
Il ragazzo visibile
In un borgo ligure chiamato Camogli, viveva un bambino di nome Riccardo. Aveva dieci anni e spesso immaginava di usare un potere che nessun altro bambino della sua età sognava di avere: diventare visibile. Riccardo non era un fantasma; anzi, aveva due guance molto colorite e mani belle paffutelle. Tuttavia, i suoi genitori non c’erano mai e quando lui provava a parlare con loro, spesso si sentiva dire: «Adesso no, Ricky; non vedi che papà è al telefono? Gioca con la Wii e fai il bravo». Ma Riccardo non voleva sempre e solo giocare con la Wii. Certo, era grato ai suoi genitori per aver ricevuto così tanti giochi. L’ultimo di Zelda era divertentissimo; eppure, dopo aver passato ore davanti allo schermo della TV, sentiva di essersi perso qualcosa. Una parte di lui avrebbe voluto vivere quelle avventure al di fuori delle mura di casa. Sicuramente salvare una Principessa non era un’avventura di poco conto, ma forse avrebbe preferito andare al porticciolo del paese e fingere di essere un pirata che partiva per mete sconosciute.
Riccardo adorava andare al mare; i suoi lo portavano spesso in vacanza, ma anche quando erano sulla spiaggia, sua madre trascorreva gran parte del tempo a chattare su WattsApp con le amiche. Lui provava a chiederle di fingersi una sirena, ma lei preferiva prendere il sole e scattare foto da condividere su Facebook. Non era cattiva la sua mamma; anzi, gli aveva comprato il Nintendo 3DS per permettergli di portare con sé i suoi giochi anche in aereo o in nave; ma quando lui provava a parlarle, sembrava quasi che interrompesse qualcosa di più importante.
In una torrida giornata estiva, Riccardo camminava per le vie della sua amata cittadina, quando all’improvviso rimase imbambolato davanti alle due enormi padelle di ferro appese al muro, simbolo di un’usanza ancora viva nel bel borgo ligure. Era passato centinaia di volte in Via Garibaldi, eppure quel giorno c’era qualcosa di diverso; era come se sentisse un richiamo. Si avvicinò, e scrutando con attenzione i bordi arrugginiti di una delle due, quasi non urlò dallo spavento quando questa iniziò a parlare. Quella che prima era solo un’antica ed enorme padella consumata dal tempo, svelò di avere occhi e bocca; e il suo sguardo era posato proprio su di lui.
«Di cosa hai bisogno, piccolo umano?» tuonò la padella con una voce maschile e un po’ rauca.
Riccardo indietreggiò e iniziò a tormentare i suoi ricci castani con energia, gesto che faceva solo quando era in preda alla paura.
«Di-dici a me?» chiese lui, con un filo di voce.
«Devi parlare più forte se vuoi esprimere il tuo desiderio! Con tutta la ruggine che abbiamo nelle orecchie, ci vuol tutta che riusciamo a capirti se parli scandendo bene le parole!»
Questa volta a parlare era stata una voce femminile e squillante che proveniva dalla seconda padella. Riccardo non ci capiva più nulla. Da quando le padelle avevano orecchie? Indeciso se fuggire, decise di raccogliere il poco coraggio che aveva e di rimanere. Dopotutto sperava da tempo di vivere una vera avventura, non aveva senso ignorare una simile opportunità.
«Chiedo scusa, non mi ero mai accorto che foste… vivi, diciamo…» bofonchiò Riccardo, tentando di vincere la paura.
«Non mi stupisce. Gli umani difficilmente si soffermano a parlare con noi. Ci passano davanti centinaia di persone ogni giorno e spesso sono tutte troppo indaffarate per fermarsi a vedere oltre ciò che i loro occhi sono in grado di guardare»
Buffa risposta quella, ma in effetti anche Riccardo aveva notato che spesso le persone sono impegnate a fare sempre la cosa successiva e poi quella dopo ancora. Era proprio quello che non amava dei grandi. D’un tratto gli tornò in mente ciò che aveva detto poco fa una delle due a proposito di un desiderio.
«Prima avete detto qualcosa sulla possibilità di esprimere un desiderio…» si azzardò a dire Riccardo, con fare un po’ impacciato. Nessuno sembrava badare a quella insolita conversazione tra lui e le due padelle. Tutti camminavano intenti a messaggiare e a fare la cosa successiva.
«Esatto. Tu sei riuscito a vedere oltre ciò che gli occhi permettono di guardare e per questo meriti un premio. Ti spetta un desiderio da ognuno di noi, perciò ne potrai esprimere due. Un tempo eravamo tre, ma una è affondata in mare, quindi ti dovrai accontentare».
Dunque aveva capito bene! Si trovava davanti a oggetti antichi, magici, e poteva esprimere un desiderio; anzi, due! Rimase in silenzio per diversi minuti prima di prendere una decisione; non era cosa semplice scegliere. I suoi occhi castani si posarono sul grande manico, posizionato tra le due padelle. Riccardo era un bambino fortunato, almeno così gli ripetevano sempre i suoi genitori. Aveva tutto quello che desiderava. Papà era ingegnere informatico e mamma avvocato civilista; se voleva una bici il giorno dopo era sua, se voleva l’ultima console, anche. Non gli mancava niente, così gli dicevano tutti. Eppure lui sapeva esattamente qual era il suo desiderio più grande.
«Me ne basterà uno solo!» esclamò senza indugi.
Le due grosse padelle si scambiarono uno sguardo perplesso.
«Uno solo? Ne sei proprio sicuro?» chiesero all’unisono.
«Sì!» confermò Riccardo, sicuro di sé.
«E sia. Esprimi il tuo desiderio, piccolo umano»
«Io voglio il potere di diventare visibile!» rivelò il bambino, come se fosse la richiesta più ovvia del mondo.
Con voce incredula, una delle due domandò:
«Spiegati meglio. Se non capiamo il tuo desiderio, rischiamo di non poterlo esaudire. Tu sei già visibile…»
In effetti non era facile spiegare cosa intendesse, ma Riccardo era certo che i suoi improbabili interlocutori avrebbero capito.
«Ricordate cosa avete detto poco fa sulle persone che guardano ma non vedono? Ecco, più o meno succede così con i miei genitori. Loro mi guardano tutti i giorni, ma non mi vedono veramente. Sono sempre impegnati con il lavoro e anche quando hanno del tempo libero, si concentrano su altre cose. Quando parlo mi sentono, ma non mi ascoltano. Chiedo loro di poter giocare insieme e mi comprano un nuovo gioco. Dico che mi annoio in coda alla posta o quando ci imbarchiamo per qualche viaggio e mi mettono in mano il tablet con l’applicazione di un gioco divertente. Secondo me lo fanno per non ascoltare i miei capricci…»
Riccardo non era certo di aver espresso il concetto in modo chiaro; spesso i grandi pensano che i più piccoli non possano capire ogni cosa perché sono solo bambini. Alle richieste rispondono con un generico “Vediamo” e alle domande con “Sei troppo piccolo per capire. Te lo spiegherò quando sarai più grande”. Forse però quella volta sarebbe stato diverso, forse le due padelle magiche avrebbero esaudito il suo desiderio…
Era buio. Come poteva essere buio? Si trovava all’aria aperta in pieno giorno! O forse no?
«Tesoro, ti sei di nuovo addormentato davanti alla TV?» domandò una voce familiare. Era quella di sua madre. Dopo aver acceso la lampada del salotto, la donna si sedette accanto a lui. Riccardo stropicciò gli occhi e si accorse di aver fatto cadere a terra il gamepad della Play. Allora si era trattato di un sogno! Ma certo, non poteva essere accaduto realmente. I suoi non lo avrebbero mai lasciato girare da solo per Camogli; era più inverosimile quello che non aver parlato con le due padelle giganti del borgo!
Certo però che era stato un sogno così bello… acquisire il potere della visibilità lo avrebbe reso il bambino più felice del mondo. Invece avrebbe dovuto accontentarsi dei giochi virtuali; ma era un bambino fortunato. Se tutti lo ripetevano doveva pur essere la verità. Con voce segnata dalla sconfitta, salutò la madre e si alzò goffamente dal divano: «Sì, probabilmente ho giocato per troppe ore. Vado in camera mia a leggere, così tu puoi vedere le tue serie TV preferite…». Ormai rassegnato all’idea di trascorrere l’ennesima serata da solo nella sua camera piena di giochi inanimati, venne interrotto dalla voce di sua mamma.
«Le previsioni meteo dicono che domani sarà una giornata stupenda. Cosa ne dici di andare a trascorrerla a San Fruttuoso? Prendiamo il traghetto e fingiamo di solcare i mari! Guarda, ho anche il cappello da piratessa!» esclamò lei, mentre tirava fuori dal baule ai piedi del divano un vecchio cappello con mezzo teschio cucito su un lato. Il sorriso della madre di Riccardo aveva riempito la stanza, illuminandola. Forse allora non si era trattato di un sogno, forse era grazie alla magia se il giorno dopo le cose sarebbero cambiate; oppure quella sera sua mamma era riuscita a vedere lo sguardo del figlio e ad ascoltare le sue parole. Questo non lo avrebbe mai scoperto, ma una cosa era certa: il giorno seguente lo attendeva un’avventura vera; senza schermi, senza nulla che richiedesse batterie o una connessione WI-FI. Sarebbe stata un’avventura senza una storia già scritta da dover seguire come accade nei videogiochi. Lo attendeva un’avventura pilotata dalla fantasia.
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Complimenti, veramente molto travolgente.
Bellissimo questo racconto, mi ha riempito il cuore
Grazie, Micol. Sono contenta che ti sia piaciuto 🙂