Il piccolo diavoletto

Serie: Mia cugina Elena


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La cugina Elena torna in Sicilia

La zia Carmela, mia madre. Era arrivata alla bella età di settanta anni. Tutto sommato mostrava un fisico abbastanza asciutto. Dritta nella postura e molto agile. I suoi movimenti lasciavano intendere che era stata, da sempre, una donna forte, caparbia, i suoi occhi mostravano però tutta la dolcezza che una mamma deve o dovrebbe avere. Viveva da tanto tempo da sola, praticamente vivere con me significava vivere da sola, io ero un figlio presente sullo stato di famiglia, io e lei, nessun altro. La vedovanza l’aveva superata abbastanza bene. Io mi accorsi della sua forza interiore quando, soprattutto nei primi mesi dopo la morte di papà, la vedevo afferrare la vita per le corna e dettare al suo cuore i sentimenti giusti. Da lei ho ereditato, cosa ? Forse niente? Non lo so. Ma era una beatitudine vederla e sentirla. Era attaccatissima alla sorella, con la quale, assieme alla nipote diavoletto, passava tutte le feste comandate e quasi tutti i giorni festivi. Non aveva mai tentato di risposarsi. Diceva sempre. «No, siti pazzi! Unu sulu fu! E nessun autru! Mai!» E mai fu.

Lei aveva veramente tanta voglia di rivedere la figlia di sua sorella purtroppo non più in vita. Aveva nei suoi ricordi la piccola peste della nipotina, quando correva per casa, tirando dietro a lei qualsiasi cosa ostacolasse la sua corsa. Quando la vedeva arrivare, preparava tutto il suo corpo ad attutire quell’onda chiassosa e distruttiva. Si toccava la testa, facendo scendere le mani fin sopra le guance, alzando gli occhi al cielo. “Arruvau!”

Elena rompeva di tutto, mia madre non è che aveva tutti i torti ad alzare gli occhi verso Dio, ma tutto sommato, pur raccogliendo i cocci dopo quella visita bellica, quando vedeva la bambina lasciare la sua casa, rialzava lo sguardo verso Dio per ringraziarlo per aver ricevuto una nipote così vivace e intelligente. Sua sorella era l’unica a rimanere disperata. Mia zia si negava sempre agli inviti da parte di mia madre, poi accettava, cedeva, ma con evidente patema d’animo. Mia madre, raccontava sempre, una scena in particolare, quando il piccolo diavoletto di Elena, aveva deciso di finire la sua pasta sul divano; la vide alzarsi di scatto dalla tavola fra gli occhi sbarrati ed imbarazzati di tutti, correre sul sofà e mettersi col piatto di ravioli al sugo traballante, sul bianco divano di casa. Quando una parte, tutto sommato definito da mia madre, nascosta, (questo la aiutò a superare un po’ la rabbia) diventò di un colore rosso intenso difforme. L’immobilità della bimba, dopo un momento di silenzio di incerto risvolto, fece scaturire una gran risata liberatoria. Tutti, tranne mia zia la quale rimase mortificata.

Mia cugina è cresciuta sempre con lo spirito giusto di distinguersi dagli altri. In compagnia era sempre colei che attirava l’attenzione su di sé, cercava di tenere le redini del gruppo, era simpatica al punto giusto, sapeva scherzare e nello stesso tempo riusciva a capire tutti noi che ogni tanto finivamo in liti e discussioni inutili. Lei riusciva, con la sua capacità straordinaria di saper gestire l’amicizia, a smorzare il tutto e a riequilibrare e compattare il gruppo di amici. Era un nostro punto di riferimento, una colonna. Quando Elena decise di lasciare l’isola, per noi fu un vero trauma. Tutti, o quasi, ci attivammo per far cambiare idea a lei e ad un’altra nostra amica, Giulia, su quella decisione assurda. Come potevano lasciare la nostra amata Sicilia? Con quale coraggio si abbandonava la propria terra per finire poi? Non si sapeva dove, come e con chi, in terra diversa, lontana. Ci diceva, mia cugina

«Il coraggio me lo dà la Sicilia stessa, con la sua aridità, con la sua avarizia di sogni.»

Ci raccontava che non c’era notte durante la quale non avesse pensato ad una possibile soluzione alternativa. Era chiaro che lei avrebbe voluto restare, ma, sottolineava, che riempire il cuore delle bellezze naturali e dei sentimenti affettivi, solo di questo, ci diceva, non si campa. Elena aveva scelto di tentare la sorte del Nord-Italia, era andata via appunto due anni prima, aveva tentato dei lavori in Sicilia, nella nostra città ma sappiamo bene cosa significhi non guadagnare, cosa significhi scendere a dei compromessi particolarissimi, e lei, di sangue caliente, non accettava di buon grado quel servile stato delle cose, non piaceva ricevere meno di quello che avrebbe meritato di avere, e poi, ci ripeteva sempre:

«Ma quelli che comandano, ma li avete visto bene? Alcuni sono quasi senza scrupoli, guardano solo le loro tasche, se ne fottono di te e dell’etica ed il rispetto umano. Ma mi rendo conto anche che dovrei stare qui, con voi, con le mie amiche, con tutti i ragazzi che non hanno né la possibilità di andare via, né la voglia di farlo, lo so.» ci ripeteva «C’è stato un momento che ho creduto ad una reazione giovanile, ad una svolta decisiva per correggere questo grande difetto siciliano, ma, subito, mi sono resa conto, che era tempo perso ed energie regalate ad una vita sprecata, per niente. Fin quando esisteranno le domande misere, ci saranno offerte ancora più misere. Per questo.»

«Se vai via metti una pietra tombale ad un possibile cambiamento» dicevamo noi.

Lei, concluse, il suo ultimo discorso fatto in famiglia. «Ho deciso di andare in Lombardia. Si può sempre tornare nella propria terra a cambiare le cose, in questo stato di cose  non si può combattere.»

Per cinque anni non la vedemmo più. Ci venne detto che lavorava presso una fabbrica di cartoni alla periferia di Milano. Stava in una stanza in sub affitto vicino il fiume Lambro, ci arrivava notizia che si era ambientata abbastanza velocemente e benissimo nella nuova città, nella metropoli. Tante volte si discuteva di questa sua decisione tra noi amici. Non si riusciva a capire come una regione così bella, alla quale in teoria non mancava nulla, costringeva i suoi figli ad abbandonarla. Come avevano fatto questi scellerati politici a far sì che i giovani, appena finita la scuola d’obbligo, tutti o quasi, andassero via. Per tornare? No. Mai!

Serie: Mia cugina Elena


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Discussioni

  1. “Fin quando esisteranno le domande misere, ci saranno offerte ancora più misere.”: questa frase è il cuore di tutto, triste verità che, però, non può essere una giustificazione totale.
    Bel capitolo!

  2. “Fin quando esisteranno le domande misere, ci saranno offerte ancora più misere.”
    Analisi affilata come un rasoio. Un episodio che apre molti spunti per pensare. Non è facile, purtroppo.

  3. Bell’episodio, scritto molto bene. La parte finale mi ha fatto molto riflettere, tocchi dei temi che purtroppo fanno discutere, ancora oggi, senza apparente soluzione. Sono curiosa di leggere il seguito!

    1. Grazie Dea. Io ho due figlie in Lombardia, so cosa significhi questo da genitore, non do del tutto quello che prova il figlio. Il figlio della nostra terra che vola via per sempre. In questo breve racconto cercherò di spruzzare un po’ di ottimismo e speranza se ci riuscirò. Comunque sia, delle emozioni patite, dobbiamo trarne riflessioni e forse, chissà, soluzioni.

  4. Eh, questo episodio tocca un argomento fondamentale e doloroso. I dati di Eurostat sono impietosi di anno in anno: Calabria e Sicilia occupano gli ultimi posti tra le regioni più povere dell’UE. Il lavoro non c’è e se c’è è spesso in nero. Sono 15.000 all’anno i siciliani che se ne vanno via. Terrificante.

    1. Ciao Francesco, eh si, un argomento spinoso e doloroso. Una emorragia senza fine. A me preme che i giovani capiscano che la propria terra sia redimibile, non un contenitore vuoto senza speranza . Utopia?

      1. Io sono pessimista a riguardo e ti dico che è utopia, ma le utopie mi piacciono. Le utopie servono, come il miraggio dell’oasi nel deserto: non la raggiungerai mai, ma ti serve per andare avanti.

        1. Crediamoci e facciamo in modo che i giovani ci credano. Cominciamo dalle utopie, meglio non iniziare affatto

  5. Molto simpatica e saggia, Elena, prima di andarsene, poi, al ritorno, quel muoversi e parlare da lombarda un po’ la rende antipatica. Ma forse è solo un’impressione mia e tu troverai il modo di farmela rivalutare. Bravo Nino!

  6. “Il coraggio me lo dà la Sicilia stessa, con la sua aridità, con la sua avarizia di sogni.”
    E davvero molto bello questo episodio e commovente la riflessione-digressione che fai con una lucida analisi di quella che spesso è la motivazione che porta qualcuno a lasciare la propria terra. Io sono convinta che non se ne debba avere paura. Le esperienze e i viaggi, i luoghi diversi, formano la persona che poi può decidere o meno di tornare. La propria terra, io credo, la si porta dentro, ovunque si vada.