Il ragazzo e la strada
Le giostre andavano avanti come sempre avevano fatto. C’era stato un lungo periodo di crisi negli ultimi due anni, ma con qualche rinnovamento alle attrezzature le cose adesso sembravano avere ripreso. La vita dietro alle quinte del mio Luna Park era comunque sempre la stessa. Si viveva con la gente, in mezzo alla gente, si cercava ogni giorno di capirne le voglie, di interpretarne le idee, di immedesimarsi nel bisogno di tutti per tornare bambini.
Quel ragazzo era arrivato dal nulla, aveva chiesto se poteva lavorare con noi, ed io gli avevo risposto che si poteva fare un periodo di prova. Era sveglio, imparava le cose alla svelta, sembrava non avere un passato; e poi parlava poco ed era italiano, l’ingrediente più strano di tutti. <<Ehi, ragazzo>>, a volte dicevo; e lui scattava in piedi e faceva subito quello che gli si chiedeva di fare. Al mattino si faceva la manutenzione ai meccanismi, e lui con le mani piene di grasso faceva la sua bella figura, perché si vedeva che aveva fatto il meccanico, e se ne intendeva di ferri e motori. Altro non si riusciva a strappargli di bocca: certo, in galera non c’era mai stato, questo lo avevo saputo da subito, e poi non sembrava uno che scappasse da qualcosa o qualcuno, piuttosto era come se avesse dentro se stesso una febbre, o un ingrediente diverso da tutti, che ne faceva quasi un estraneo, uno che non sarebbe mai stato dei nostri, neanche fossero passati cent’anni.
Per il pomeriggio, quando le giostre erano in piena funzione, gli avevo trovato un compito di tutto rispetto, e lui lo svolgeva senza distrarsi, con tutto l’impegno che era necessario. A volte era simpatico, aveva quasi l’età dei miei tre figlioli, ma era migliore di loro, mi sarebbe piaciuto che si fosse fermato con noi ad insegnarci qualcosa di sé nelle serate di magra, quando c’era più tempo per parlare e ascoltarci. Invece, già allora lo sapevo, com’era arrivato andò via.
Mi incontrò quasi per caso, tra i corridoi che formavano i baracconi del tiro al bersaglio, e mi disse soltanto: <<devo smettere, vado a raggiungere un amico>>, non ricordo più in quale città. Non era vero niente, naturalmente, ed io pur lisciandomi i baffi quanto potevo, non riuscivo per nulla a capire perché andava via proprio adesso, ora che aveva imparato tutto quel che c’era da sapere, e che si era guadagnato il rispetto di tutti, tanto che qualcuno, quasi senza saperlo, aveva iniziato a volergli anche bene. Probabilmente la sua strada era quella, lui lo sapeva, aveva qualcosa di dentro che lo trascinava da qualche altra parte, qualcosa che non avrebbe mai rivelato a nessuno.
Gli detti i suoi soldi, forse anche qualcosa di più, poi lo abbracciai, come si fa sempre tra noi, e non gli chiesi più niente, era inutile; e invece lui disse che mi avrebbe spedito una lettera. Non detti importanza a queste parole, naturalmente, ma dopo un po’ iniziai a chiedere, a volte, se era arrivata posta per me, come se ci contassi davvero. Non mi passava di mente, speravo sul serio che dopo un periodo di tempo ritornasse da noi, che riprendesse a lavorare alle giostre.
Dopo tre mesi invece arrivò la sua lettera. Poche frasi sintetiche, un solo foglio piegato, così lessi tutto d’un fiato senza capire un bel niente; così lo rilessi da capo. Non diceva nulla di quello che volevo sapere, non chiedeva un bel niente, però tra le righe si capiva che era proprio lui che scriveva, che mi voleva dare in cambio qualcosa di sé. Rilessi di nuovo tutto da capo, e infine capii. Parlava di un sogno che aveva sempre avuto, ma neanche lui sapeva cos’era. Diceva di un percorso che aveva iniziato, tutto dentro ai suoi sentimenti, alla sua testa. <<Forse sono un po’ matto>>, spiegava; <<però devo seguire la strada che sento, non sarei una persona se non facessi così>>. Poi passava ai saluti, e mi diceva che era contento di avermi conosciuto, perché gli avevo dato molto di più di quello che io avevo creduto di dargli; e poi concludeva: <<non preoccuparti per me, la risposta ad ogni domanda che adesso ti poni, è proprio lì, sopra ai tuoi baffi>>.
Bruno Magnolfi
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Il racconto di questo incontro mi ricorda un abbraccio fisico. Sue anime si stringono per un momento e quando si separano sono cambiate: inconsciamente, ma è così. Perchè è impossibile non dare qualcosa all’altro nello scambio di quel calore. Bellissimo
“era proprio lui che scriveva, che mi voleva dare in cambio qualcosa di sé.”
Questo passaggio mi è piaciuto , racconto profondo e malinconico👏
Un racconto che mi è piaciuto molto sia per la sua scrittura pulita e lineare, senza fronzoli ed eccessi, fruibile e proprio per questo interessante da seguire fino alla fine. Un racconto in cui un uomo racconta e si racconta, molto empatico l’incontro tra l’uomo e il ragazzo, nelle giostre dove tutto gira, si smonta e si riparte. Lo scambio che avviene tra i due è qualcosa che invece rimane, nel tempo e a distanza. Qualcosa che dovremmo imparare.