto vita e morte, guerra e guerra … il tutto mixato in un unico racconto dove riga dopo riga ci vengono donati sentimenti contrastanti che si vendono gli unici agli altri per lasciarci alla fine con un finale strong
Complimenti ❣️
wow lola! grazie!
terribile. Che altro si può dire? Terribile. Non solo amore e morte si danno la mano nella coscienza del protagonista, ma quel morso finale mi ha fatto pensare a un orribile bacio.
la sovrapposizione gioca su questo. è così che resti vivo, nell’orrore. sovrapponendo.
Un contrasto che definire mostruoso non mi sembra un esagerazione. La mostruosità della guerra di trincea sovrapposta con l’amore eterno di una coppia di giovani, appunto, innamorati. Sovapposte come due realtà che occupano lo stesso spazio nello stesso tempo, ma su due piani di esistenza diversi, che prendono a scambiarsi. Ho immaginato le continue dissolvenze di un film onirico.
Confermi la tua bravura nella scelta dei soggetti e nella esecuzione di altissima qualità.
hai centrato l’obiettivo, come tuo solito, del resto. grazie.